Bianca Bellová è un’affermata scrittrice della Repubblica Ceca il cui romanzo “Mona” è pubblicato in Italia da Miraggi Edizioni 2020 nella bella traduzione di Laura Angeloni. Una nuova collana italiana di letteratura ceca, ispirata alla “Nouvelle Vague” cinematografica degli anni della Primavera di Praga, che annovera opere, tra gli altri, di Jan Némec, Ladislav Fuks, Bohumil Harabal, Tereza Boucková. Di Bianca Bellová “Mona” è il secondo libro in edizione italiana, dopo “Il lago” del 2016, tradotto in più di venti Paesi. E che si tratti di un raffinato romanzo il lettore si accorge subito dalle prime pagine che scorrono fluide a presentare la figura minuta di Mona che chiede al bue Mun se sapesse “dei trasportatori di morti”. “Mun girò piano il muso e i suoi grandi occhi ottusi le dissero che no, dei trasportatori di morti non sapeva niente”. Immagini lievi, anche quando il racconto si mescola allo strazio e alle mutilazioni dei soldati scampati alla morte.
Perché è un ospedale, sullo sfondo della crudeltà della guerra, ad essere al centro della narrazione dell’autrice. “Il ragazzo amputato urla, Mona sa già che sarà un turno impegnativo. C’è carenza di oppiacei, bisogna centellinarli. Il medico di turno dorme e non vuole che lo si svegli a meno che non si tratti di una questione di vita o di morte”.
Un lavoro duro per tutti quando si è in prima linea. E Mona non si risparmia, si dà da fare a lenire come può le urla di dolore di Adam. Ma non è il solo. Ognuno invoca qualcosa, nel mentre lei corre da una stanza all’altra, in cerca di medicinali che scarseggiano, di morfina che non si trova, di altri malati da tranquillizzare per le ripetute allucinazioni.
Una vita affannosa anche quando ritorna a casa per svegliare il figlio Ata e mandarlo a scuola. Lui non sa “quante ferite piene di pus medicate, quanti sederi lavati, quante camicie ospedaliere sporche di vomito ha dovuto cambiare”. Ed ora in quell’inferno c’è quel giovane che soffre, che chiede di essere aiutato. Mona “gli prende la mano nei palmi, la mano è bollente e trema irrequieta”. Partitura di uno spartito che alterna lontani ricordi di famiglia, – lei con i calzettoni bianchi, la madre che indossa un vestito a fiori, il padre con i baffi sottili che la tiene per mano – al tranquillo e monotono rapporto con il marito Kamil e il distratto figlio Ata. Un intrecciarsi di sequenze che si avvicendano nella tessitura narrativa sempre con la medesima grazia di chi sa conferire arte letteraria alle parole.