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Un’allegoria spietata del nuovo potere

Nel volgere di poche ore una serie di esplosioni semina il panico in città. Nel metrò e nelle strade presidiate da esercito e polizia le vittime si contano a centinaia, compresi dipendenti comunali, sindacalisti, medici e (sostiene qualcuno) lo stesso sindaco, tutti passati per le armi: è la “notte dei botti” che dà il titolo allo sconvolgente, coraggioso romanzo di Biagio Cepollaro, scritto tra il 1993 e il 1997 ma uscito soltanto quest’anno presso l’editore Miraggi. Cosa accade, allora, durante la notte dei botti? Il dominio della merce ha già raggiunto eccessi macroscopici: nonostante siano stati privatizzati addirittura l’aria e i colori, ora i nemici dello Stato sociale, dei vincoli, delle frontiere, i fanatici del “Grande Scroscio della Liquidità”, della “Grande Fiumana delle Libere Espressioni”, pretendono la resa totale della Politica e con un colpo di mano stanno per impossessarsi definitivamente della città.

Scriba, poeta-veggente che sembra rimbalzare nell’oggi da un passato arcaico, dotato com’è della facoltà di ascoltare i sogni altrui, si muove in bicicletta sull’autostrada, pedalando per ore fra carcasse di macchine incendiate, crateri nell’asfalto e cadaveri riversi. Il suo scopo è raccontare la notte dei botti a partire “da quello che uno sente col naso”, “dal non farsi illusioni, dal mettere le mani nelle piaghe”: tutto ciò, si direbbe citando alcuni versi di Cepollaro stesso, per “provare il non-detto / e la sua deflagrazione” (dalla raccolta Scribeide, 1993) e comprendere così il senso di un mondo diventato sempre più oscuro, imperscrutabile. Ma anche Scriba sogna, e in sogno vede i Resistenti ammassarsi in cima all’autostrada, pronti all’azione contro il Nuovo Potere: “Cavalieri a piedi nudi, in piedi, sui cavalli… Centinaia di cavalieri che fanno acrobazie, che saltano da un cavallo all’altro… Cavalli e cavalieri che invadono le strade e le piazze della città disegnando festose figure… Piramidi di cavalieri alte quanto gli edifici…  È la prima vera sfida alla Notte dei Botti”. La visione di Scriba si realizzerà concretamente? I Resistenti sapranno organizzare un movimento di opposizione? E saranno poi così forti e numerosi da liberare la città?

L’allegoria della Notte dei botti offre una esemplificazione da manuale del “post-modernismo critico” teorizzato da Cepollaro e dal Gruppo 93, sia sul versante dello stile, sempre teso e sorvegliato nella sua polifonia, sia, soprattutto, per la denuncia tempestiva e spietata dell’ascesa di un capitalismo estremo, eversivo, fattosi più che mai violento dopo il crollo dei freni costituzionali social-democratici impostigli nel “Trentennio glorioso”. La durezza e la potenza del giudizio sul nostro tempo espresso in questo romanzo non sono inferiori a quelle del quasi coevo Le mosche del capitale di Paolo Volponi, nonostante qui ci si focalizzi più spesso sulle classi subalterne, il cui linguaggio è restituito fedelmente nell’”oratura” di Cepollaro. Se infine si volesse assegnare la notte dei botti a un punto preciso della storia recente, a mio parere non bisognerà pensare soltanto agli esordi del ventennio berlusconiano ma a eventi come il varo del Trattato di Maastricht o il golpe extraparlamentare di Mani Pulite che segnano la fine dell’esperienza essenzialmente sovranista della Prima Repubblica e l’avvento del finanzcapitalismo trans-nazionale.

Giampiero Marano

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