Il Pensiero originale è infatti collettivo e indescrivibile.
Non esiste forse enunciato più acconcio per viaggiare in direzione eguale e contraria verso l’opera di Paolo Brunati. Scrittore, poeta, scultore, artista totale, nella cosmogonia letteraria che lo caratterizzò ogni elemento veniva irradiato di una vita propria che serviva a creare altra vita, altro significante.
Allora insetto non si riferiva soltanto alla minuscola vita strisciante, volante, saltellante di artropodi comuni, ma la metafora del passaggio dell’uomo sulla Terra, nella sua impossibilità d’essere altro dal minimo contributo occasionale e fugace di pensiero.
Mi chiedo a volte se la scrittura non sia, rispetto al pensiero, quello che è l’Insetto trafitto nella scatola entomologica rispetto all’Insetto vivo.
E il ricordo dell’insetto più famoso della storia della letteratura ritorna prepotente. Lo scarafaggio kafkiano trafitto nella sua scatola familiare è al tempo stesso pensiero e scrittura del pensiero, è il vivo-morto, il ritornante della sua specie mutata, così come lo è la scrittura del pensiero defunto che si fa carta e che riverbera da centosessanta prose intitolate all’inorganico, all’inessenziale, all’infinito, contenute in un testamento letterario dal titolo “Colloqui con il Pesce Sapiente”.
Brunati non conclude, non cristallizza nelle forme ma spazia negli oceani plasmabili dell’inconoscibile la sua materia filosofica, immergendola nelle acque tiepide dell’ironia sottile, del boudoir di un illusionista, in quel dietro le quinte di una rappresentazione a scopo dimostrativo e preparatorio della vita.
Nella sua incessante riscrittura dell’avventura umana, l’autore fagocita l’assurdo restituendo plausibili scenari, insuperate visioni metafisiche collimanti con l’abituale rapporto col quotidiano, con l’ineludibile consunzione della materia.
Ogni Morto è un grandissimo attore drammatico. La sua persona anagrafica sparisce con la sua totale immedesimazione nel personaggio.
L’umorismo paradossale che alberga in ogni prosa brunatiana fa i conti con una consapevolezza profonda del rapporto che lega gli elementi primordiali. Il gusto del contrario è cifra identitaria strutturata in relazione paritetica. Si è nel momento irripetibile del dolore e della farsa.
Persino sentimenti come l’inimicizia sovvertono l’efficacia di un’esperienza.
Sì, l’inimicizia è uno dei sentimenti più forti, più genuini. Un vero nemico è colui che riesce a rivoltarti, farti cambiare posizione da quella in cui già fin da troppo tempo giacevi anchilosato.
La letteratura come nemico è un’idea affascinante che scoraggia il lettore, aduso a un rapporto infantile, si direbbe quasi elementare con la parola scritta. Da un libro vuole ristoro, non la spinta al confronto. Ricerca il simile, l’ovvio, non l’eccezione, l’insolito.
La filosofia contenuta in “Colloqui con il Pesce Sapiente”, pubblicato da Miraggi Edizioni, da cui sinora sono stati tratti spunti di riflessione, è un luminoso istinto non già verso la salvazione, ma l’incontenibile suggestione di essere in presenza di un’aurora polare, il cui effetto ottico sta all’occhio che la osserva e al cuore che la prova. Non raramente chi legge Brunati avvertirà quei suoni elettrofonici che si odono in alcune manifestazioni di aurore boreali ma, come quest’ultime, si sarà in presenza di fenomeni che ancora sfuggono alla comprensione dell’origine della creazione di uno scrittore, che ha dato alla letteratura materiale organico in continuo divenire.
QUI l’articolo originale: