C’è una sorta di continuità (purtroppo) per quanto riguarda i Promessi sposi: quello che viene considerato il romanzo italiano per eccellenza è spesso visto, al tempo stesso, come uno dei momenti meno eccitanti del percorso scolastico, associato solo a compiti e interrogazioni. Accadeva ieri, accade oggi. E lo ha scoperto anche Marco Giacosa quando, incontrando i ragazzi delle scuole superiori, raggiungeva sempre un punto critico parlando di Alessandro Manzoni. “I ragazzi vedevano i Promessi sposi come una cosa noiosa, da rifiutare a prescindere – racconta il blogger-narratore-giornalista -. Io li leggevo proprio in quei giorni e, forse per l’età, ne avevo un’altra idea. Mi dicevo che non era possibile accostarsi al romanzo solo in quel modo”.
E qual è stata l’intuizione di fondo?
“Quella di riscriverlo con un linguaggio accattivante, senza che venisse interpretato come una presa in giro dei Promessi sposi, come una loro banalizzazione. Ho invece reso omaggio a Manzoni inserendo delle parti originali. E’ nato così Il pranzo di nozze di Renzo e Lucia: in un libro di 176 pagine sono racchiuse le oltre 800 dell’originale. Ho ridotto in miniatura tutte le scene, restando fedele all’impianto manzoniano, con l’obiettivo di coinvolgere il lettore”.
Un obiettivo che deve essere quello di ogni libro: se non coinvolge, a che cosa serve?
“Io ho il massimo rispetto per gli insegnanti e per il loro lavoro, i Promessi sposi sono materia di studio. Ma pochi professori chiedono ai ragazzi: vi è piaciuto, vi sta piacendo? Perché il romanzo di Manzoni deve essere anche lettura e la piacevolezza è il primo criterio. Io l’ho scritto così, sperando di avercela fatta”.
Oltre all’espediente di un racconto più concentrato, c’è anche quello di un linguaggio su piani.
“E’ un misto di quotidianità (come slang e espressioni dialettali) e di rispetto dell’originale. Non è stato un esercizio banale o facile, ho adoperato molta cura nell’armonizzazione dei registri”.
Perché partire del pranzo?
“E’ un’idea nata parlandone con Fabio Mendolicchio, lo chef in valigia. Abbiamo pensato a come avrebbe potuto essere il pranzo del matrimonio di Renzo e Lucia, visto che è uno degli elementi meno noti del romanzo, come le nozze stesse. Per moltissimi, ancora oggi, i Promessi Sposi si chiudono quando i due si ritrovano. A me è piaciuto partire proprio dal pranzo, dall’evento che si tiene nel palazzotto che fu di don Rodrigo. Qui entra in scena Suolavecchia Annamaria, la wedding planner più brava di Lombardia. E’ lei che accoglie gli invitati, in attesa di questo momento da due anni, dal 1628. Ma gli sposi sono in ritardo, causa foto, e Lucia avvisa con un whatsapp. Annamaria, allora, intrattiene gli ospiti raccontando con semplicità quali sono state le vicende che hanno portato a questo momento, ovvero i Promessi Sposi come li ho riscritti”.
Ma non c’è solo il romanzo: il pranzo fa parte di un progetto più ampio.
“Sono tre fasi strettamente legate tra di loro. La mia versione del romanzo, come detto. Quindi le cene che organizza Fabio, con ricette (presenti nel libro) e prodotti dell’epoca. Poi lo spettacolo, ideato e messo in scena da Elisa Galvagno. E’ lei che trasporta Annamaria sul palcoscenico, è lei che racconta al pubblico i miei Promessi sposi. Libro, cena e teatro non potrebbero esistere indipendentemente l’uno dall’altro”.