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La forza espressiva della poesia contro la violenza di genere

Un canto di recupero e ricostruzione di sé attraverso la poesia. L’amore malato, il dolore, la violenza e l’abbandono raccontati in versi con un linguaggio originale e potente

Felicia Buonomo nel suo lavoro da giornalista d’inchiesta racconta quotidianamente ciò che accade nel mondo: spesso sono storie dolorose, drammi umani, vere e proprie sciagure. Nella raccolta pubblicata da Miraggi Edizioni‘Cara catastrofe’, sceglie l’arte poetica per affrontare traumi emotivi legati all’Io, a quell’amore che declina in sofferenza, veemenza e distacco. Si entra nella realtà che appartiene a tante donne che vivono relazioni di dipendenza affettiva, amori malati che si concludono, il più delle volte, con un tragico epilogo.

Quando si vive nel tormento, quella situazione diventa familiare a tal punto che ci si culla dentro. Felicia Buonomo con quel dolore, di cui è testimone, dialoga: la “catastrofe” narrata diviene cara e il lettore diventa partecipe. È soltanto affrontandolo, guardandolo in faccia – il dolore –, che si può superare. Negarlo significherebbe smarrirsi in un vortice senza via d’uscita.

All’inizio di ogni legame con l’altro c’è l’incanto, il potere che l’amore produce quando emana la sua energia: “m’innamori/come il gelo sul lungolago di Mantova,/le luci dei lampioni di Milano,/le onde sul porto di Genova”. Qui la bellezza dei luoghi va a coincidere con l’armonia dei sentimenti: ne esce una sorta di geografia emotiva che, nella fluidità dei versi, rende il testo efficace e vibrante.

tormenti assumono le fattezze delle foglie, la sofferenza si poggia come una piuma: “Reggo le foglie dei miei tormenti/su cui ti adagi leggera”. Nella simbologia, le foglie richiamano il senso della fragilità dell’esistenza e indicano una ciclicità di morte, pur mantenendo un sottile filo di speranza. In questo caso è il verbo reggere a ricondurre alla resilienza di fronte alla frattura interiore.

Con una scrittura tagliente, incisiva, essenziale e chiara, Felicia Buonomo costruisce un’opera originale in cui la poesia è l’ancòra di salvezza, la luce in fondo al tunnel, la cura al male, che non è un male lontano da sé e dagli altri, ma concreto, plurale, condiviso. Pur toccando tematiche del mondo femminile, chiunque può riconoscersi al di là del genere, perché l’angoscia ha radice profonda e prima o poi tocca tutti.

Fa piuttosto male l’indifferenza di chi si volta dall’altra parte e non si sente direttamente coinvolto dalle situazioni. È così che le liriche si riempiono di corporalità: lividi; clavicole; braccia molli; occhi rossi; carne debole; pelle tumefatta. Ogni ferita è un colpo inferto all’umanità e la potenza dei versi è tale da diventare grido che vuole scuotere le coscienze.

L’autrice compie un carteggio con la catastrofe intima, si confronta con l’Io e la sua ombra: è un percorso corale, che abbraccia le molteplici voci di un universo femminile, il tormento viene percepito, superato e rielaborato con la forza espressiva. Ci si salva dall’inferno con la bellezza delle parole.

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