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Cacciatori di frodo – recensione di Francesco Montonati su FMONTONATI.COM

Cacciatori di frodo – recensione di Francesco Montonati su FMONTONATI.COM

“Cacciatori di Frodo”, finalista al Calvino e candidato allo Strega nel 2013, è il libro d’esordio di Alessandro Cinquegrani. Non ha vinto nessuno dei due premi, ma la sola candidatura mi riempie di speranza per il destino della letteratura nazionale; encomiabile il coraggio di Miraggi Edizioni nella scelta di pubblicarlo. 

Sì perché “Cacciatori di frodo” è certo un libro notevole, ma ha una particolarità: è scritto con la tecnica del flusso di coscienza; James Joyce, William Faulkner, Virginia Woolf, per intenderci. A volerla dire tutta, ultimamente Remo Rapino con il suo “Vita morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” ha usato la stessa tecnica e ci ha vinto il Campiello 2020, ottenendo un successo molto maggiore di quello di Cinquegrani, ma questa è un’altra storia e a me “Cacciatori di frodo” è piaciuto di più.

Protagonista è un uomo del nordest italiano, Augusto, benestante proprietario di un inceneritore per lo smaltimento di pneumatici. Tutti i giorni sua moglie cerca di ammazzarsi aspettando il treno che le faccia rotolare la testa giù dagli argini e nel fiume. E tutti i giorni lui percorre dodici chilometri suppergiù di binario morto per andare a recuperarla. Tutti i giorni, da quando il loro piccolo di diciotto mesi è caduto dalla finestra. Dodici chilometri di pensieri e ricordi, considerazioni e scoperte di verità nascoste. Che lui stesso, che la sua stessa mente gli ha finora nascosto.

Un flusso di coscienza a un tempo esiziale e catartico di poco più di cento pagine. Pagine fitte, piene. Non solo perché gli a capo si contano in tutto il libro sulla punta delle dita, e non solo perché i periodi possono durare pagine intere. Ma anche e soprattutto perché ogni pagina contiene una cifra, un barlume, un’espiazione, un rimorso, un contrasto, un rifugio, una rabbia, un motivo per cui il protagonista è adesso l’individuo che è. 

Alessandro Cinquegrani

Con uno stile consapevole e apprezzabile, Alessandro Cinquegrani, oggi professore di critica letteraria all’Università Ca’ Foscari, dà vita a un fiume, ordinato e musicale, di parole che gridano per le ingiustizie di cui il protagonista si sente vittima, che ha visto perpetrare attorno a lui, che lo hanno da sempre circondato. Un fiume, come quel Piave dei fanti il 24 maggio, che scorre nei suoi pensieri e li accompagna nel loro fluire ininterrotto scandendone corso e velocità.

Flusso di coscienza? Oddio, no. 
Calma. Non c’è da spaventarsi. Il James Joyce di “Ulysses” e delle decine di pagine senza segni di interpunzione è molto lontano. Qui tutto è comprensibile. Come già detto nel post sul flusso di coscienza, all’epoca (si parla degli inizi del Novecento) gli autori erano visti dalla gente con rispetto, deferenza. L’autore dal suo piedistallo elargiva capolavori che, nella loro forma contorta, stava poi al lettore decifrare. Ora i tempi sono cambiati, il lettore cerca l’immediatezza, la facile fruizione. Così, nel corso degli anni, anche il flusso di coscienza è cambiato. Valutate voi.

…ma io non conto i passi mentre percorro i binari della ferrovia, penso mentre percorro i binari della ferrovia, io mi porto al guinzaglio la mia nuvola, una manciata di metri cubi di acerbe espiazioni prese al guinzaglio e percorro i binari della ferrovia, dodici chilometri ho sentito dire, dodici chilometri suppergiù che devo percorrere per raggiungere la curva troppo stretta e dietro la curva trovare mia moglie sdraiata sui binari che aspetta che il treno venga a farle rotolare la testa giù dagli argini e nel fiume.

“Cacciatori di frodo” è un gran bel libro, complesso e aspro, che vi invito a leggere, senza preconcetti, senza difese. Per goderne appieno dovrete lasciarvi trascinare. Non ve ne pentirete.

QUI l’articolo originale:

https://fmontonati.com/2021/11/04/cacciatori-di-frodo-di-alessandro-cinquegrani-recensione/ 

Cacciatori di frodo

Cacciatori di frodo

 

Selezionato al Premio Strega 2013

Tutte le mattine prima dell’alba, una donna esce dalla casa cantoniera giù al fiume, percorre dodici chilometri di un binario morto e si sdraia subito dopo la curva troppo stretta, aspettando il treno «che le faccia rotolare la testa giù dall’argine e nel fiume». Tutte le mattine, un uomo percorre quegli stessi dodici chilometri per riportare a casa la moglie, sdraiata sui binari subito dopo la curva troppo stretta. Nella sua mente si attorcigliano i fantasmi di un tempo andato, la famiglia, un figlio, un fratello. La vita e la morte, la colpa e l’espiazione.

E lungo il fiume, cacciatori di frodo si nascondono: il paesaggio attraversato da Augusto è una tetra parentesi, quasi indifferente, che racchiude una tragedia familiare dai toni biblici, gli echi del Piave, le ombre del miracolo economico del Nord-est e una nuova resistenza.

La storia di una dannazione, una corsa a perdifiato verso l’inferno, o forse un vademecum su come diventare cacciatori di frodo, clandestini del pensiero nell’epoca della banalità.

 

AUTOSTOP PER LA NOTTE di Massimo Anania è uno spaccato sociale che mai cambierà – intervista di Salvatore Massimo Fazio su L’urlo

AUTOSTOP PER LA NOTTE di Massimo Anania è uno spaccato sociale che mai cambierà – intervista di Salvatore Massimo Fazio su L’urlo

L’autostop di Massimo Anania è uno spaccato sociale che mai cambierà – L’intervista

L’autore pubblicato da Miraggi edizioni, da un anno è sempre sul pezzo col suo romanzo

Chi ha scritto Autostop per la notte l’ho incontrato alla XXXII edizione del Salone Internazionale del libro di Torino. Piemontese di Piossasco (To), che però vive lontano dalla sua amata terra, è uno degli emergenti più noto al pubblico italiano.

Con Autostop per la notte, pubblicato da Miraggi edizioniMassimo Anania, firma il testamento del cambiamento che mai avviene, e delle volte è pure gradevole, anche se ti scarica in problemi legali. Libro interessante, che spiega il successo itinerante da oltre un anno.

La vicenda narra di uno studente universitario che fa autostop per raggiungere gli amici in centro a Torino. Chi lo carica, lo trascinerà con sé a un festino al quale partecipa la Torino bene. Droga, gioco, donne belle e facili. Lo studente si apparterà con una di queste e nel momento dell’apice dell’erotismo… scopre essere un travestito. I due litigano, perché il ragazzo non si sente di aver rapporto con un trans. Vi è uno snodo: il ragazzo fugge scoprendo di essere vittima di una raggiro in cui è implicato un pericoloso personaggio. Chiederà aiuto ad un amico, parecchio ambiguo, ma molto affidabile. Fino ad un colpo di scena che spiega il successo di questo bravissimo autore sul quale ha puntato Miraggi edizioni.

 

Il tuo successo non annunciato, lo è però diventato: è anche il tuo esordio?

«Autostop per la notte è il mio esordio letterario in assoluto. Ho collaborato per una decina di anni con un quotidiano della provincia di Belluno e con alcuni periodici di genere e diffusione, ma il romanzo pubblicato per Miraggi è il mio debutto assoluto».

 

 

 

(In foto Massimo Anania)

Miraggi edizioni, 10 anni di editoria indipendente, lanciatasi nel firmamento, come sei arrivato a questa straordinaria realtà?

«Un giorno una mia amica mi disse di leggere un libro, che mi prestò- Era rivestito di carta da pacchi e con un disegno stilizzato e un buco attraverso il quale si intravedeva la copertina reale. Il libro era molto bello, con una struttura non facile e con immagini potenti. Quel libro era “Cacciatori di frodo” di Alessandro Cinquegrani e quel giorno ho desiderato propormi a Miraggi. Dopo aver inviato il testo, dopo un anno e mezzo mi sono ritrovato nelle librerie, a conferma dell’onestà intellettuale di questa realtà italiana».

 

Come spiegheresti in poche parole il tema del romanzo?

«Autostop per la notte è una sguardo alla società, da un angolazione diversa. Un ragazzo ancora troppo ingenuo per la sua età, la sua voglia di vita e di trasgressione si scontrano con individui poco puliti e pronti a fregare il prossimo nel nome del dio denaro».

 

Cosa ti ha spinto a scrivere di questo tema e perché e per chi lo hai scritto?

«Scrivo per quell’esigenza spietata di raccontare una storia, inventare, creare luoghi, personaggi e azioni. Credo che creare qualcosa sia una delle più grandi soddisfazioni della vita, c’è qualcosa di divino nel creare, è come se l’essenza divina si mescolasse all’uomo.
Non mi chiedo mai chi leggerà i miei libri. Voglio scrivere ciò che sento e trattare gli argomenti che preferisco. In questo momento mi attira la parte oscura dell’individuo e finisco per descrivere situazioni al limite e pensare cose non sempre condivisibili. Ognuno di noi ha qualcosa da nascondere: una paura, una debolezza, un difetto, un vizio o un fatto da non raccontare e sono queste le cose che mi attraggono e i meccanismi psichici che li governano».

 

 

(In foto la cover della copertina del libro)

Le candidature a premi importanti ti hanno emozionato? Hai sperato di uscirne vittorioso?

«Le candidature fanno piacere ma non pensavo di vincere e non me ne sono preoccupato. Le cose più belle sono arrivate dai lettori. Molti mi hanno scritto in privato per darmi le loro impressioni, qualcuno mi ha mandato una sua foto con il libro. Poi sono arrivate tante segnalazioni e tante recensioni da lettori che curano o collaborano con siti che trattano libri e gruppi di lettura».

La tecnica, la struttura, anche questa è stata una bella novità…

«Sicuramente il ritmo del libro ha molto colpito il lettore. Volevo che questo libro fosse veloce dall’inizio alla fine. Desideravo che il lettore non smettesse di leggerlo ed arrivasse alla fine. Il romanzo è scritto in seconda persona e questa è la caratteristica che più ha incuriosito. Mi piace scrivere così e lo farò ancora. Nel corso della narrazione ho inserito diversi flussi di coscienza scritti in prima persona per portare il lettore direttamente nella testa del protagonista con un cambio improvviso. Credo che sia l’unico romanzo che finisce senza il punto».

Anche una flou chart è stata la sorpresa…

«Sì, alla fine della narrazione c’è un capitolo intitolato Se fosse un film, che contiene la colonna sonora del libro. Un brano per ogni capitolo, selezionato da Walter Moroni. E ancora, nella versione e-book e dopo la prima ristampa, sono stati inseriti alcuni disegni tra un capitolo e l’altro. Questi sono di Luca Ferrari batterista dei Verdena, Fabrizio Berti, Sharon Colli, Michela Roffaré, Farbod Ahmadwand e mio figlio Samuele. E tengo a ringraziare anche Eric Lot, che è l’autore delle foto di copertina».

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

L’autostop di Massimo Anania è uno spaccato sociale che mai cambierà – L’intervista