Raccontare le prospettive che normalmente non vediamo
Quando ho contattato Bianca Bellová per chiederle di rilasciarmi un’intervista ero, come mi capita spesso dinanzi ad autori che ho molto apprezzato, in forte soggezione. Ho scelto con cura la forma e le parole, ho cesellato ogni vocabolo e poi ho inviato tutto. Bianca ha accettato di rispondere alle mie domande il giorno stesso, con un’energia e una gentilezza non comuni. Non sempre gli scrittori acconsentono a simili proposte, specie se queste giungono dalla redazione di una piccola rivista online nata da pochi mesi che non può vantare alcun blasonato nome o traguardo. Bianca Bellová è, fortunatamente per lei, fuori da questi meccanismi limitanti e non poteva non essere così: a rivelarlo è, del resto, ciò che scrive.
L’autrice ceca di origini bulgare, nata a Praga nel 1970, è una delle personalità letterarie più autentiche e apprezzate nel suo paese ma non solo. Il suo esordio letterario, avvenuto nel 2009, è solo la prima tappa di un crescendo sempre più meritato che l’ha vista nel 2016, con il suo romanzo “Il lago” tradotto in quindici lingue, vincitrice di due importanti riconoscimenti: il Premio Unione Europea per la Letteratura e il Premio Nazionale Magnesia Litera. È proprio con “Il lago”,edito da Miraggi nel 2018 all’interno della preziosa collana NováVlna diretta da Alessandro De Vito, che il pubblico di casa nostra ha potuto finalmente conoscere questa voce inconfondibile e potente, in grado di raccontare e scandagliare i sentimenti umani, – dai più cupi e dolorosi sino ai più teneri – con un coraggio e una profondità illuminanti. Tradotta in italiano da Laura Angeloni, l’opera di Bianca Bellová sa sempre rivelare ogni nascondiglio umano con una chiarezza e una chiaroveggenza che in tanta letteratura contemporanea è molto difficile rintracciare. Nel 2020 è stato sempre l’editore Miraggi a pubblicare l’edizione italiana del suo nuovo romanzo intitolato”Mona” e di nuovo l’attenzione di molti lettori italiani si è rivolta alla sua opera. Le prospettive umane che Bianca Bellová sa indagare e far emergere sono gli angoli più nascosti del quotidiano, quelli che più difficilmente vogliamo affrontare. Non solo la ricerca delle verità esteriori sembrano stare alla base dei suoi romanzi. A esse si affianca un’altra esplorazione parallela: quella del proprio inconscio, dei simboli che ogni individuo si costruisce per sopravvivere, quegli stessi simboli che un bel giorno vanno conosciuti davvero, affrontati, esperiti, accettati e se necessario abbattuti.
Nami, il personaggio protagonista de “Il lago”, ha una personalità molto complessa. Com’è stato entrare in empatia con uno come lui?
«Nami è un ragazzo sfortunato che cresce senza gli appigli che tutti diamo per scontati – genitori, casa, comodità – e ha una mappa molto approssimativa grazie alla quale navigare nella vita. Devo dire che non auguro a nessuno di essere nei panni dei miei personaggi. Di solito hanno sfide incredibilmente difficili da superare. E sì, mi dispiace per loro, ma si deve andare molto in profondità nella disperazione o persino nel trauma per iniziare a crescere. E poi ci sono sempre altri umani sulla strada per aiutarti a portare la tua croce».
“Il lago” è un romanzo di violenza e compassione, un romanzo di dolore ma anche di resistenza. Non ci sono giudizi, c’è solo l’umanità. Credi che la letteratura possa aiutarci ad osservare meglio il mondo e a capire gli altri più a fondo?
«Ebbene sì, lo hai detto. È il lavoro delle persone che scrivono, fanno musica, dipingono, ballano o fanno qualsiasi altra cosa per mostrare agli altri il mondo da prospettive che normalmente non vediamo».
È da poco uscito anche in Italia e sempre per Miraggi il tuo nuovo romanzo “Mona” . Quali sono i temi più ricorrenti della tua scrittura e perché?
«Quando guardo indietro, ci sono davvero temi che si ripetono: di solito si tratta di un individuo con una situazione familiare difficile, quasi sempre danneggiata. Ecco, il protagonista spesso deve far fronte a situazioni che mettono in discussione la sua integrità o conformità morale. Deve affilare bene gli attrezzi, insomma.
Inoltre, mi rendo conto che per qualche motivo non ancora ben chiaro a me stessa, c’è un tema assai ricorrente che è quello dell’acqua. È forse quasi un personaggio.
Questo vale per i miei testi più lunghi; quando si tratta di racconti, i temi variano molto, dai thriller noir, all’ironia situazionale a gravi e importanti drammi storici.
Non saprei dirti perché accade tutto ciò, io penso sempre che sono i temi a scegliere me , e non il contrario. Mi sento più come se fossi l’intermediario, una sorta di strumento o semplicemente una macchina da scrivere in grado di catturare idee e immagini che non sono interamente mie, sono solo là fuori, in attesa di essere colte, plasmate e narrate».
Hai debuttato nel 2009 e da allora hai avuto una buona risposta dal pubblico. La tua scrittura è maturata in questi anni? Cosa è cambiato nel tuo modo di fare letteratura e cosa invece è rimasto intatto?
«Credo che ci sia stato un certo sviluppo nella mia scrittura. Dopotutto, ognuno di noi dovrebbe essere in grado migliorare le proprie abilità se le mette in atto costantemente, che tu sia un falegname o un pastaio è lo stesso. Probabilmente con il passare del tempo arrivo più rapidamente ai miei obiettivi, e per obiettivi intendo le storie da raccontare. Certo, mi capita ancora iniziare a scrivere un testo che non porta da nessuna parte ma ora lo riconosco molto più velocemente e non provo più a rianimare una pagina se non respira. Rispetto a prima , la mia prosa attuale è molto più semplice o più pura di una volta, provo maggiormente a concentrarmi sulla storia e a dare al lettore più spazio per usare la propria immaginazione. Sono anche più cauta, cerco di evitare di causare troppi “traumi” al lettore, a meno che non sia davvero richiesto dalla storia. Sono sempre stata abbastanza realista, ad esempio nella rappresentazione del sesso o delle scene violente, non tralasciavo nulla, ero davvero precisa ma ora uso sempre meno scelte di questo tipo. Spero che quando sarò anziana la mia scrittura si ridurrà al minimo. Ecco, mi vedo già, con i miei capelli bianchi a pronunciare solo brevissime sentenze o piccole frasi. Possibilmente un haiku».
Pensi che si possa essere scrittori senza provare emozioni forti?
«Questa domanda è interessante, ma non so forse uno psicologo potrebbe rispondere meglio. Conosco un gran numero di autori di successo, alcuni estremamente introversi, altri estremamente estroversi, ma come e se provano emozioni forti possono saperlo solo loro. Certo, credo che serva una dose elevata di empatia e capacità di osservazione estrema per scrivere testi che siano coinvolgenti per gli altri.
L’estrema sensibilità e l’estrema creatività spesso vanno di pari passo: questa sensibilità è insieme una benedizione e una maledizione per chi la possiede. La percezione del mondo per la persona sensibile è molto più densa e colorata, ricca di sfaccettature e visioni, ma la sua vita quotidiana può essere davvero dura; è più reattiva agli stimoli e questo può riversarsi anche non positivamente sul suo sistema immunitario. Questo tipo di persona si stanca facilmente, ha reazioni molto più emotive rispetto al normale e spesso non è in grado di gestire il rumore o la folla per periodi di tempo lunghi. È come se dovesse in qualche modo pagare questo dono che possiede la sensibilità appunto, ma dall’altra parte ha il privilegio di averla e usarla per gli altri, per stimolare e nutrire la loro immaginazione».
La scrittrice italiana Elsa Morante ha detto: “Una delle possibili definizioni giuste di scrittore per me, sarebbe anche la seguente: una persona a cui importa tutto ciò che accade, tranne la letteratura”. Sei d’accordo? Qual è la tua definizione di scrittore?
«Sono assolutamente d’accordo. Non mi interessa la letteratura, mi interessano solo i buoni libri e le storie buone. Ed è molto importante essere intuitivo e “prensile” su tutto ciò che accade: chi scrive dovrebbe essere sempre pronto a trarre ispirazione da qualsiasi angolo, anche il più improbabile della conoscenza umana, che si tratti di uno stralcio di poesia cinese del IV secolo o di notizie di microcriminalità su un giornale di provincia. Per me lo scrittore è qualcuno che scrive per vivere ma qui ci inerpichiamo in un percorso pericoloso e complesso.
Puoi essere super bravo – come Ian McEwan, diciamo, o Stephen King – ma puoi anche essere condizionato da bisogni materiali e quindi decidere di abbandonare la tua autenticità di autore solo per scrivere ciò che sai che lettori apprezzeranno (e compreranno). Questo è un vicolo cieco troppo pericoloso per l’esplorazione e la creatività e non vorrei mai percorrerlo. Non voglio dipendere finanziariamente dalla mia scrittura, voglio solo ottenere piacere e soddisfazione dal processo di scrittura».
Bianca Bellová è una scrittrice ceca di origini bulgare. Nata a Praga nel 1970, ha scritto una serie di libri: Sentimentální Román (Sentimental Novel, 2009), Mrtvý muž (Dead Man, 2011), Celý den se nic nestane (Non accade niente tutto il giorno, 2013) e Jezero (The Lake, 2016). Con Jezero ha vinto il maggior Premio Letterario della Repubblica Ceca, il Magnesia Litera e inoltre nel 2016 si è aggiudicata il Premio dell’Unione Europe per la letteratura. Jezero è stato tradotto in numerose lingue tra cui l’italiano con il titolo Il lago per le edizioni Miraggi (traduzione di Laura Agnoloni). Il 3 giugno 2020, sempre per Miraggi Edizioni è uscito Mona, il suo ultimo romanzo.
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