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«Il momento in cui le macchine (…) invadono, non senza traumi, l’uomo e la natura: all’orrido paesaggistico si aggiungono e si intrecciano gli orridi industriali e metropolitane e fabbriche con la tempesta gotica; l’acciaio degli ingranaggi con le braccia dell’operaio; (…) la proletarizzazione del lavoro con la serialità del gesto; lo sfruttamento con la bestialità; la concentrazione del capitale e del lavoro intellettuale con la privazione della volontà»… Probabilmente piacerà assai al sociologo e saggista Alberto Abruzzese, questo R.U.R.-Rossum’s Universal Robots di Katerina Cupová (Miraggi Edizioni, 280 pp. a colori, € 30). Modernissima trasposizione a fumetti del dramma fantascientifico scritta dal Ceco Karel Capek nel 1920 all’origine della definizione «robot», è una fantasmagoria di segni e colori che a ogni pagina sorprende, intriga e cattura. Raggiunta nella sua Zlín, la fumettista e cartoonist classe 1992 spiega con semplicità la scelta di tradurre a fumetti l’opera fondativa di tanta narrativa e cinema fantascientifico, da Lang a Asimov a Lucas: «R.U.R. è un’opera magnifica come ispirazione per una graphic novel: c’è l’isola esotica, la fabbrica per la produzione di persone artificiali… è densa di temi interessanti da disegnare».

MA SI TRATTA di un’essenzialità di facciata, plasticamente contraddetta da un segno ricco, stratificato e personale. «Il mio obiettivo principale era trasmettere in modo interessante l’opera teatrale, che per tutti i bambini della Repubblica Ceca rappresenta una lettura obbligatoria, di cui però non ricordano altro che la parola “robot”. Ho cercato di far appassionare il lettore all’argomento, in modo che magari poi vadano a cercarsi l’originale o leggano altre opere di Capek», spiega Cupová. Senza però dimenticare le infinite contaminazioni tra R.U.R. e le grandi firme del fumetto anglosassone e nipponico: «Penso che mi abbiano ispirato Amleto sul tetto di Will Eisner, o autori classici di manga come Osamu Tezuka e Ishinomori Shotaro». Al di là dell’effetto cinematografico mutuato dai Maestri e dell’astuzia molto cinematografica di distribuire dialoghi pensati per lo spazio ristretto di un palco in pagine di ampio respiro, nel fumetto di Katerina Cupová a strabiliare è lo straordinario talento infuso nella descrizione dei personaggi e degli ambienti. «Nel dramma originale, non viene specificato quando si svolge l’azione. Teniamo conto però che doveva essere una rappresentazione del futuro, e che negli Anni ’20 immaginavano il futuro in modo diverso da noi: questo è un aspetto che ho cercato di preservare ad esempio nel fatto che i personaggi usino ancora i telefoni col filo o i telegrammi».

UNA DISTOPIA tutta estetica, ambientata nel presente-passato alternativo in cui si disvela il conflitto tra umani e automi. Ma nonostante il secolo di riletture a cavallo tra media e linguaggi, più l’input originario di Capek, che li descrive come «indistinguibili dall’essere umano» i robot di Cupová risultano unici, funzionali e appaganti. «Avevo molte idee, tutte accomunate dalla volontà di rafforzare il messaggio dell’opera teatrale», svela l’autrice. «Alla fine ho scelto la più “semplice”, con robot come “persone artificiali” dall’aspetto uniforme e regolare». Mentre i personaggi umani del fumetto come Domin e Helena hanno personalità distinte, sottolinea l’autrice, «i robot sono tutti perfetti allo stesso modo. Inoltre, il loro sguardo è perennemente vacuo». Alta fedeltà anche nella narrazione, con minime concessioni nella trama e nei dialoghi rispetto alla pièce teatrale rappresentata per la prima volta nel gennaio del 1921 al Teatro Nazionale di Praga.

«IN REALTÀ PENSO di aver soprattutto tolto, altrimenti il fumetto avrebbe avuto molte più pagine. Dal punto di vista visivo, ho allungato il prologo. Nell’originale, l’intera introduzione si svolge nel corso di un’unica conversazione, in mezz’ora. Ho conservato i dialoghi, ma visivamente i personaggi si muovono per tutta la fabbrica, e alle loro spalle vediamo alternarsi le stagioni. Poi, nell’ultimo atto, ho tralasciato la maggior parte del lungo monologo e l’ho sostituito con immagini». E proprio le immagini dei robot più iconici di sempre chiudono il volume nella lunga e godibile postfazione firmata da Alessandro Catalano, professore associato di letteratura ceca presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari dell’Università di Padova. Contenuti extra dal fascino extraterrestre.

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