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“Brace”: l’intervista di Daniela Bezzi a Jacinta Kerketta su il manifesto

“Brace”: l’intervista di Daniela Bezzi a Jacinta Kerketta su il manifesto

Una quarantina di poems vibranti di tensione per quel continuo stupro di terre (oltre che di corpi) del quale è stata testimone fin da bambina nelle zone tribali del sud Jharkhand, in cui è nata. Land grabbing, sfollamenti, regolamento di conti tra minatori e caporali, regolarmente risolti in favore del più forte, foreste teatro di ogni genere di saccheggio – o poi la fame, ‘che diventa fuoco’; campi impunemente sacrificati, magari a una diga. E la città che avanza, annulla/rimescola ogni identità

Su il manifesto del 5 maggio 2018 è stata pubblicata una splendida intervista di Daniela Bezzi a Jacinta Kerketta, autrice di “Brace”

“Frigorifero mon amour”: la recensione-intervista di Federica Tronconi su ultimariga.it

“Frigorifero mon amour”: la recensione-intervista di Federica Tronconi su ultimariga.it

Frigorifero Mon Amour (Miraggi Edizioni) è  libro umoristico che affronta il tema dello spreco alimentare. Il protagonista del libro, Felice, è un marito e un papà che, vessato dalla moglie e dalle temibili figlie, deve fare i conti con la fuga del proprio frigorifero, esasperato dallo spreco di cibo cui assiste quotidianamente. Da quel momento Felice (ma sempre meno) proverà in tutti i modi a ricongiungersi con l’amato elettrodomestico. Alla fine di un turbine di eventi travolgenti: la morte improvvisa della caldaia, le sedute devastanti dal dentista, i weekend deliranti con le figlie e le colleghe fissate con le diete e lo shopping, sarà costretto ad affrontare una rocambolesca quanto grottesca discesa agli Inferi per ritrovare il suo amato frigorifero e il senso della propria esistenza. Il libro è anche sostenuto dal Banco Alimentare, che combatte lo spreco ridistribuendo ogni giorno alimenti a migliaia di famiglie in difficoltà sul territorio nazionale.

Lo scrittore Andrea Serra (Torino 1975), è seguito su Facebook da migliaia di persone per i suoi racconti umoristici. Nel 2016 con il racconto Il mio dentista ha vinto la XV edizione del Concorso Racconti nella rete e l’ha pubblicato in un’antologia edita da Nottetempo. Nello stesso anno ha vinto la II edizione del Concorso 88.88, premio nazionale per racconti brevi. E nel 2017 ha vinto il Premio speciale della giuria della XVI edizione di InediTO-Colline di Torino sezione Narrativa-Racconto. Pubblica quotidianamente pezzi ammuffiti dei suoi racconti e su Facebook e Instagram.  Frogorifero Mon Amour è il suo primo libro.

Serra utilizza con grande arguzia ed intelligenza l’ironia per parlare nel libro di temi importanti, come lo spreco alimentare. Un romanzo godibile e di attualità. La vita quotidiana della famiglia di Felice è talmente simpatica e accattivante da sentirne la mancanza a fine romanzo. Speriamo di ricontrarla presto in un nuovo progetto con tante altre avventure (o disavventure). Abbiamo raggiunto l’autore per parlare dei temi centrali del libro.

Come è nata l’idea di raccontare uno spaccato di vita quotidiana?
Questo libro nasce dalla mia abitudine alla scrittura e soprattutto alla lettura, che mi accompagna da quand’ero piccolo. Ho sempre letto tantissimo e tenuto un diario su cui appuntavo poesie, riflessioni e racconti. Qualche anno fa ho iniziato a raccontare le vicende della mia famiglia e del mio frigorifero con un tipo di scrittura nuovo, nato un po’ per caso in una sera di stanchezza. Mi sono scoperto a ridere da solo mentre scrivevo. Ho fatto  poi leggere qualcosa a mio fratello e ad alcuni amici che mi hanno consigliato di metterlo sui social. E così ho fatto e tante persone hanno iniziato a leggermi e seguirmi. Nel frattempo stavo lavorando ad un romanzo di altra natura, dai toni più intimisti, che immaginavo come “il mio primo libro”. Nei ritagli di tempo, quando volevo rilassarmi e divertirmi, continuavo quello sul mio frigorifero. E il risultato è che quello a cui pensavo come un passatempo è diventato il mio vero primo libro: come si dice, la vita è quella cosa che accade mentre sei intento a fare progetti.

Raccontare la famiglia e la routine è sempre un rischio invece tu con grande intelligenza se riuscito a rendere il tutto molto interessante: quali sono gli ingredienti fondamentali?
Non so, è venuto fuori tutto da solo: forse il segreto è stato quello di guardare con occhi nuovi quello che accade normalmente in una famiglia e scoprire che magari il frigorifero non è solo un elettrodomestico ma ha dei pensieri e dei sentimenti propri. Penso che in tutto questo abbiano influito le mie letture e il percorso di analisi che mi ha portato a riconsiderare complessivamente la mia esistenza. Devo ammettere che scrivere questo libro ha coinciso con un cambiamento anche nella mia vita famigliare. Ho iniziato a guardare con occhi nuovi e con stupore anche i fatti più banali. Perché in fondo ogni momento dell’esistenza è meraviglioso: da tua figlia che ti fa una domanda in piena notte o al tuo postino che ti recapita una cartella di Equitalia. Sono momenti unici e irripetibili che vale la pena di ricordare.

Il tema portante del tuo romanzo è contro gli sprechi alimentari: puoi spiegarci bene?
Dopo l’ennesimo pacco di carote ammuffite, un giorno parlai con mia moglie e decisi che avremmo cercato di sprecare meno (anche perché nel frattempo il mio frigorifero si era arrabbiato parecchio ed era scappato, come racconto nel libro) e mi informai: venni a conoscenza di tutta l’attività del Banco Alimentare e lessi con apprensione che nel mondo un terzo della produzione alimentare finisce nella spazzatura mentre 800 milioni di persone sul nostro pianeta vivono in stato di denutrizione: un fatto inaccettabile. E’ come se quando andiamo a fare la spesa riempissimo tre carrelli della spesa e ne buttassimo uno nella spazzatura. Per fortuna stiamo maturando una maggior sensibilità, e dal 2016 ad oggi nel mondo e in Italia lo spreco è diminuito concretamente. Ma si può fare ancora tanto. La cosa che mi fa piacere è che molte persone leggendo il libro  hanno iniziato a fare più attenzione, proprio come è successo in casa nostra. Credo che questo sia molto bello da tanti punti di vista. Anche perché alla fine l’attenzione è un atteggiamento e un valore fondamentale. E’ l’unica via che conduce allo stupore e ti regala occhi nuovi con cui guardare il mondo.

Quanto c’è nel romanzo della tua vita?
Il libro parte da vicende  realmente accadute, anche se poi profondamente rielaborate: come ad esempio per quanto riguarda il protagonista principale che ho chiamato Felice perché rappresenta l’uomo tipico della nostra società: indaffarato, sempre di corsa e in ansia, succube della società consumistica e dell’ultimo modello di Iphone, e fondamentalmente “infelice”, o per dirla secondo il linguaggio del libro, “ammuffito”. Sono partito dalla mia vita ma ho dato al libro una direzione ben precisa, come per fotografare una tendenza della nostra società, come si capisce bene dal finale. La mia vita, per fortuna, non è ancora così ammuffita o perlomeno, ogni giorno cerco di fare qualcosa per non farla ammuffire. E questo credo che sia già tantissimo. Sì, il mio frigorifero mi sta confermando che questo è già tantissimo.

Federica Tronconi

 

“Frigorifero mon amour”: la recensione-intervista di Federica Tronconi su ultimariga.it

“Frigorifero mon amour”: l’intervista ad Andrea Serra su italiastarmagazine.it

Di Floriana Naso

Frigorifero Mon Amour di Andrea Serra, edito Miraggi, è un libro che prova ad affrontare con ironia il tema dello spreco alimentare. Racconta, sotto forma di diario, la storia di Felice che, oltre ad essere vessato dalla moglie e dalle temibili figlie, deve fare i conti con la fuga del proprio frigorifero, esasperato da tutto lo spreco di cibo che viene fatto quotidianamente. Il frigorifero dopo aver visto l’ennesimo pacco di carote ammuffite, indossa un piumino, si mette i mocassini e se ne va via di casa per sempre. Da quel momento il protagonista avvertirà la mancanza del frigorifero in maniera lancinante e proverà in tutti i modi a ricongiungersi con l’amato elettrodomestico. Una serie di eventi travolgenti (le sedute devastanti dal dentista ossessionato dagli alieni, i week-end deliranti chiuso in casa ad ammuffire con le figlie e le colleghe fissate con le diete e lo shopping) lo ostacoleranno ancora di più, fino a quando sarà costretto ad affrontare una discesa agli Inferi per ritrovare il suo amato frigorifero e il senso della propria esistenza.
Il libro è sostenuto dal Banco Alimentare che combatte lo spreco alimentare ridistribuendo ogni giorno alimenti a migliaia di famiglie in difficoltà sul territorio nazionale.

Dalla postfazione del Banco Alimentare:
Capita così sovente che qualcosa “ammuffisca” nei frigoriferi casalinghi, industriali o delle mense che non ci rendiamo più conto che, carote, prosciutti, formaggi o mille altre prelibatezze potrebbero, se accuditi, sfamare centinaia, migliaia, anzi, milioni di persone purtroppo condannate alla miseria alimentare; questo libro, in modo scherzoso, è stato scritto per favorire la riflessione delle persone che, loro malgrado, agevolano la “FUGA DEI FRIGORIFERI”. Qualche cifra è necessaria per valutare l’ampiezza dell’emergenza alimentare: lo scorso anno (2016) sono state 815 MILIONI le persone, di cui 159 MILIONI di bambini, in stato di malnutrizione e, di questi, più di 8.500.000, di cui 6.500.000 bambini, sono deceduti per cause ascrivibili alla malnutrizione, scarsa o assente. Noi, paesi dell’Unione Europea, ogni anno produciamo uno spreco alimentare che vale 143 miliardi di euro e, se espresso in peso, sono ben 88 milioni le tonnellate di alimenti che finiscono ogni anno, gettati nella spazzatura. Il soggetto che contribuisce maggiormente allo spreco alimentare sono le famiglie con 47 milioni di tonnellate, vale a dire il 70% dello spreco alimentare europeo derivante dal consumo domestico, dalla ristorazione e dalla vendita al dettaglio. Secondo i dati Fao, solo in Italia, un anno di spreco di cibo potrebbe sfamare circa 44 milioni e mezzo di persone mentre, a livello globale, ogni anno, più di un terzo della produzione mondiale di cibo si perde o si spreca lungo la filiera: circa 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti sono sciupati solo considerando la frazione commestibile. Il Banco Alimentare è una rete di organizzazioni (21 sul territorio nazionale), senza fine di lucro, che ha lo scopo di raccogliere le eccedenze di produzione, agricole e dell’industria alimentare, organizzando la ridistribuzione alle Strutture Caritative per aiutare i poveri e gli indigenti. Qualche numero delle attività 2016 del Banco alimentare: 588 Strutture Caritative convenzionate in Piemonte 113.200 Assistiti in Piemonte (38% delle persone in stato di povertà assoluta) 6.325 Tonnellate di cibo distribuite in Piemonte 808 Tonnellate di cibo raccolto, in Piemonte, durante la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare Questo è il valore dell’attività, visti i numeri, che può essere effettuata soltanto grazie alla collaborazione di: 1.200 supermercati che prestano i loro spazi per la buona riuscita dell’attività di raccolta 12.300 volontari dal primo mattino a tarda serata, rendono possibile la missione e la sensibilizzazione di 730.000 donatori che sentono e vivono la Solidarietà tra le persone dimostrando, in questo modo, che si può convincere molti FRIGORIFERI a non fuggire dalle nostre case perché lo spreco è stato, se non vinto, almeno compreso.

Abbiamo intervistato l’autore.

La scrittura umoristica è rara, proprio come gli attori comici; è sempre stata nelle tue corde?
No, anzi… io sono nato triste, poi la tristezza è aumentata fino a sfociare nella depressione quando avevo 16 anni. La discesa fino alla tristezza più abissale mi ha portato alla disperazione e poi… ho iniziato a ridere. Quindi ho avuto queste due fasi che mi hanno portato dove sono ora.
Da cosa è nata l’idea di scrivere racconti su questa tematica e soprattutto in chiave comica?
È nata da un episodio di vita concreta, ho semplicemente descritto ciò che ho visto. Ossia, un giorno mia moglie è arrivata davanti al frigorifero e gli ha detto la parola magica: “Apriti scemo!” e da quel momento in poi mi è venuta l’ispirazione di descrivere ciò che accadeva. Quindi ho scritto di carote ammuffite che scappavano, del frigorifero arrabbiato…
E come sta adesso il tuo frigorifero?
Non benissimo… ha fatto l’influenza. Ha contratto un virus e sta ancora prendendo gli antibiotici. Stamattina gli ho misurato la febbre e aveva sette gradi… comunque penso che si riprenderà presto!
E le carote?
Le carote stanno bene! Oramai fanno parte della famiglia… non sono tante, ma oggi la più grande compie diciotto anni e stamattina andava a dare l’esame per la patente…
In che modo si sviluppa la storia del protagonista?
La storia del protagonista si sviluppa sotto forma di diario. Questo libro è raccontato in prima persona, c’è una sequenza di episodi a partire dalla fuga del frigorifero, e da lì il protagonista capisce che ha sempre amato il frigorifero e quindi tenterà di ritrovarlo ma sarà ostacolato dalla moglie, dalle figlie, dal dentista, dal meccanico di fiducia… fino al tragicomico epilogo che scoprirete alla fine.
Quali riflessioni sarà portato a realizzare il lettore alla fine del tuo libro?
Il lettore, dopo aver letto il mio libro, credo che correrà in cucina ad abbracciare il suo frigorifero! E poi credo che farà più attenzione a tutto quello che nel frigorifero inizierà ad ammuffire.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Mi ha lasciato tantissima muffa… e dodici pacchi di carote nel frigorifero…
Cosa occorrerebbe fare, secondo te, per diminuire al minimo gli sprechi?
La prima cosa fare sarebbe quella di dare ascolto al proprio frigorifero… perché hanno molto da insegnarci i frigoriferi… in realtà basterebbe davvero poco per diminuire lo spreco, per esempio riguardo ciò che si compra in relazione a ciò che si mangia. Dopo aver scritto questo libro, per esempio a casa mia, mia moglie ha smesso di comprare le carote e quindi non le facciamo più ammuffire!
Secondo te, come è affrontato il fenomeno dai media nazionali?
Secondo me è affrontata poco e male. Se ne parla poco, è raro sentir parlare di spreco alimentare, sebbene ci sia una sensibilità crescente. Tuttavia gli altri paesi europei sono molto più avanti di noi nell’affrontare questa tematica. Uno dei motivi per cui ho scritto questo libro è anche questo: per aumentare l’attenzione di tutti su questa tematica fondamentale.
So che il tuo libro contribuirà a sostenere il Banco Alimentare, vuoi spiegarci come?
Sì, il mio libro sarà sostenuto dal Banco Alimentare a cui andranno i proventi sulle vendite e questo mi fa un grande piacere. Nel mondo ci sono 800 milioni di persone denutrite e quello che si butta nei paesi occidentali è quattro volte superiore a quanto servirebbe per sfamare quelle persone.
Hai in programma presentazioni?
Sì, porterò il libro in tutta Italia, le prime presentazioni saranno: il 17 febbraio alla libreria I 7 Pazzi a Torino. Poi il 23 e il 24 febbraio sarò a Roma e comunque sulla mia pagina Facebook ci sono tutte le date, indirizzi e orari. Il 9 marzo sarò di nuovo a Torino, alla Luna Storta e poi toccherò varie città come Cagliari, Genova e altre in giro per la penisola.

“Frigorifero mon amour”: l’intervista ad Andrea Serra su Il Risveglio

“Frigorifero mon amour”: l’intervista ad Andrea Serra su Il Risveglio

CIRIÈ. S’intitola “Frigorifero mon amour” il libro dello scrittore ciriacese Andrea Serra balzato ai vertici della classifica Bestseller Narrativa di Amazon. Tema lo spreco alimentare di cui si è parlato nei giorni scorsi in occasione della Giornata nazionale di prevenzione del 5 febbraio. L’autore lo affronta in chiave ironica facendone un’opera divertente edita da Miraggi Edizioni con il sostegno del Banco Alimentare del Piemonte. È la storia di Felice che, oltre ad essere vessato dalla moglie e dalle temibili figlie, deve fare i conti con la fuga del proprio frigorifero che, dopo aver visto l’ennesimo pacco di carote ammuffite, se ne va di casa per sempre. Da quel momento il protagonista ne avvertirà la mancanza in maniera lancinante e proverà in tutti i modi a ricongiungersi con l’amato elettrodomestico. Una serie di eventi lo ostacolerà fino a quando affronterà una dantesca discesa agli Inferi per ritrovare il suo amato frigorifero e il senso della propria esistenza.

Nato a Torino nel 1975, Andrea Serra si laurea in Filosofia e per anni ha insegnato alle superiori. Attualmente lavora in un’agenzia formativa. Nel 2016 con il racconto “Il mio dentista” vince la 15ª edizione del concorso Racconti nella rete e la 2ª edizione del concorso 88.88, premio letterario nazionale per racconti brevi, ed è tra i finalisti della 15ª edizione del Premio InediTO-Colline di Torino, sezione Narrativa-Racconto. Nel 2017 è finalista alla 16ª edizione del Premio Il Salmastro e alla 10ª del Premio Internazionale Città di Sassari e vince il premio speciale della Giuria alla 16ª edizione del Premio InediTO-Colline di Torino.

L’idea di scrivere questo libro è nata tre anni fa per dare un contributo alla lotta contro lo spreco alimentare: «Prima di tutto – spiega l’autore – un contributo concreto perché una parte dei proventi andrà proprio al Banco Alimentare del Piemonte. Poi spero nel mio piccolo di aiutare a sensibilizzare sempre di più verso questo tema fondamentale, se pensiamo infatti che nel mondo occidentale si spreca una quantità di cibo tale da poter sfamare quattro volte gli 800 milioni di persone che soffrono la fame sul pianeta, non possiamo rimanere indifferenti. Spero di far conoscere il libro anche nelle scuole per sensibilizzare anche i più giovani».

(c.f.)

“Boris Vian, il Principe delle notti di Saint-Germain-des-Prés”: Monti racconta Vian

“Boris Vian, il Principe delle notti di Saint-Germain-des-Prés”: Monti racconta Vian

Giangilberto Monti è uno dei massimi conoscitori di Boris Vian. Con il suo nuovo lavoro – Boris Vian, il Principe delle notti di Saint-Germain-des-Prés – ha scelto la via del docu-romanzo per raccontare un artista unico (scrittore, poeta, autore di canzoni, musicista: ma soprattutto un genio di un’epoca irripetibile) che ancora oggi rappresenta un punto di riferimento per molti.

Monti, perché oggi Vian è ancora così importante?
«Per la contaminazione tra le arti, la capacità di anticipare la realtà, la lucidità intellettuale. E la grande sperimentazione linguistica».

Qual è stato il tuo primo incontro con Vian?
«Erano i primi anni Novanta. Mi trovavo a casa di Riccardo Pifferi – autore e regista – con il quale stavo scrivendo uno spettacolo. A un certo punto mi ha consigliato di leggere Textes et chansons, un tascabile antologico di Vian. Da lì ho iniziato a interessarmi ai suoi lavori e mi sono reso conto di quanto la mia carriera fosse affine alla sua».

A quali conclusioni sei giunto?
«Intanto che lui è molto più bravo di me… (risata). Diciamo che è diventato una sorta di alter ego intellettuale. Le sue idee sulla musica, sulla politica, sull’arte in genere, sono quelle che ho sempre avuto io. Una specie di specchio. Ma molto più bravo di me…».

Se dovessi indicare a chi non lo conosce come accostarsi a Vian, cosa suggeriresti?
«I romanzi La schiuma dei giorni e Sputerò sulle vostre tombe. E poi ascoltare del jazz. E non avere preconcetti, essere politicamente scorretti. Come diceva Jobs, essere molto affamati».

Vian era affetto da una cardiopatia congenita: sapeva che la sua vita era a tempo. Pensi che questo abbia inciso nel suo inesauribile attivismo?
«Quando hai la percezione della malattia e che il tuo tempo è molto importante, cerchi di riempirlo in tutti i modi possibili perché ogni minuto è prezioso».

Artista ma anche dirigente del reparto discografico jazzistico della Philips: come vivono queste due anime in Vian?
«Un artista vero delega molto difficilmente. Michelangelo trattava personalmente col Papa la propria paga quando gli chiedeva di finire il Giudizio universale. Ma credo sia normale, perché si vuole avere il controllo totale: un artista desidera che appaia esattamente quello che lui ha pensato di far arrivare».

Boris Vian è anche al centro di un tuo spettacolo…
«Sì, riprendo canzoni che ho tradotto e registrato e racconto la sua vita in uno spettacolo di narrazione musicale».

Operazione che stai portando avanti anche con le canzoni di Dario Fo: un libro, pubblicato l’anno scorso, e un disco, che uscirà a marzo.
«E’ la mia cifra stilistica. Sul Dizionario della canzone italiana diretto da Renzo Arbore e edito dalla Curcio, alla voce Monti Giangilberto si legge: Non è mai diventato famoso per la sua scelta di sperimentare continuamente generi e stili musicali e in questo rispecchia la sua generazione, quella cresciuta artisticamente negli anni Settanta. La mia è una concezione totalizzante dello spettacolo: la performance è un evento unico, che mescola tutto. Una sorta di comunicazione incrociata: contaminata, come si usa dire adesso. Ma noi lo facevamo già quarant’anni fa…».

“Frigorifero mon amour”: come imparare a non sprecare il cibo. Con ironia

“Frigorifero mon amour”: come imparare a non sprecare il cibo. Con ironia

Una sorta di favola moderna, in cui gli elettrodomestici prendono vita. E, al centro di tutto, un frigorifero con la sua saggezza. Andrea Serra debutta per Miraggi con “Frigorifero mon amour”: si parla di cibo e del suo utilizzo, spesso sbagliato, argomento quanto mai importante nella nostra epoca. Ma lo si fa con leggerezza, come racconta l’autore: “Il frigorifero si rivela un attivista del Banco Alimentare: una realtà che ho incontrato e che mi ha spinto ad approfondire i temi legati allo spreco. Nel libro ci rimprovera, fornendo anche dei dati su quanto buttiamo via. Il frigo è la coscienza critica, con i suoi insegnamenti. E lo spreco alimentare è una metafora della nostra società, dove ammuffisce l’umano invece del cibo”.
Come è arrivata l’idea del libro?
“In un periodo di “disperazione” familiare, quando sono nate le due bambine, che oggi hanno quattro e otto anni: non dormivano e, di conseguenza, non dormivo io. La notte ho cominciato a scrivere i primi racconti e la vena umoristica è giunta per reazione”.
Perché il frigorifero? E perché le carote della copertina?
“Il frigorifero perché è un elemento centrale della nostra casa. Mia moglie, che ha un carattere duro e diretto, lo insulta anche, dicendogli “apriti scemo”. Le carote sono quelle che lei compra a piene mani e che un bel giorno riemergono ammuffite, dopo essere state dimenticate in uno scomparto. Nel libro il frigorifero scappa, arrabbiato per lo spreco di cui è testimone ogni giorno”.
Comincia così una sorta di inseguimento.
“Lo racconto in forma di diario perché il protagonista, visto che non riesce a prendere sonno, si rivolge a uno psicologo che gli suggerisce di annotare tutto. La narrazione parte a gennaio e si conclude a dicembre, con una coda rappresentata da una discesa agli inferi per ritrovare il frigorifero perduto”.
Sembra una favola di Esopo: là parlavano gli animali, qui gli oggetti.
“L’intento è quello. C’è una poetica degli elettrodomestici, tutti si esprimono: è una favola contemporanea, con una funzione civile e morale”.
Per questo è stato coinvolto anche il Banco Alimentare?
“Scrive una postfazione in cui fornisce i numeri sullo spreco di cibo. Al Banco va anche una parte dei proventi dei diritti. Io, poi, oltre alle classiche presentazioni, ho programmato di andare nelle scuole perché, alla fine, “Frigorifero mon amour”, è un testo formativo-informativo. E divertente”.

I bestseller Miraggi 2017 su Vita de editor

I bestseller Miraggi 2017 su Vita de editor

Vita da editor ha chiesto alle case editrice quali siano stati i loro bestseller del 2017. Ecco l’intervento di Miraggi

Miraggi (Alessandro De Vito, direttore editoriale)
Il libro più venduto del 2017 è stato Parigi XXI, di Iacopo Melio. Ne sono particolarmente fiero perché la sua poesia (eh sì, i primi 6 libri più venduti sono poesia, chi lo direbbe?) ha una forza tenera e dirompente, ma implacabile, che unita al peperino toscano che è lui fa capire molto bene perché sia così seguito (ed è un segnale molto positivo di questi tempi, che in molti seguano e sostengano il suo cuore e le sue sacrosante battaglie). Per il resto, dato che Miraggi ha diverse anime, siamo molto contenti del successo di tutta la collana di traduzioni Tamizdat, il cui bestseller è Memorie di uno psicopatico di Venedikt Erofeev, nome di culto.

Non risponde mai nessuno: la recensione di Francesco Borrasso per sulromanzo.it

Non risponde mai nessuno: la recensione di Francesco Borrasso per sulromanzo.it

I racconti della commedia umana

«Danilo lavorava alla cooperativa, andava al manicomio due volte alla settimana col furgoncino bianco e il disegno di un sole sulla fiancata con cui portava allegria».
I gesti quotidiani e i movimenti consueti: parlare con un amico, preparare il caffè, spostare un oggetto, riguardare una vecchia vhs. Ogni cosa che facciamo assume quasi sempre valore nel momento in cui proviamo a ricordarla. La vita ci scorre spesso di fianco, restiamo lì, immobili, e troppo spesso ci rendiamo conto di non farne parte, o almeno non nella maniera in cui vorremmo.
E poi come una scarica, ci arriva un input, delle volte mentre siamo indaffarati nel fare qualcosa di manuale, ci piomba addosso una storia, un’immagine, un suono, una voce; e siamo costretti a scavare, a trovare elementi di residuo, e quello che ci è appartenuto ci sembra meno sbiadito.

La nostra esistenza non è un atto unico, è composta da momenti, miliardi di momenti che spesso non riescono a restare vicini e se sono gli attimi che danno valore alla vita intera è importante forse riuscire a vivere le nostre emozioni nel durante e non solamente nella memoria, quando tutti sono bravi a dirsi: beh, lì ero proprio felice, e non me ne sono reso conto.
Cerchiamo punti di svolta in modo continuo senza, apparentemente, trovarli mai, semplicemente perché quando ci capitano non riusciamo ad accorgercene; tutto diventa chiaro nel momento esatto in cui iniziamo a raccontare un evento, attraverso le parole e la narrazione, elementi che ci sembravano poco lucidi e distorti, trovano come per magia la loro collocazione.
Simone Ghelli è nato nel 1975, Non risponde mai nessuno è la sua seconda raccolta di racconti, questa volta pubblicata da Miraggi editore.

I racconti che compongono questo libro ci narrano della commedia umana, del vivere quella vita che come un palcoscenico teatrale ci costringe ogni giorno a entrare in scena, con la speranza di non dimenticare nessuna battuta chiave. Siamo all’interno di vite che non sono nostre, ma che ci rimandano l’eco di qualcosa di familiare, e possiamo provare la sensazione che ogni racconto possa essere un nostro personale ricordo, in una frase, una sfumatura, un’immagine.
E ci ritroviamo con Giovanni e le sue idee dolorose (I tafani del Merse), il suo confronto con ciò che vorrebbe essere e ciò che, in fondo, è realmente. Veniamo catapultati nei ricordi di Paolone, nella sua infanzia (Il missile), nella voglia che ha di mantenere stretto un movimento passato ma mai sbiadito. E questi racconti ci parlano di lutti (Con un figlio così), di impossibilità (Non risponde mai nessuno), di confidenze ed errori (Vedevano tutto il suo dolore).
«Con uno stacco siamo di nuovo fuori dalla Turbina. Zoom lento su tre macchine da scrivere impilate una sopra l’altra e infestate dall’edera. È l’immagine più poetica, la più commovente. Dopo il senso di abbandono che ci accompagna per nove minuti, arriva, improvvisa, questa specie di epifania. È qualcosa di definitivo, un monito con cui fare i conti».

Il modo in cui Simone Ghelli ci accompagna in queste storie è romantico, la sua scrittura procede spedita, non perdendosi mai in inutili preziosismi stilistici; ogni racconto possiede la potenza del reale, la durezza della vita e la sacralità della memoria.
I racconti si alternano tra prima e terza persona, ma il gioco dello scrittore riesce talmente bene che, a un certo punto, anche i racconti scritti in terza persona ci possono sembrare introspettivi come quelli in prima persona.
«A vederli insieme così, in certe domeniche a braccetto, la gente giù in paese diceva che potevano sembrare davvero una coppia felice, che l’abitudine e il dolore non li avevano allontanati. Dopo aver passeggiato per il corso si mettevano seduti al bar prima del ponte sul fiume, e non facevano che ridere e guardarsi in quel modo che soltanto gli innamorati. Ma non erano che quaranta minuti, al massimo un’ora, che poi la vita tornava in carreggiata, affaticata dal peso dei problemi; il lavoro che mancava, un figlio ancora in casa a trent’anni passati, un fratello che non si capiva più dove avesse ficcato la testa.»
Sono poche le pagine che lasciano una speranza, è come se la “terribile” recita umana non possa portare altro che dolore e disperazione e anche lì dove si intravede uno spazio di luce il male, e la consapevolezza della condizione emotiva di ogni individuo, riporta una sorta di sconforto che resta come una macchia indelebile.

Non c’è una regola per vivere, non c’è una soluzione al dramma che ci può piombare addosso senza preavviso, non esiste una legge che possa condurci verso una soluzione; esiste solo la maniera che ognuno di noi ha di vivere la propria esistenza, esiste la possibilità di rifugiarsi nel ricordo quando il presente ci appare troppo duro, meschino ed ingiusto.
E anche se a volte tornare indietro nel posto di ciò che è stato può riempirci di scorie, è importante conoscere a memoria quello che siamo stati, quello che abbiamo subito e ciò che ci ha tagliato a pezzettini, per poter cercare di dare al presente una forma quanto meno diversa.

Francesco Borrasso per www.sulromanzo.it

Non risponde mai nessuno: la recensione di Francesco Borrasso per sulromanzo.it

Al disagio della vita non risponde mai nessuno: le storie di Simone Ghelli

Non risponde mai nessuno” segna l’esordio di Simone Ghelli con Miraggi. Dieci racconti con un minimo comune denominatore che deriva da un’esperienza personale dell’autore, quella fatta come obiettore di coscienza presso un ospedale psichiatrico di Siena, città dove si è laureato. “La componente personale è sempre molto forte. Parto da un’esperienza vissuta, poi modifico. In questo caso si parla di gente che soffre una situazione di disagio di varia natura, di persone che si ritrovano abbandonate o si sentono abbandonate”.

Lo definisce bene la prefazione di Wu Ming 2.
Il vero filo conduttore è la vergogna, dei personaggi verso se stessi e dell’autore verso il genere umano di cui fa parte. Si permette che certe situazioni esistano, voltandosi dall’altra parte. Si vive nell’indifferenza, senza fare nulla”.

Come è nato il libro?
All’inizio era molto diverso. Quasi un anno fa mandai la raccolta a Miraggi, era parecchio disomogenea e diversi lavori erano già apparsi su riviste. Non pubblicavo da tanto, avevo bisogno di uscire dal guscio. Hanno letto, è piaciuto, mi hanno fatto sapere che non c’era fretta. Se c’è questo tempo, mi sono allora detto, riprendo il materiale. Per la prima volta avevo la fiducia dell’editore e la possibilità di lavorare senza pressioni. Sono nati altri racconti e, alla fine, dei dieci originali ne sono rimasti la metà”.

Perché la scelta del racconto?
Perché è la forma in cui penso di esprimermi meglio. Ho scritto un paio di romanzi brevi, fatico con la forma più lunga. Come Raymond Carver, che abbandonò il suo romanzo perché si annoiava… In effetti le idee di molti racconti sono tentativi di scrivere romanzi perché ho comunque questa specie di tarlo. Poi ci lavoro sopra, tenendomi l’idea forte”.

E viene fuori un lavoro a tutto tondo, come un disco.
Mi piace l’idea di un libro come un album. Non a caso il titolo è quello di un racconto, come la canzone che dà il titolo a un disco”.

San Francisco Rock: un romanzo generazionale tra musica e fake news

San Francisco Rock: un romanzo generazionale tra musica e fake news

San Francisco Rock è l’opera prima di Marcello Oliviero, laurea in lettere e vita professionale particolarmente intensa. E’ un romanzo che nasce da una passione personale, legata alla musica. Ma con un tema di fondo quanto mai attuale. La musica innanzitutto: “Ho iniziato a scrivere quando ho chiuso con il mio gruppo i Gardening at night. Eravamo in 5, io suonavo la batteria. Facevamo musica indie, siamo andati avanti per tre, quattro anni. Avevo ristrutturato la mia vita, sentivo la necessità di fare qualcosa e ho iniziato a scrivere.Volevo raccontare una storia che mi sta a cuore, di ragazzi che cercano di trovare una strada nella vita. Non potevo ignorare la musica, che è stato uno degli aspetti più importanti della mia esistenza”.

La musica, quindi. Ma anche un filo conduttore che si innesta nella realtà dei nostri giorni, ovvero le fake news.
Sono quattro ragazzi che vogliono emergere. Un giorno fingono di aver trovato un vinile degli anni Settanta, in cui però mettono le loro canzoni. Il trucco nasce come la volontà di ribellarsi a un sistema che non li considera, diventa la necessità di creare una notizia per far sapere che anche tu hai una storia, e qualcosa, da raccontare. Vogliono rendere vivo il loro sogno di suonare. Pubblicano il disco e lo danno in pasto a un universo che, spesso, non sa distinguere la verità tra ciò che non lo è”.

Si può parlare di menzogna a fin di bene? In fondo non fanno male a nessuno…
La storia ruota attorno alla menzogna come necessità di trovare una propria via. La menzogna che si trasforma in una storia rende appetibile la realtà, che – vista da fuori, quella altrui – ci sembra sempre dorata. Noi abbiamo questo problema: sembra che intorno tutto funzioni mentre noi non riusciamo a combinare nulla. Poi ti accorgi che questa perfezione non esiste”.

Quale personaggio impersonifica al meglio quello di protagonista-vittima della menzogna?
Si vede molto in Keith. E’ un vecchio bluesman che ha avuto successo con due canzoni e poi si è bruciato tra droga e alcol, mandando la vita a rotoli. Potrebbe essere un misto tra Mick Jagger e Keith Richards, se non fossero diventati i Rolling Stones. Keith torna alla ribalta accodandosi alla storia dei protagonisti, rendendola così reale: su appropria di questa menzogna”.

San Francisco Rock è una storia corale.
Lo spirito dei quattro è quello di un gruppo, di una collaborazione, con i pregi e i difetti che ci sono nell’equilibrio delle varie pulsioni. La distruzione di una band è sempre dietro l’angolo. Loro trovano l’unità e superano le sfide. Nessuno è meglio di un altro, ognuno porta se stesso”.

E San Francisco Rock è a sua volta parte di un progetto.
Di un progetto creativo. Ci sono io, ovviamente. Poi c’è Giulia Ronzani, una fotografa: due sue immagini sono sulla copertina del libro. E poi c’è Nicola Cavallaro, cantante, arrivato quarto a The Voice France nell’ultima edizione. Lui ci ha messo la voce credendo e condividendo questo sogno. E’ un libro che si trasforma in conoscenze, in relazioni. Fai tutto per gli altri e con gli altri. C’è sempre stata grande condivisione tra noi tre e il libro non sarebbe nato da me solo, anche le canzoni. Magari sarebbero state diverse, ma c’è la forza di far uscire le cose con la creatività degli altri”.

Agenzia Pertica: il “tristissimo romanzo comico” di Luca Ragagnin inaugura la collana ScafiBlù

Agenzia Pertica: il “tristissimo romanzo comico” di Luca Ragagnin inaugura la collana ScafiBlù

Luca Ragagnin è al quarto libro con Miraggi. Ma questo è speciale, per due motivi: perché si tratta del primo romanzo, e perché con “Agenzia Pertica” Miraggi inaugura la collana ScafiBlù, dedicata solo ad autori italiani. “E sono molto contento di essere il numero uno”, dice Ragagnin, autore di quello che definisce “un tristissimo romanzo comico”.

Perché questo ossimoro?
“Domizio Pertica è un uomo che vuole fare lo scrittore. Pubblica, ma non riesce a vivere di questo lavoro. Perde i lettori, addirittura la critica lo prende in giro. Con un atto rabbioso decide di cambiare vita e apre un’agenzia investigativa. Incontra una giovane praghese, con cui si fidanza, e lei porta da Praga il suo merlo indiano parlante. All’agenzia si uniscono una gazza ladra e un gatto di strada”.

Che razza di agenzia è?
“Sui generis, nessuno ha sostenuto gli esami per ottenere la licenza. E’ una banda di scalcagnati che ha come obiettivo trovare gli alibi per i delinquenti ma che non riesce a combinare nulla. E’ un tristissimo romanzo comico perché c’è un diffuso sentore di cose perdute e di sconfitta. La compiutezza di tutti questi personaggi si avvera nella sconfitta. Pertica perde l’amore per la scrittura. Venus Diomede perde la sua città. Il merlo perde una lingua che conosceva, venendo in Italia. E la gazza è single perché ha ammazzato la sua consorte: le gazze, come le tortore, sono inseparabili”.

E’ comunque una ben singolare compagnia di giro…
“Più che altro è un guscio narrativo, tutto si gioca sulla lingua e sui registri. Su quello che succede tra parentesi in una realtà che non parte mai. Ognuno dice la propria, animali compresi. E il trait d’union che attraverso le vicende è l’alcol, la vodka: bevono tutti come pazzi, anche gli animali tranne il gatto… I registri sono giocati molto sul basso, verso lo scorretto. A fare da contrappunto c’è un’altra voce che irrompe di tanto in tanto, in metacapitoli annunciati. E’ la voce di chi sta scrivendo, non necessariamente dell’autore. Salta fuori il sottofondo dolente, con una lingua diversa. Come un ammonimento al lettore. E’ un gioco di spiazzamento, per instillare dei dubbi. E’ una voce che fa sbalzare il sottinteso talmente coperto dalle vicende che sono comiche. Ti mostra il rovescio della medaglia”.

Parlando di investigazioni uno pensa a un giallo.
“Ci sono delle promesse, ma si capisce subito che non si tratta di quel genere. Le prime trenta pagine sono una lunga tirata del protagonista sul suo fallimento come scrittore. C’è l’affabulazione, tipica di una certa letteratura. La lingua è molto sorvegliata, anche nelle forme sgrammaticate. Ne viene fuori una favola sbilenca, con equilibri spezzati. Un libro anche apparentemente molto misogino, soprattutto in Pertica: parliamo di un cinquantenne incarognito dalla vita”.

Respira, e prova a scappare da un’esistenza che ti sta stretta: dialogo con Roberto Saporito

Respira, e prova a scappare da un’esistenza che ti sta stretta: dialogo con Roberto Saporito

Il dramma delle Twin Towers che diventa un’occasione. Meglio, diventa l’occasione. Quella che consente di approfittare a livello personale di un evento che sconvolge il mondo. Chi non culla il desiderio di scappare da una vita che non sente più come sua? Il protagonista di Respira ci prova. Roberto Saporito ci spiega come è nata l’idea del libro: “Da un’ossessione durata anni, sempre legata alle Twin Towers. E’ nata quando sono salito per la prima volta sulle torri: uno è abituato a vedere New York con il naso rivolto verso l’alto, da lassù tutto sembrava più basso. Anche i grattacieli. E poi è ovviamente continuata l’11 settembre 2001, con l’attentato. Ho cominciato a scrivere nel 2011, un brutto compleanno per New York, ed è venuto fuori quasi tutto di getto, in diretta”.

Si parte da New York, si va in Provenza, si passa in Italia, si torna a New York e si rivede l’Italia. Un romanzo di fuga?
Può sembrarlo, in realtà è un romanzo esistenziale. L’idea era quella di sradicare una persona, da italiano che viveva a New York. Vede l’attacco alle Twin Towers in diretta, dove c’è il suo ufficio, e decide in un istante di cambiare totalmente esistenza e luogo in cui vivere. Si costruisce una nuova personalità perché non gli piace quello che fa, decide di scomparire”.

Non è una scelta di facile realizzazione, però.
Perché la sua vecchia vita lo perseguita e tutto diventa più complicato, trasformandosi in un tormentone, per l’appunto, esistenziale. Il passato resta una zavorra, non passa e ritorna. Si comincia dalla Provenza, dove il protagonista pensa di aver trovato una nuova esistenza, idilliaca. Non era una scelta sua, gli ricade addosso”.

Un protagonista di cui non conosciamo il nome.
E’ una fisima mia, dal primo romanzo non ho mai messo il nome a chi si trova al centro del racconto. Era capitato per caso, adesso è una scelta. Diventa un gioco con il lettore, che può diventare a sua volta protagonista. Per questo l’ho scritto in seconda persona”.

La voglia di fuga domina le nostre vite.
Ma io non voglio trasmettere alcun messaggio. Chi legge dovrebbe tirare fuori qualcosa, però potrebbe anche non farlo. Il mio suggerimento è di leggere il romanzo come se fosse una fiction, divertirsi e finirla lì. Non esiste una morale del libro, ognuno se la trova. Il tema fondamentale è quello della costruzione di una nuova identità: morire e rinascere, con tutti i problemi che ne conseguono”.

Senza fare spoiler, la fine del romanzo sembra lasciare aperta la porta a uno sviluppo futuro.
Molti miei romanzi hanno finale aperto, i tre protagonisti dei miei primi tre romanzi li ho poi radunati in un quarto romanzo. Vedremo”.