Non eravamo come gli altri ragazzi. Troppa solitudine nelle nostre vallate liguri, cresciuti lontano dai giochi, dal calcio, da tutto… con in testa chissà quali avventure.
L’avventura di Leo e Gregorio inizia con un disegno, “il disegno delle bestie” trovato per caso su una parete di una grotta da ragazzi. Un giorno, lo stesso disegno ritrovato su un libro, e quella dei due ragazzi diventa una passione, per Leo forse più un’ossessione. Il diploma, l’iscrizione all’Università di Genova, e da lì l’idea di intraprendere un viaggio, “un sogno assurdo”, alla ricerca di un contatto tra civiltà diverse. Poi, un giorno, Leo sparisce e Gregorio viene arrestato per traffico internazionale di stupefacenti.
Passano undici anni, siamo alla fine di marzo 2020, Gregorio nel carcere di Regina Coeli sta scontando la sua pena quando arriva la notizia della morte della madre. Quattro giorni di permesso per seguire il funerale e poi nuovamente in cella.
Colibrì, questo il soprannome che Leo aveva affibbiato a Gregorio, ha però altre intenzioni. Quattro giorni è il titolo del romanzo a fumetti di Marco D’Aponte e Andrea B. Nardi, tratto da un romanzo di Marino Magliani e edito da Miraggi Edizioni. Quattro giorni è anche l’arco di tempo che il protagonista ha a disposizione per risolvere il mistero legato alla morte di Leo, alla sua cattura undici anni prima e per trovare una cura alla malattia che sembra condannarlo alla morte.
La narrazione è un continuo alternarsi di piani temporali: il presente dei quattro giorni nelle valli liguri, il passato di undici anni prima nelle lande peruviane, il trapassato degli anni prima della partenza. Il lettore si sposta con continui flashback da una piano temporale all’altro, cercando di ricostruire insieme al protagonista l’ultimo periodo della vita di Leo, e al tempo stesso seguendo le vicende del tentativo di fuga di Gregorio, del quale nessuno – né il lettore né il protagonista – conoscono l’esito.
Il vero sogno era stato d’avere un sogno.
La dimensione onirica percorre tutto il fumetto. La malattia di Gregorio, una particolare forma di malaria contratta anni addietro in Perù, è un ottimo espediente per richiamarla continuamente. I confini tra realtà e sogno non sono netti, e il continuo passaggio dalla voce del narratore ai dialoghi dei personaggi, sottolinea ancora di più questa sfocatura.
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La dimensione onirica percorre tutto il fumetto. La malattia di Gregorio, una particolare forma di malaria contratta anni addietro in Perù, è un ottimo espediente per richiamarla continuamente. I confini tra realtà e sogno non sono netti, e il continuo passaggio dalla voce del narratore ai dialoghi dei personaggi, sottolinea ancora di più questa sfocatura.
Leo e Gregorio partono mossi da un sogno che li accomuni e da grandi speranze, un po’ come quasi tutti i giovani di oggi, ma la loro avventura viene interrotta dall’intromissione della realtà nel sogno. Riuscire a effettuare gli scavi è più difficile del previsto, i cimiteri sono stati saccheggiati dagli Huaqueros, profanatori di cimiteri Incas, e ad un certo punto del viaggio il sogno va in frantumi: Leo e Colibrì si dividono senza mai più ricontrarsi.
Le tavole in bianco e nero e il tratto di Marco D’Aponte, illustratore torinese, sottolineano questa sospensione tra sogno e realtà e dammi come l’impressione di essere in un vecchio film. Al tempo stesso, però, sottolineano anche un elemento forte che si ritrova in tutto il fumetto: la necessità di conoscere – il significato del disegno delle bestie, l’esistenza del legame tra due civiltà, la sorte che è toccata a Leo – in netta contrapposizione con la realtà attuale che ha perso la curiosità e la voglia di avventura.
Sullo sfondo di una storia che sembra essere soltanto quella di Leo e Gregorio si muovono, però, anche altri personaggi. Lori, che introduce nel romanzo il tema dell’amore, e Gilberto, il fratello di Gregorio. Il tema dellafamiglia non viene affrontato direttamente, ma ne percepiamo la presenza costante sullo sfondo. La madre, che viene citata due volte nel corso della storia, è il simbolo del legame del protagonista con la terra natia. Gilberto, invece, rappresenta la realtà dalla quale Gregorio e Leo sono scappati, l’incarnazione della vita di paese, quella vita che sembrava costringerli in un mondo che non era il loro, loro che “non erano come gli altri ragazzi”.
Quattro giorni racconta una storia forte, nella quale troviamo davvero di tutto. L’amore, l’amicizia, la lealtà, il ricordo e la voglia di combattere e resistere. Il ricordo al fumetto fa sì che l’intensità della storia si concentri in poche pagine. La bravura di Marco D’Aponte e Andrea B. Nardi, invece, fa sì che, nonostante le sole cento pagine, alla storia di due giovani che vogliono combattere l’apatia della realtà in cui vivono, che voglio credere e realizzare il proprio sogno, venga resa giustizia.
La Commissione per l’assegnazione del Premio della 54^ edizione del Concorso Letterario, presieduta da Marino Bartoletti e composta da Paola Pigni, Valerio Bianchini, Piero Mei, Roberto Perrone, Roberto Rosseti e Paolo Francia, si è riunita al CONI e, dopo un approfondito esame delle opere presentate, ha attribuito i seguenti premi:
Sezione Saggistica
Premio
Autore
Titolo
Casa Editrice
1° (euro 3.000)
Auro Bulbarelli, Giampiero Petrucci
Coppi per sempre
Gribaudo
2° (euro 2.000)
Nicola Roggero
Premier League
Rizzoli
Segnalazioni particolari
Stefano Pivato
Storia sociale della bicicletta
Società editrice il Mulino
Segnalazioni particolari
Paolo Mazzoleni, Giorgio Burreddu e Alessandra Giardini
La mia regola 18
Edizioni Slam Absolutely Free
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Sezione Narrativa
Premio
Autore
Titolo
Casa Editrice
1° (euro 3.000)
Carlo Felice Chiesa
Bologna 1925. Fu vera gloria
Minerva
2° (euro 2.000)
Lucio Schiuma
La vittoria più grande
Fondazione polito
Segnalazioni particolari
Angelo O. Meloni
Santi, poeti e commissari tecnici
Miraggi
Segnalazioni particolari
Daniele Poto
Lo sport Tradito. 37 storie in cui non ha vinto il migliore
Gruppo Abele
Sezione Tecnica
Premio
Autore
Titolo
Casa Editrice
1° (euro 3.000)
Luca Bifulco e Mario Tirino
Sport e scienze sociali. Fenomeni sportivi tra consumi, media e processi globali
Rogas
2° (euro 1.000) ex aequo
Luca Russo
Biomeccanica. Principi di biomeccanica e applicazione delle video analisi al movimento umano
ATS
2° (euro 1.000) ex aequo
Daniele Masala
Genesi e regolamenti dello sport
Soc ed. Universo
Segnalazioni particolari
Andrea Capobianco
Basket 3×3 i valori educativi, la tecnica. La tattica, la strategia e le emozioni
Descrizione: Santi, poeti e commissari tecnici è una raccolta che racconta con ironia e tenerezza e una scrittura scoppiettante il senso di una fine: il crollo del mito tutto italiano del “campionato più bello del mondo”, una bufala identitaria a cui abbiamo voluto credere per anni, una vera e propria religione di stato la cui dissacrazione ci renderà – si spera – un po’ più leggeri e meno tronfi, un po’ più umani, sopportabili e meno sfegatati.Santi, poeti e commissari tecnici è uno spaghetti-fantasy calcistico dai toni agrodolci che parla dritto al nostro cuore, al cuore di una nazione che sul calcio ha strepitato troppo e troppo a lungo perché, versata una lacrima, non fosse giunto il momento di riderci su.
Santi, poeti e commissari tecnici è uno spaghetti-fantasy calcistico dai toni agrodolci che parla dritto al nostro cuore, al cuore di una nazione che sul calcio ha strepitato troppo e troppo a lungo perché, versata una lacrima, non fosse giunto il momento di riderci su. Un libro comico, commovente e liberatorio. La raccolta comincia con il lungo racconto che dà il titolo all’opera, una storia sul miracolo della statua votiva della beata Serafina, che all’improvviso suggerisce al parroco del paese la strategia per stravincere il campionato. E finisce con Il campionato più brutto del mondo, l’ultimo racconto, sull’effetto domino che porterà alla chiusura della serie A non appena l’ex moglie di un dirigente invischiato con il calcio minore avrà preteso gli alimenti arretrati. In mezzo, un centravanti alcolizzato e un’intera comunità si illudono di meritare “il calcio che conta”; il giovane calciatore più forte del mondo (o del suo quartiere) scopre quanto sia spiacevole scontentare i genitori VIP degli altri ragazzi; un arbitro incorruttibile durante l’ultima partita della sua vita deve fare i conti con il suo passato e con i desideri di un ragazzo perduto; una stella della serie A ordisce la sua vendetta contro il destino. Storie di calcio e storie d’amore, d’amori mancati e sogni infranti. I sogni dei tifosi, insomma.
Il libro di Meloni fin dal titolo evidenzia l’intenzione di raccontare lo sport più diffuso in Italia. Del resto i classici discorsi da bar nel nostro Paese vertono sempre su politica e calcio. E al bar ci sono le persone vere, come direbbe Filippo Nardi, la gente, il popolo, come va di moda dire adesso. E del resto spesso non si tratta solo di discorsi, spesso calcio e politica si intrecciano, perché sono due ambienti dove girano soldi. Sesso, droga, corruzione, avidità, malaffare permeano entrambi i mondi. Ma il calcio è anche una passione, dal greco pathos, che letteralmente significa sofferenza. Infatti quando si parla di passione di Cristo non si parla certo del suo hobby per la falegnameria. E quando intrecci vita e passione così intensamente come fanno in Sudamerica, il calcio è vita e la vita è calcio, e allora sei disposto a tutto. In più, siamo un Paese dove la religione di Cristo è predominante, e si riempie di storie truculente, sanguinose, di martiri. Dove le processioni religiose si fermano davanti alla casa dei boss per omaggiarli. Dove alcune persone agiscono al di fuori della legge convinte di essere mosse da un potere superiore che li spinge a compiere azioni magari abiette ma con uno scopo alto, un risultato che ancora non si vede ma sarà un bene superiore per tutti. Siamo però un popolo che vive costantemente il contrasto e la contraddizione tra la spiritualità e gli scopi materiali. E del resto ce la ricordiamo tutti la religiosità particolare di Maradona, ma anche del più teutonico Trapattoni, con la sua acqua santa in panchina. Il libro è composto da sei racconti: il primo è il più surreale, rocambolesco e onirico, con animali parlanti, uno stabilimento petrolchimico altamente inquinante, preti, frati, e la statua della beata Serafina. Meloni infila spesso citazioni da nerd, riferimenti cinematografici e musicali. Gli altri racconti sono più “realistici”, sempre rocamboleschi ma meno surreali e più in stile “Un allenatore nel pallone”. Alcuni anche a modo loro commoventi, come “Ode al perfetto imbecille”, altri quasi noir come “Perché no?”. Filo conduttore è l’ironia, la voglia e la capacità di prendere e prendersi in giro, di creare situazioni assurde. Il che rende questo libro, indipendentemente che uno sia o no intenditore di calcio, una lettura fondamentalmente divertente.
«Mi sono ricordato adesso di una volta che siamo andati alle terme di Podebrady. Era estate, papà si era comprato un lungo impermeabile ed eravamo tutti vestiti a festa, io e mio fratello coi nostri completini alla marinara, ma dopo Kovanice, a forza di sventolare, il bell’impermeabile di papà si è impigliato bella ruota di dietro…» «Si dice ruota posteriore, Hrabal.» «Esatto… comunque l’impermeabile ha cominciato ad avvolgersi nell’ingranaggio della ruota posteriore e tirava papà verso di me, lui cercava di raggiungere con la mano la leva del gas, ma veniva trascinato sempre più indietro e le sue mani annaspavano nel vuoto. E anch’io cominciavo a cadere all’indietro…»
Dove sta la vita? Dove si svolge? Potrebbero sembrare delle domande banali, ma messe sotto la lente di ingrandimento, risultano interrogativi a cui forse non è semplice trovare qualcosa di sensato da dire. Chi ha risposto a queste domande nel suo modo personalissimo è stato sicuramente Bohumil Hrabal che, attraverso le sue parole, le sue pagine, ci ha raccontato un’esistenza che scorre in mezzo a tutto ciò che potrebbe apparire insignificante agli occhi di molti.
Le cose che restano sopra il bancone di legno di un pub, la polvere che, strato su strato, si solidifica sopra un vecchio cappotto, i fondi dei boccali di birra e le parole scritte su fogli di carta pronti per essere poi bruciati; i ricordi che scottano dentro la testa e una vecchia foto in bianco e nero nella sua cornice d’argento, sopra la sua mensola, che ancora ci parla, di notte, poco prima di chiudere gli occhi e dormire.
Bohumil Hrabal è nato a Brno nel 1914 ed è morto a Praga nel 1997, La perlina sul fondo è stato pubblicato in Italia da Miraggi, la traduzione è a cura di Laura Angeloni.
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Una raccolta di racconti che scava dentro le cose comuni, che si muove tra gli ultimi, che ci fa sentire le voci che non ci arrivano mai, che ci fa vedere le facce e i movimenti di chi spesso passa inosservato. Con la sua scrittura asciutta e decisa Hrabal ci conduce dentro pagine dense, reali, dentro dialoghi che sembrano quelli che potremmo trovarci a origliare mentre beviamo un bicchiere di vino, a notte tarda, in un locale dalle luci soffuse.
«Ma perché non l’ha detto subito? Faccia attenzione! Quando torna a casa dall’ufficio metta un po’ d’acqua in un pentolino e ci versi dentro parecchio rum. Lo faccia bollire, ovviamente dopo aver aggiunto chiodi di garofano e pepe. E poi beva di gusto, aspetti un quarto d’ora che la bevanda inizi ad accelerare, dopodichè ci beva sopra un bel bicchiere di liquore di segale, perché il liquore di segale agisce sul petto. Poi esca all’aperto… ormai starà già facendo buio, si butti per terra da qualche parte e si metta a dormire, e vedrà che all’alba, con la prima rugiada, il raffreddore sarà passato. È il metodo Kneipp, che è molto meglio degli impacchi di Preissnitz. Domani allora le porto i fazzoletti!»
La perlina sul fondo è un libro pieno, pieno di vite e di parole, di situazioni sempre al limite e di buone intenzioni; un libro colmo di personaggi surreali ma quanto mai sinceri. Pagine che ci fanno trovare improvvisamente tra le persone, in una strada, con i rumori del traffico che quasi si possono toccare, con il brusio di tutte le lettere superflue, che non ci servono ma che a tratti possono essere salvifiche. Hrabal cerca con ostinazione il bianco sul fondo lurido e sporco, cerca la salvezza tra chi è diverso da lui e forse, proprio per questo, in possesso di chiavi magiche per superare la sofferenza della vita.
«Io vado» disse il cognato. «La mia vecchia mi aveva mandato a comprare un disco, la colonna sonora del film Moulin Rouge, e per me prenderò uno di quei valzer zugraureri. Che croce comunque queste donne! All’inizio impazziva per le bande e le fanfare, ma appena sono cominciate a piacere anche a me, lei è passata al jazz. Quando ci siamo sposati tifavamo entrambi lo Sparta, io e Marika. Tempo sei mesi e lei ha cominciato a tenere per in biancorossi, e ogni volta che c’era un derby e lo Sparta stracciava lo Slavia non mi parlavano nemmeno i muri…
Data di pubblicazione:10 Giugno 2020
ISBN: 9788833861319
Prezzo (Euro): 16
N. Pagine: 176
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La peculiare, profondissima, forma d’amore tra Mona, infermiera in un ospedale travolto dalla guerra, e Adam, il giovane soldato che arriva dal fronte con una grave ferita alla gamba, fa qui da collante a grandi temi umani e sociali. La violenza con cui la dittatura e le guerre irrompono nella vita della collettività e del singolo, la condizione della donna, l’infanzia rubata dalla crudeltà degli adulti. Ma anche, più semplicemente, i rapporti che sbiadiscono, le distanze che aumentano, l’adolescenza, col suo carico di strafottenza e apatia che a volte si porta dietro. Nel buio e nella devastazione della guerra, in un ospedale infestato dalla vegetazione della giungla e dalle urla dei pazienti, Mona e Adam trovano un’ancora di salvezza: la parola.
Introduzione
Un muro bianco, il colore della purezza che vuole indicare tranquillità e libertà , ma che si ritrova suo malgrado ad essere la crepante testimonianza di infiniti dolori che non sempre trovano risoluzione . Un confessore muto che raccoglie storie , frammenti di vita che si susseguono , si somigliano e si confondono senza un vero perché . Nessuno può fermare la mutevolezza del tempo che corre troppo veloce anche per poterci camminare accanto . Il muro regge una casa , una struttura può essere anche la colonna portante di un sogno ma cosa accade quando si erige a fortezza del cuore ? Diamo il nostro tiepido assenso , incuranti delle conseguenze, nascondendoci sull’ effimera inconsapevolezza . Si trasforma in una parete divisoria tra il singolo e l’altro, non solo fisica ma anche emotiva sviluppando una nera incomunicabilità . Il muro si personifica e diventa un anziano che chiede con la sua flebile voce di potersi fermare un pò . Una sedia , un letto per quietare momentaneamente le sue stanche membra , senza diventare tuttavia un tutt’ uno con i simboli della catatonica società sempre più devota all’ immobilità . Il muro personificato , nonostante l’età si aggrappa alla vita e lo testimoniano le crepe che poi sono le sue lacrime per un mondo che fatica a riconoscere . Piange ininterrottamente il vecchio muro soprattutto quando si ritrova ad affrontare la dissacrante rappresentazione del male che attraversa l’ingiusta applicazione di un codice misterioso, si prende anche la vita dei più giovani. Bianca Bellovà racconta con maestria la vita negli ospedali con una straordinaria empatia regalando un raggio di sole in mezzo al buio della sofferenza .
Aneddoti personali
Sono veramente felice di avere la possibilità di recensire questo libro per tanti motivi. Prima di tutto perchè mi ha permesso di allargare i miei orizzonti letterari . Questo è stato, infatti, il mio primo approccio alla letteratura ceca che mi ha favorevolmente conquistato e sicuramente continuerò quest’incredibile viaggio con una crescente emozione e la mia grande voglia di conoscere. Il primo approccio con questo libro è avvenuto attraverso la diretta su Book Advisor svolta dall’autrice e da alcuni rappresentanti della bella famiglia della casa editrice Miraggi. Ricordo che è stata una diretta molto coinvolgente ed emozionante . Uno degli elementi che mi ha fatto avvicinare al libro è sicuramente il racconto della disabilità . Volevo capire come la raccontasse l’autrice. Vivendola in prima persona per me questo libro è stato un terribile déjà vu, ma a volte è estremamente necessario ricordare il proprio passato per migliorare il futuro .Un libro che assolutamente fa bene all’anima .
Recensione
Ascoltare il tuo silenzio che diventa il mio, è questa la tacita promessa che i due protagonisti si fanno. Il libro è narrato seguendo l’indefinita atemporalità tipica della formula c’era una volta , che conquista e ammalia con la sua magia. Il lettore è altresì trasportato in un mondo tutt’altro che magico, poiché la Bellovà ci offre un ritratto veritiero e decadente della nostra società. L’attenta analisi è svolta non soltanto attraverso luoghi ma soprattutto mediante la moltitudine di personaggi che si susseguono, ricordando che noi non siamo altro che la conseguente rappresentazione del mondo circostante. Per questo il tempo è perfettamente riconoscibile e non troppo lontano . Ė un tempo che ha l’odore della guerra, le esistenze sono come foglie d’autunno che delicatamente perdono il loro colore e cadono irrimediabilmente nel torbido e immenso baratro del niente . Ė un romanzo sul sovraffollamento degli ospedali, sulla lotta contro un morbo invisibile senza risoluzione di cui si conosce il nome ma non la vera pelle perché si nasconde in ogni epoca assumendo diverse forme e sembianze. Le rappresentazioni del bene e del male si riproducono esattamente come l’uomo, poiché sono due parti indissolubili del suo essere. La vita negli ospedali è raccontata dettagliatamente, il personale medico combatte giornalmente contro l’inciviltà umana percorrendo il canale opposto, ovvero la via della salvezza . Un percorso complesso ma estremamente empatico dove bisogna mantenere un certo distacco perchè il trasporto emotivo è dietro l’angolo e potrebbe travolgere . Lo sa perfettamente Mona , la protagonista di questa storia , un ‘infermiera che si ritrova a provare un profondo sentimento per un suo paziente . Mona acquisisce meritatamente la centralità del romanzo perché non è narrata soltanto la sua professione ma soprattutto il suo percorso di maturazione . Mona ha inconsapevolmente una colpa: essere nata donna e quindi quotidianamente ne paga il prezzo . Non vuole piegarsi al codice sociale che la vuole coperta, nascosta ma soprattutto zitta. Mona invece parla e non permette a nessuno di zittire la sua voce e dove mancano le medicine cerca di affievolire le sofferenze con il potere salvifico delle storie . Per troppo tempo Mona è stata zitta , come se non fosse viva, come se non esistesse per nessuno, adesso riemerge dal suo inferno individuale mostrando al mondo intero la sua anima ribelle . Tutto questo però funge anche da copertura, perché si ribella al mondo, ma è incapace di affrontare i suoi demoni .Non lo può negare almeno a se stessa, ci sono lati di sé che nessuno effettivamente conosce. Finché nella sua vita arriva Adam. Il protagonista maschile si presenta al lettore come il fantasma di se stesso. Adam non è altro che la proiezione corporea di Hani un giovane soldato che si ritrova inaspettatamente disabile, infatti, gli è amputata una gamba. Si è parlato di proiezione corporea perché l’anima di Adam- Hani è completamente scissa dal corpo . Vaga in un non luogo che il giovane non vuole rivelare . Ė un romanzo sulla morte dove essa è però sinonimo di un’agognata libertà. Il percorso di accettazione della sua nuova condizione è qualcosa che Adam non riesce ad affrontare o meglio non vuole. Il suo unico desiderio è morire. Mona costretta a convivere con l’apatia del marito Kamil e del figlio Ata , non può permettere che la luce fioca della candela si spenga anche per Adam , l’uomo che le ha permesso di conoscere un nuovo battito del cuore . Da quel momento inizia la loro personale rivoluzione emotiva. La traduzione di Laura Angeloni non tradisce il ritmo incalzante e magnetico del romanzo, anzi crea un ponte dialogico che squarcia l’anima. La scrittura di Bianca Bellovà è viva e poetica procede per immagini . Ė come se stesse inoltre girando il film delle esistenze dei suoi personaggi in attesa di un punto di contatto, affinché non sia tutto vano e resti qualcosa da raccontare per chi vuole indagare la straordinaria forza dirompente della memoria. La copertina rappresenta letteralmente un momento felice di Mona che la ritrae bambina mentre cerca di comunicare con il suo amico , il bue Mun . In una lettura figurata però il bue può indicare anche l’iniziale chiusura di Adam che ha costruito soprattutto per le emozioni un vero muro . Riuscirà Mona ad abbatterlo? Un romanzo sul prendersi cura , i due protagonisti si salvano insieme raccontandosi i dolori più intimi . La comunicazione orale e gestuale dà vita alla forma più totalizzante d’amore che possa esistere .Il racconto di due anime perse che combattono le tenebre cercando di eliminare ogni nuvola con la forza dei loro sogni e con quella dei loro sguardi e dei cuori tracciare un nuovo magico e speranzoso orizzonte .
Conclusioni
Questo è un libro potente che consiglio a chi vuole farsi un regalo per l’anima.
Margherita Gangemi si era innamorata di Antonino Calderone quando lavoravano al Consorzio agrario provinciale. Lei era una ragazza tutto pepe, aveva studiato da ragioniera e viveva in un quartiere “borghese” di Catania. Erano gli anni Settanta e lei cercava di ignorare la vera attività del marito, la mafia in effetti non aveva a quel tempo l’aspetto sanguinario che ha assunto in seguito. Quando durante una scampagnata in famiglia con Nino incontrò Luciano Liggio, gli chiese chi fosse quell’individuo e lui rispose che si trattava di un amico “professore”, Margherita in realtà aveva già visto sui giornali il volto di quell’uomo e qualcosa aveva intuito. Nel dicembre 1986 Nino si pentì e Margherita fu testimone di quella difficile scelta. Era lei che viaggiava da un carcere all’altro, lei che avvicinava medici e magistrati. Fu Margherita che chiamò a Palermo dalla Francia Giovanni Falcone e gli comunicò che Nino era disposto a parlare. “Venga ad interrogare mio marito”, disse la donna al giudice: “Ha molte cose da dire”, precisò. Con il magistrato Margherita, diventata intraprendente, concordò un nome inventato per poterlo chiamare senza correre il rischio che quelle conversazioni venissero intercettate. Ottenne che Falcone contattasse Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli. Margherita era desiderosa di cambiare vita e mentre il marito si trovava nel carcere francese di Aix en Provence, e collaborava, lei riuscì ad entrare con i figli in convento per trovare un po’ di tranquillità. Arrivati in Italia Nino dovette andare in carcere per scontare una vecchia condanna e Margherita si trovo sola con i figli in un rifugio segreto. Nino non poteva chiamare dal carcere perché le telefonate dovevano esser registrate e i numeri del rifugio dovevano rimanere sconosciuti…
Il libro della giornalista e scrittrice Liliana Madeo, che racchiude vicende esistenziali forti perché legate a ribellioni all’interno di clan mafiosi, è stato pubblicato per la prima volta dalla casa editrice Mondadori nel 1994. Questa è la terza edizione. Le donne le cui esistenze hanno trovato posto nello scritto sono scomparse o sono anziane, mentre nella realtà attuale tante giovani protagoniste di vicende analoghe a quelle descritte nel libro trovano ancora l’energia morale e la determinazione di varcare la soglia del luogo dove vivono e consegnare verbali e memoriali alle forze dell’ordine per rovesciare il giogo della violenza che le opprime e portare alla luce verità inconfessabili. Spesso anche per salvare i figli da logiche di reiterazioni di comportamenti che non sono più condivisi. Ciò che emerge dalle letture delle preziose testimonianze raccolte da Liliana Madeo venticinque anni orsono e che permane come fenomeno identico in tante altre storie di “donne di mafia” sino alla data attuale è purtroppo l’assenza della protezione dello Stato nei loro riguardi. Non esiste in altri termini né un circuito di tutela psicologica nei riguardi di chi sfugge alla famiglia mafiosa in preda a tumulti fortissimi né un sistema di tutela economica che consenta di continuare l’esistenza in maniera serena e sicura. E non si tratta di donne colpevoli di reati, ma semplicemente spesso di compagne, di mogli o di figlie di criminali che non hanno commesso alcun reato. Un rapporto asimmetrico che vede la vittima tutelata, il colpevole processato e la donna che si ribella messa all’indice sia dal proprio nucleo familiare e sia dalla società civile. Un plauso dunque a tutti coloro che, come l’autrice, portano alla luce le storie di queste eroine intrepide e coraggiose, autentiche protagoniste assieme a taluni organi di giustizia, della lotta alla mafia.
«A volte sembra che i libri siano un bene accessorio, come tutta la cultura, il teatro, il cinema, la musica, i concerti, ma in realtà non ne possiamo fare a meno» dice Alessandro De Vito (1971), italiano con radici ceche e allo stesso tempo traduttore e editore della casa editrice Miraggi, che nella collana NováVlna pubblica una serie di autori cechi, da Karel Čapek a Markéta Pilátová. Abbiamo parlato dell’interesse per la nostra letteratura in Italia e di come il mercato librario di quel paese sia stato colpito dalla crisi del Coronavirus.
Come è nato per lei l’amore per la cultura ceca?
La cultura ceca è un’eredità di famiglia, mia mamma è di Ostrava. I miei genitori si sono conosciuti in Bulgaria, al mare, nell’estate del 1967, e si sono visti 2 o 3 volte nel 1968 in Cecoslovacchia e in Italia. Mio padre era un giornalista, e ha avuto la fortuna di vedere e vivere la Primavera di Praga, e allo stesso tempo la sfortuna di ripartire per l’Italia il 20 agosto 1968, il giorno prima dell’invasione. Si sono sposati nel 1969, e da allora hanno sempre vissuto in Italia, dove sono nato. Ogni anno venivamo ad Ostrava dai nonni per le vacanze, e lì da piccolo ho imparato la lingua, in famiglia e dai ragazzi con cui giocavo, a Sleszká Ostrava.
Lei ha studiato Storia del cinema e ama il cinema ceco. In che modo si è occupato della nostra cinematografia?
Ho sempre vissuto con il mito del cinema cecoslovacco degli anni Sessanta, di quel gruppo di “brillanti giovani uomini e donne”, come li definì Škvorecky, che ebbero un’importanza molto grande in quegli anni e non solo per il cinema ma per l’intera società. Per questo per me è stato naturale, sfruttando un po’ la conoscenza della lingua, svolgere la tesi di laurea sulla Nová Vlna. E non è un caso che, anni dopo, il primo libro che ho tradotto sia statoVolevo uccidere J.-L. Godarddel regista Jan Němec, che ho avuto la fortuna di conoscere poco prima della morte.
Nella collana ceca che pubblica la nostra casa editrice ci sono altri punti di contatto con quella stagione del cinema ceco: Il bruciacadaveridi Ladislav Fuks, La perlina sul fondo di Bohumil Hrabal, e l’anno prossimo tradurremo proprio la storia personale del cinema ceco di Škvorecky, Tutti quei brillanti uomini e donne, che ho citato prima.
Quale è stata in Italia la risonanza della recente morte del regista Jiří Menzel?
Jiří Menzel, come Jan Němec e Miloš Forman, sono stati ricordati sulla stampa, e proprio grazie alla pubblicazione dei nostri libri siamo riusciti a far proiettare alcuni dei film della Nová Vlna al cinema, a Torino e a Trieste. Per ora tutto è interrotto a causa del Coronavirus, ma abbiamo intenzione di ripetere l’esperienza.
Nella collana NováVlna pubblicate letteratura ceca, da opere di Bohumil Hrabal e Ladislav Fuks fino ai libri di Bianca Bellová e Pavla Horáková. Come scegliete i libri?
Stiamo seguendo due direzioni, è una nostra idea di letteratura. Da un lato autori (più autrici) contemporanei, da un altro il recupero di grandi classici purtroppo dimenticati o mai tradotti in italiano.
Tutti rispondono ai requisiti di qualità e particolarità che li rendono interessanti anche per il lettore italiano, anche se sono molto differenti uno dall’altro. Si tratta di letteratura, e non narrativa di consumo. Bianca Bellová, ma anche Tereza Boučková, Jan Balabán o Ladislav Fuks sono voci uniche e irripetibili.
E nel caso di Pavla Horáková e del suo romanzo La teoria della stranezza mi è piaciuto molto l’uso che fa di un humour intelligente per descrivere il nostro tempo e disillusione della generazione degli odierni quarantenni. Il suo romanzo si può leggere come una serie su Netflix. Il lettore segue la protagonista nelle sue quotidiane e naturalmente “strane” vicissitudini, e in breve se ne innamora.
Altri temi a cui tengo molto sono la questione femminile nella nostra epoca e l’importanza della libertà, che ci viene ricordata sia dalle storie su guerra, olocausto e nazismo, sia da quelle che ci riportano alla vita sotto il totalitarismo comunista. Credo che sia sempre fondamentale mantenere viva la memoria.
Qual è l’eco delle traduzioni di letteratura ceca nel suo Paese?
Noi siamo una piccola casa editrice, e anche se il nostro progetto è ambizioso non è facile uscire dall’angolo. Direi che la collana è apprezzata, che sta crescendo, e che abbiamo riscontri positivi. Trovavo assurdo che molti dei nuovi talenti e tanti grandi autori classici cechi non fossero disponibili in italiano se non in modo non sistematico.
Credo che la casa editrice stia facendo un buon lavoro; allo stesso tempo è vero che ora per le nostre vendite non si può parlare di grandi cifre. Cerchiamo di fare il massimo del possibile.
Ha cominciato anche a tradurla, la letteratura ceca. Durante la traduzione dal ceco all’italiano, incontra qualche specifica difficoltà?
Se non ci fossero difficoltà non ne varrebbe la pena. Le difficoltà cambiano a seconda degli autori, alcuni hanno una lingua più facile, altri presentano espressioni quasi intraducibili, che mettono in difficoltà anche il lettore ceco, come accade per Hrabal.
Un caso particolare è stato il libro di Markéta Pilátová Con Bata nella giungla, in cui i personaggi spesso si esprimono nel dialetto dello Slovácko o della Haná. Ma è stato più divertente che difficoltoso. Mi ha aiutato il fatto che metà della mia famiglia ceca ha origini di quelle parti.
Io mi occupo anche della rilettura delle traduzioni degli altri traduttori, come la nostra bravissima Laura Angeloni. Abbiamo poi la possibilità di avere i consigli del disponibilissimo boemista prof. Alessandro Catalano, e credo che sia un fatto abbastanza unico, e ci dia tranquillità per quanto riguarda la qualità.
Come è stato colpito il mercato librario italiano, compresa la sua casa editrice, dalla pandemia?
Il mercato del libro è stato colpito duramente, calcoliamo di aver perso quest’anno circa metà del fatturato, e l’attuale seconda ondata di contagi probabilmente peggiorerà le cose.
Miraggi, la mia casa editrice, ha limitato i danni proprio perché molto piccola, non abbiamo molte spese fisse e siamo una struttura leggera e flessibile. Dovremo cercare idee nuove e innovative, per poter continuare il nostro lavoro. Credo però che tutto andrà a finire bene.
A volte sembra che i libri siano un bene accessorio, come tutta la cultura, il teatro, il cinema, la musica, i concerti, ma in realtà non ne possiamo fare a meno. Pubblicheremo meno, e meglio. Vogliamo e dobbiamo restare fiduciosi nel futuro. È nella natura dell’uomo. Certamente pubblicheremo meno, ma forse meglio e con ancora maggiore qualità. Dobbiamo restare fiduciosi nel futuro.
Fabio Mendolicchio: Buongiorno Luca, spesso e volentieri gli scrittori esordienti o aspiranti scrittori si iscrivono a corsi di scrittura con l’intento di acquisire e conquistare segreti e malizie di un mestiere che prima di tutto è fatto di talento. Talento o meno, la ricerca sembra andare quasi sempre nella direzione di qualche scorciatoia e con questo non voglio assolutamente affermare che i corsi non servano, anzi! Spesso s’ignora che il miraggio della scrittura possa trovare realizzazione nel suo opposto, ovvero la lettura… Sappiamo noi addetti ai lavori quanto sia importante la lettura in generale, tu sei lettore di vari generi, oserei dire abbastanza onnivoro, giusto?
Luca Ragagnin: Consiglierei di non porsi limiti e di andare a curiosare ovunque, nel presente e nel passato. Leggere i classici, partire da lì, anche i classici moderni vanno benissimo. Lasciarsi trasportare, non recintare l’emozione è fondamentale ma altrettanto importante è l’attenzione che richiedono certe opere e le scuole di scrittura, in questo senso, dovrebbero assolvere la loro primaria funzione, e spesso lo fanno, cioè diventano delle scuole di lettura, educano alla lettura, insegnano ad analizzare un testo, ad aprirlo come una scatola magica o un orologio e a mettere sotto osservazione gli ingranaggi, il registro, lo stile, la psicologia, le categorie, il tempo e i tempi, lo spazio e i luoghi, i dialoghi, eccetera. Non sono un fanatico delle categorie ferree della narratologia ma penso che possa essere utile prenderne conoscenza, se si vuole scrivere. Magari poi allontanarsene o ignorarle del tutto. In generale credo che per trovare una propria voce un autore debba leggere tanto e opere molto diverse, cioè accostare l’inaccostabile, che è un’azione che paga sempre dei buoni dividendi. Per me questa è l’unica strada possibile e se, come a volte capita, qualche giovane autore mi chiede un consiglio, non gliene so indicare un’altra.
LEGGI MOLTO
«Se vuoi fare lo scrittore, devi fare due cose sopra le altre: leggere molto e scrivere molto. Non conosco stratagemmi per aggirare questa realtà, non conosco scorciatoie.»
Se vuoi migliorare la tua scrittura, leggi molto anche tu. Leggi ogni volta che puoi, esci portando sempre con te un libro e leggi ciò che ti piace. Leggi per il piacere di farlo e vedrai che comunque imparerai da ciò che leggi, più di quanto pensi.
Anzi, paradossalmente si impara più dai libri che non ci piacciono che da quelli belli.
D’altra parte i libri belli insegnano a uno scrittore lo stile, i meccanismi più efficaci per lo sviluppo della trama e la creazione dei personaggi, la sincerità narrativa.
«Sentirsi travolti da una grande storia magistralmente raccontata, esserne schiacciati, rientra nella necessaria formazione di ogni scrittore. Non puoi sperare di travolgere qualcuno con la forza della tua penna se non ci sei passato prima tu.»
SCRIVI CIÒ CHE AMI LEGGERE
Puoi scrivere di qualunque cosa, purché tu scriva la verità.
SCRIVI CIÒ CHE AMI LEGGERE
Allora è meglio partire da ciò che ami leggere, perché probabilmente lo conosci meglio e comunque, amando quel genere, ti piacerà lavorarci così come ti piace leggerlo.
SCRIVI
CIÒ
CHE
AMI
LEGGERE
LIBERATI
DALLA
PAURA
E DALL’
OSTENTAZIONE
Scrivere bene significa prima di tutto liberarsi dalla paura: paura di non essere capiti dal lettore, di non saper trasmettere i propri concetti esattamente come li sentiamo dentro di noi, paura di essere fraintesi o sottovalutati.
Scrivere bene significa però anche liberarsi dall’ostentazione, dalla voglia di dimostrare quanto si è bravi, mettendo lo stile al di sopra della storia.
Ecco, toglitelo dalla testa. Se pensi di accontentare tutti, alla fine non accontenterai nessuno.
Se pensi che uno stile sia migliore di un altro solo perché lo dice qualche critico importante, lascia stare. Tu devi usare il tuo stile, quello che senti giusto per te, per le tue pagine, per le tue parole.
Con questo ovviamente non soddisferai tutti i lettori, ma l’importante è che tu ti sforzi di soddisfare almeno una parte dei tuoi lettori.
NON PUOI SODDISFARE TUTTI I LETTORI
Quello che ti voglio chiedere ora è: quale libro e/o autore consiglieresti di leggere e rileggere per imparare a scrivere? Chiesto così sembrerebbe un pro’ generico; proviamo a individuare qualche elemento della scrittura che possa interessare diversi scrittori, come per esempio il ritmo e/o il lessico, oppure lo stile, la forma e perché no qualcosa che abbia a che fare con quelle regole che ogni scrittore dovrebbe avere in mente? Il tuo punto di vista noi lo conosciamo bene ma chi ti legge o chi non ti conosce probabilmente no!
Luca Ragagnin: Per lo stile indico “Esercizi di stile” di Raymond Queneau, un’opera-manuale divertentissima e utilissima (splendidamente resa in italiano da Umberto Eco) in cui si narra un insignificante accadimento di vita quotidiana in 100 stili letterari differenti. Fondamentale.
Per il registro (forma e contenuto, l’abilità di maneggiare le varie lingue della vita, dei personaggi, etc) i Maestri sono tanti. Scelgo Hemingway, tutti (o quasi) i racconti.
Dialoghi? Anche qui scelta enorme (be’, lo stesso Queneau è un maestro indiscusso). E il gusto personale la fa da padrone, Scelgo invece un manuale di scrittura di Stephen King, On Writing. Me ne parlava l’altro giorno Enrico Remmert. Ogni aspirante scrittore dovrebbe leggerlo, al di là di cosa scriverà e di quanto si allontanerà dalla narrativa di King (peraltro inimitabile), perché è semplice, diretto, pratico e esaustivo, dice tutto quello che bisogna sapere.
E con questo chiudo, un caro saluto all’affollato mondo degli scrittori in erba.
Miraggi è sempre una garanzia. 💗💗💗 Mi sono innamorata di questa voce narrante così incredibile, di questa storia così malinconica e per certi versi calviniana. Fleischmann, il protagonista è un ragazzo orfano che da piccolo viene adottato da uno zio tirchio e senza scrupoli, abita nell’hotel dove lavora come factotum. Sta a 1012 metri sul livello del mare, sul monte Ještěd, dove finisce la terra e comincia il cielo. Veste in modo strano e pensa in modo ancora più strano.
Visto che si parla di meteorologia, venti, nuvole, leggerlo che perturbazione ha scatenato in te?
Grand Hotel ha scatenato in me un forte temporale che poi ha lasciato spazio a un a pioggia leggera e nel finale a un cielo azzurro e spoglio di nuvole, esattamente in questa sequenza.
Se fosse un medicinale quale sarebbe?
Se Gran Hotel fosse un medicinale sarebbe uno di quei farmaci che non hanno effetto antidolorifico ma che annebbiano la mente. Più che un farmaco direi che questo romanzo somiglia ha un effetto collaterale. Non toglie il dolore ma ti fa perdere la testa in un mondo ovattato e piano di cose troppo strane per essere vere.
Consiglieresti leggerlo ad alta voce e perché?
Io preferisco sempre la lettura intima e silenziosa e nel caso di questo gioiello direi che va proprio assaporato in solitudine magari davanti a un caminetto scoppiettante. Ad alta voce leggerei qualcuno dei dialoghi surreali fra il protagonista e gli altri personaggi che gravitano attorno all’hotel.
Tre aggettivi per descrivere Grand Hotel – Romanzo sopra le nuvole? I tre aggettivi che secondo me descrivono questo romanzo sono perturbante, onirico e indimenticabile
Ci consigli tre librerie che conosci, di fiducia, che ritieni importanti?
15 maggio 2020 Miraggi festeggia 10+1 anni di attività, e non è poco! Ma non ci fermiamo qui…
Miraggi è nata dopo la crisi del 2008, ha esordito al Salone Internazionale del Libro di Torino nel 2010 e giunge a questo traguardo con la crisi del coronavirus in atto. Fino a oggi, in questo stato di crisi permanente che chiamano editoria, abbiamo superato ostacoli che anche a noi parevano insormontabili, e abbiamo resistito. E l’abbiamo fatto dimostrando ai lettori (e a noi stessi) che con il coraggio, un pizzico di intuito, la passione e l’amore per questo lavoro meraviglioso che consiste nel “fare libri” ci si può guadagnare il proprio spazio nel mare magnum editoriale italiano. Piccoli ma forti!
Abbiamo deciso, in questo momento di crisi “viralmente perenne”, di festeggiare comunque i nostri 11 anni, chiedendo a voi, lettori che ci avete seguito e apprezzato in questi anni una piccola donazione, secondo modalità che ci permetteranno di regalarvi dei pezzi della nostra storia. Purtroppo si legge poco in Italia e un sacco di libri sarebbero destinati al MACERO ma noi non vogliamo mandarceli anche se lo spazio per tenerli scarseggia.
Potete donare con PayPal o tramite SatisPay
Ecco come:
1€ come piccolo e semplice contributo: un caffè (per lavorare meglio!)
5€ e ti regaliamo 1 libro storico di questi nostri 10 anni a sorpresa, che spediremo con piego libro (importante lasciare un recapito);
10€ e ti regaliamo 2 libri storici di questi nostri 10 anni a sorpresa, che spediremo con piego libro (importante lasciare un recapito);
Offerta libera (sapremo dimostrare la nostra riconoscenza, importante lasciare un recapito).
Grazie per la fiducia!
Se ti va di aiutarci e di diffondere e condividere questo nostro sentimento te ne saremo grati.
Ci siamo conosciuti a Palermo e ti regalammo questo libro, qual’è stata la tua esperienza di lettura con questo libro? La casa editrice Miraggi sforna meraviglie. Quando mi capita fra le mani un gran bel lavoro, in genere lo capisco fin dalle prime pagine. Così è stato per questo libro.
“Il Lago” è un romanzo incredibile. È la storia di Nami, un ragazzino che viene cresciuto dai nonni e che si trova ad affrontare mille peripezie. Patisce fame e freddo e gliene capitano di tutti i colori. Ma lui resiste. E alla fine la sua tenacia viene premiata. Nella sua ricerca mai paga dei genitori, passa attraverso un doloroso percorso di affrancamento e, suo malgrado, si scontra con un epilogo brutale. Quello del regime che in cerca di capri espiatori, insabbia le scomode verità e sacrifica i più deboli. Sullo sfondo profumi e colori della campagna che sa di povertà, essenziale ma rassicurante. Nami dopo la scomparsa dei nonni resta solo, viene picchiato e maltrattato da un sinistro personaggio che occupa con la sua famiglia la sua casa e che dovrebbe tutelarlo. Il ragazzo si innamora della compagna Zaza, la quale una sera subisce violenza da due soldati russi. Nami assiste allo stupro, salvo poi fuggire. Il suo peregrinare è un continuo allontanarsi dai ricordi e dal dolore, unito alla spasmodica ricerca delle sue radici. Nami lascia il villaggio natio e si avventura oltre l’amato/odiato specchio d’acqua. Il lago, presenza che la popolazione locale personifica, diviene una sorta di totem o meglio di altare sacrificale al cui spirito le genti del posto fanno offerte e pagano tributi. In questo lago il protagonista, a 3 anni rischia di affogare, a fine romanzo invece ci si immerge consapevolmente in una sorta di rito battesimale, chiudendo un cerchio che era rimasto aperto.
Un libro intenso, che ti afferra per il bavero e ti costringe ad aprire gli occhi sulle atrocità della politica e le nefandezze del regime sovietico. Una penna pulita e impeccabile quella della Bellova. Una prosa asciutta, spietata e marziale. Da leggere assolutamente. Per chi ama la qualità. Lo consiglio a occhi chiusi perché merita davvero molto!
Che significato ha per te scegliere un nuovo libro da leggere?
Scegliere un libro nuovo da leggere per me è come conoscere una persona nuova che mi incuriosisce. Sembrerà pazzesco ma di solito io mi sento chiamare dai libri, scorro la mano sui nuovi arrivi e uno o due al massimo mi attirano, mi ci soffermo, li sfoglio e provo un’emozione particolare che mi fa dire “ok questo lo prendo”.A volte succede che io acquisti cinque o sei libri e alcuni rimangono mesi sul mio comodino prima che io li apra. Poi di colpo attirano il mio sguardo, anche dopo molto tempo e inizio a leggerli. Ogni libro che inizio mi emoziona, mi carica di aspettative, mi parla e mi insegna qualcosa.
Tre aggettivi che possano valere per tutti i libri di cui sei Ambasciatrice? Originale, Incisivo, Coinvolgente.
A chi li consiglieresti? Da “influencer” in genere ci sono diverse persone che accolgono i miei consigli di lettura, amici e follower che mi leggono sulla pagina nella quale scrivo dei brevi post corredati con le fotografie delle copertine e di alcuni stralci. Ormai, col tempo, ho un discreto seguito e questa cosa mi rende davvero orgogliosa e felice. Tre librerie di riferimento dove acquisto io i libri sonoModusvivendi e Prospero Enoteca letteraria a Palermo e i Diari di Bordo a Parma
Ci consigli tre librerie che conosci, di fiducia, che ritieni importanti?
Tre librerie di riferimento dove acquisto io i libri sono Modusvivendi e Prospero Enoteca letteraria a Palermo e i Diari di Bordo a Parma
Ci descrivi in di 10 righe questa tua esperienza di lettura?
“C’è tutto un paese con i suoi poveri, inconsapevoli infelici, che sta attendendo un contorno”. In questa cornice sociale si sviluppa il racconto che Luca Ragagnin ambienta nel paese immaginario di Pontescuro. Un luogo chiuso, ripiegato su se stesso, all’interno del quale i cittadini, sfruttati, repressi nelle loro intenzioni, riversano sugli innocenti Dafne e Ciaccio, davvero liberi, le loro frustrazioni. “Pontescuro” è una storia che ci racconta molto del presente, del nostro presente, abitato da uomini e donne che scelgono piazze virtuali per rigurgitare frustrazioni e solitudini invece di guardarsi dentro. La natura, viva, pulsante e dotata di parola, è testimone di tale violenta frustrazione, mostrando ancora una volta quanto sia pura al contrario dell’uomo, corrotto, dannato e incapace di empatia.
I personaggi socialmente accettati sono quelli più ipocriti: il prete, la perpetua, il fattore, il poliziotto, a conferma di un mondo che corre veloce verso il baratro. Perché, come si legge, se ancora oggi come negli anni Venti, “tutti sanno tutto di tutti, è anche vero che questa particolare condizione consente di proteggere un segreto o un peccato inconfessabile nel nascondiglio migliore: davanti agli occhi dei compaesani, dritto sulle loro facce, come una gelata improvvisa”.
Perché consiglieresti a qualcuno di leggere questo libro? Perché “Pontescuro” ci guarda negli occhi e ci racconta, con metafore, neanche troppo tali, il presente e ci esorta a superare il qualunquismo, il falso e confortevole senso comune, il disimpegno, la mancanza di empatia.
Definisci questo libro con un aggettivo? Avvolgente.
Se ritieni opportuno, pensi che questo libro sia utile leggerlo a scuola? Potrebbe essere utile sollecitare gli studenti in un esercizio di immedesimazione con i personaggi, in un lavoro di confronto con la società presente.
Ci consigli tre librerie che conosci, di fiducia, che ritieni importanti?
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