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Mie adorate signore ecogattopardate che anelate il solstizio d’estate e glutei pressostampati,     

ho ululato di giubilo alla luna sprofondante nel rovente bacino, ho ballato sotto la pioggia acida che scarnifica il mio inaccessibile terrazzo, ho bevuto punch al mandarino fino ad accartocciarmi come una lattina di alluminio schiacciata e tutto, tutto quanto, tutta questa gioia incontenibile, dirompente, scavallante, purificante come una brezza che discende le pendici del monte Fuji, tutto quanto per avere scoperto questo libro pirotecnico come uno spettacolo al Rione Sanità, spumeggiante come una gazzosa agitata e soprattutto selvaggio, selvatico, maleducato, prepotente, schiaffeggiante come ben pochi altri io abbia incontrato.

Vi dico come è avvenuto. Sono entrato, ho percorso la fila di libri una volta, l’ho percorsa una seconda volta a ritroso, poi l’ho percorsa una terza volta e ho fermato il passo verso la fine, quasi alla svolta a destra della fila di libri. Era lì, di grigio travestito, quel titolo inconcepibile, un alieno tra la folla, un pazzo seduto tra i mediopensanti, uno nudo in fila tra gente vestita da capo a piedi. È successo proprio così.

Brucio Parigi. Ah che titolo! Trovatemene uno più insolente se siete capaci. È pura insolenza questo libro, meravigliosa insolenza. Talmente insolente che il povero Bruno Jasieński, una volta scritto e pubblicato, per altro in condizioni a dir poco ridicole, e dopo aver radunato folle ululanti di gioia per codesta opera, venne espulso dalla Francia dai mangiarane parrucconi franzosi impermalositi e si ritirò in Unione Sovietica dove, come ci si poteva immaginare, finì tragicamente. Era il 1929 e Brucio Parigi è, signorone e signorine palpitanti e palpebranti, un inno futurista, comunista, nemmeno troppo velatamente antisemita, come d’altronde era l’epoca, intimamente anarchico e, io aggiungerei per dare una ventata di post-moderno demodé, un manifesto punk di purissima fattura. Brucio Parigi è un libro carnalmente punk. Ciò lo rende grande. Il punk forse è morto per qualcuno, ma di certo è nato anche con Brucio Parigi.

Qualcuna di voi si incuriosirà, certo certo, un calore, una vampata di proibito, un eccesso che scuote membra infiacchite dagli allenamenti, come l’idea di raparvi a zero, lo so che vi viene, di tanto in tanto, il gesto di rottura, rinchiuso nello sgabuzzino del cervello, perché non leggere un libro così allora, selvaggio e insolente? Ma certo perché non farlo, ma siate avvertite che non è per tutti, domandatevi, sono un lettore o sono un personaggio? Domanda curiosa, domanda impertinente, quasi maleducata, come osa? non si permetta! Io personaggio? Personaggio a me non lo dice nessuno! E poi, personaggio di che, di cosa, di chi? Attenzione mie dilette, cautela, prudenza, sfoderate le armi borghesi, lisciate l’agio della modernità e titubate prima di intraprendere il sentiero oscuro delle pazzia futurista. Il sentiero dei pazzi si addice ai pazzi e in questo caso chi può dire di esserlo o di non esserlo?

Brucio Parigi, Brucio Parigi, Brucio Parigi… ti entra in testa e non ne esce. Ti deturpa, come un herpes. Come un brufolo sulla punta del naso. Inizia con un velo di oscurità fitta e pesante, una maglia spessa calata sulla faccia. Per un po’ non si comprende. Poi tutto inizia a girare, a vorticare, come a stare in un barile che rotola giù da una collina. Tutto vortica sempre più velocemente, si perde il senso del sotto e del sopra, della luce e del buio, cos’è luce? cos’è buio? la pestilenza è luce o buio? gli ebrei, i comunisti, i francesi, gli americani, i capitalisti, gli operai, gli scienziati, tutti questi, sono sopra o sono sotto? Da che parte stanno? E tu, gattopardata, da che parte stai? Che ne sai di immaginare il mondo in modo selvaggio? Che cosa vuol dire per te selvaggio? Non rispondere, è pericoloso. Parlare è insalubre in certe situazioni.

Nelle oscure profondità dell’oceano, dove non arrivano più le correnti, i vortici e lo sciacquio delle onde, in un’immobile acqua verdastra morta come l’acqua di un acquario, tra foreste di alghe gigantesche e di sigillarie e liane antidiluviane, vive la passera di mare.
[…] Sul fondo vive la passera di mare. Qualcuno la prese, la tagliò a metà lungo il dorso e mise una metà sulla sabbia. La passera di mare ha soltanto un lato, il destro. Il suo lato sinistro è il fondo marino.
Un organo sparisce, se non viene utilizzato. Tutti gli organi della passera di mare del lato sinistro, inesistente, si sono spostati sul lato destro e dal lato destro, l’uno accanto all’altro, un paio di occhi piccolini indifferenti guardano sempre verso l’alto.
Gli occhi guardano sempre in su, tutti e due dalla stessa parte, mostruoso, orribili, bizzarri; mentre il lato sinistro non esiste.
Nell’enorme città di Parigi, in una rossa casa lentigginosa in rue Pavè, abita il rabbi Eleasar ben Tsvi.
[…] Il rabbi Eleasar ben Tsvi ha due occhi l’uno vicino all’altro e questi occhi guardano sempre in su, inespressivi, piccoli, molto somiglianti, rivolti al cielo dove credono di poter vedere alcune cose percepite solo da loro. Un organo sparisce, se non viene utilizzato. Il rabbi Eleasar ben Tsvi vede tante cose inaccessibili allo sguardo umano, però non vede quelle più semplici; conosce soltanto un lato, quello rivolto al cielo, mentre quello rivolto al suolo non esiste.

Pazzi, folli, squinternati, gattopardi derelitti, borghesi infracicati, prostrati dalla privazione da sonno, fustigati dall’instabilità emotiva, sessuofobi e sessuomani, psicolabili camuffati, bruciate Parigi finalmente, bruciate la città meravigliosa, il faro d’Europa, la luce della civiltà, lasciate che le fiamme ardano per mesi, per anni, inestinguibili, ballate e ululate sulle braci ancora roventi, date questa soddisfazione ai signori borghesi, normali parrucconi, gradassi benpensanti che non desiderano altro, niente li renderebbe più soddisfatti e pacificati di vedere voi, massa brulicante e fetente di neri scimmioni alzare grida di vittoria dalle macerie e dal carbone di Parigi.

Lunga vita al punk. Lunga vita a Brucio Parigi.

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