ARTICOLO DI: Caterina Venere Marino
Jan Antonín Bata è sdraiato in un letto d’ospedale. Fa caldo, gli fa male il petto. Ha avuto un infarto. Un altro. Il bianco delle lenzuola di lino inamidato si confonde e si trasmuta nel bianco della neve d’infanzia: sente in lontananza il suono del violino, del suo primo violino. Usa la custodia nera a mo’ di slitta per scivolare dalla discesa e arriva per primo mentre gli altri bambini giocano lanciandosi la neve. Lìda accende il ventilatore per trovare un po’ di sollievo dall’afa tropicale brasiliana. Il motore del ventilatore è rumoroso, cupo e monotono come il motore dell’aereo Lockheed Electra L-10 con cui Jan Antonín Bara ha girato il mondo. È mattino e Lìda e Maja aprono le finestre dalle quali s’inerpica e s’introduce l’inebriante profumo della dama da noite. La prima volta che aveva avuto un infarto c’era solo Marina, nessun dottore – “non ci sono dottori nella giungla” – e la donna, per calmarlo, gli aveva sussurrato di inspirarne il profumo. Anche ora inala profondamente la fragranza floreale e così facendo vola via dalla stanza d’ospedale di San Paolo, attraversa l’oceano e inspira a pieni polmoni, quasi bevendolo, l’odore umido della terra e della neve primaverile. È giusto tornare perché è giunto il momento di ripulire per bene la sua memoria e il suo onore infangati da maldicenze, incomprensioni e finanche da un processo- farsa. Sì, perché lui, Jan Antonìn Bata, fratello unilaterale di Tomàš Bata (originario fondatore di quello che diverrà l’impero calzaturiero Bata S.p.A.) per anni non è stato riconosciuto in patria, in Europa e negli Usa per quello che era né per i suoi meriti. Tutt’altro: “Sono già stato un po’ tutto sulla bocca e sul volgare muso della gente: nazista, ebreo, ebreo tedesco, ebreo ceco, ebreo comune, slavo schifoso, agente del terzo Reich, disertore, traditore della patria, sabotatore della nazione, gigante, agnello sacrificale dei comunisti, re dei calzolai, continuatore, Capo e ora pare che sia stato anche un punto nevralgico della storia ceca contemporanea.” Ora che è morto d’infarto, l’uomo vuole ricomporre i tasselli del puzzle, capire perché non gli hanno dato ascolto e rivedere il tutto “attraverso la lente di ingrandimento del tempo”…
Con Bata nella giungla è la ricostruzione romanzata della vita imprenditoriale e famigliare dei Bata che assume i toni della storia corale di grande respiro. Il romanzo si sviluppa e si organizza in maniera singolare: immaginatevi la classica rappresentazione di un albero genealogico, con le radici, il tronco e le fronde a simboleggiare la stirpe, la discendenza, la progenie; ad ogni modo, l’autrice non tratteggia l’albero in maniera lineare, bensì a scatti, soffermandosi su un personaggio per poi passare ad un altro, senza tenere conto della linea biologica. Difatti, a dare il titolo ad ogni capitolo del libro è il nome di uno dei membri della famiglia, i quali si alternano e ritornano più volte a fornire la loro visione della storia. La narrazione procede dunque andando avanti e indietro nel tempo, nei legami familiari, nelle vicende biografiche e storiche, nei ricordi dei membri della famiglia Bata e nelle loro riflessioni personali. Il lettore è così sbalzato, come da una folata di vento, da un determinato momento storico e da un preciso punto geografico all’altro. In questo romanzo, i piani del presente e del passato si sovrappongono, così come quelli della vita terrena e ultraterrena – sono davvero notevoli e suggestivi i momenti in cui Markéta Pilátová scrive di Jan Antonín Bata mentre vaga erratico su questa Terra e riflette sulle cose della vita dal suo peculiare punto di vista. Si alternano poi gli scenari urbani della Vecchia Europa con le descrizioni del lussureggiante e selvaggio Sudamerica che la caparbietà e la determinazione dei fratelli unilaterali Bata sono riusciti in parte a domare. Questi “Ford cechi” dell’industria calzaturiera con il loro impero hanno rappresentato lo spirito imprenditoriale impregnato di fiducia nel futuro, nel progresso tecnologico e di fiducia nell’uomo e nella socialità. Particolarmente interessanti e profonde le riflessioni dei personaggi sulla lingua madre e sulle lingue acquisite (quasi tutti, in questo libro, sono poliglotti e parlano correttamente il ceco, il serbo, il tedesco, l’inglese, il portoghese e talvolta il francese). Il soffermarsi sulla lingua, sull’importanza della lingua come fulcro attorno al quale si plasma l’identità spirituale di ciascuno di noi così come passpartout per una vita sociale, lavorativa e intellettuale più ricca rivela l’attività di traduttrice della Pilátová, la quale, oltre a scrivere insegna il ceco in Brasile proprio ai discendenti degli emigrati cecoslovacchi delle città fondate dai Bata attorno alle loro fabbriche.
QUI l’articolo originale: https://www.mangialibri.com/libri/con-bata-nella-giungla