AUTORE: Liliana Madeo GENERE: Saggio Società EDITORE: Miraggi2020 ARTICOLO DI: Maria Zappia clicca sul libro per vedere la scheda libro e il booktrailer
Margherita Gangemi si era innamorata di Antonino Calderone quando lavoravano al Consorzio agrario provinciale. Lei era una ragazza tutto pepe, aveva studiato da ragioniera e viveva in un quartiere “borghese” di Catania. Erano gli anni Settanta e lei cercava di ignorare la vera attività del marito, la mafia in effetti non aveva a quel tempo l’aspetto sanguinario che ha assunto in seguito. Quando durante una scampagnata in famiglia con Nino incontrò Luciano Liggio, gli chiese chi fosse quell’individuo e lui rispose che si trattava di un amico “professore”, Margherita in realtà aveva già visto sui giornali il volto di quell’uomo e qualcosa aveva intuito. Nel dicembre 1986 Nino si pentì e Margherita fu testimone di quella difficile scelta. Era lei che viaggiava da un carcere all’altro, lei che avvicinava medici e magistrati. Fu Margherita che chiamò a Palermo dalla Francia Giovanni Falcone e gli comunicò che Nino era disposto a parlare. “Venga ad interrogare mio marito”, disse la donna al giudice: “Ha molte cose da dire”, precisò. Con il magistrato Margherita, diventata intraprendente, concordò un nome inventato per poterlo chiamare senza correre il rischio che quelle conversazioni venissero intercettate. Ottenne che Falcone contattasse Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli. Margherita era desiderosa di cambiare vita e mentre il marito si trovava nel carcere francese di Aix en Provence, e collaborava, lei riuscì ad entrare con i figli in convento per trovare un po’ di tranquillità. Arrivati in Italia Nino dovette andare in carcere per scontare una vecchia condanna e Margherita si trovo sola con i figli in un rifugio segreto. Nino non poteva chiamare dal carcere perché le telefonate dovevano esser registrate e i numeri del rifugio dovevano rimanere sconosciuti…
Il libro della giornalista e scrittrice Liliana Madeo, che racchiude vicende esistenziali forti perché legate a ribellioni all’interno di clan mafiosi, è stato pubblicato per la prima volta dalla casa editrice Mondadori nel 1994. Questa è la terza edizione. Le donne le cui esistenze hanno trovato posto nello scritto sono scomparse o sono anziane, mentre nella realtà attuale tante giovani protagoniste di vicende analoghe a quelle descritte nel libro trovano ancora l’energia morale e la determinazione di varcare la soglia del luogo dove vivono e consegnare verbali e memoriali alle forze dell’ordine per rovesciare il giogo della violenza che le opprime e portare alla luce verità inconfessabili. Spesso anche per salvare i figli da logiche di reiterazioni di comportamenti che non sono più condivisi. Ciò che emerge dalle letture delle preziose testimonianze raccolte da Liliana Madeo venticinque anni orsono e che permane come fenomeno identico in tante altre storie di “donne di mafia” sino alla data attuale è purtroppo l’assenza della protezione dello Stato nei loro riguardi. Non esiste in altri termini né un circuito di tutela psicologica nei riguardi di chi sfugge alla famiglia mafiosa in preda a tumulti fortissimi né un sistema di tutela economica che consenta di continuare l’esistenza in maniera serena e sicura. E non si tratta di donne colpevoli di reati, ma semplicemente spesso di compagne, di mogli o di figlie di criminali che non hanno commesso alcun reato. Un rapporto asimmetrico che vede la vittima tutelata, il colpevole processato e la donna che si ribella messa all’indice sia dal proprio nucleo familiare e sia dalla società civile. Un plauso dunque a tutti coloro che, come l’autrice, portano alla luce le storie di queste eroine intrepide e coraggiose, autentiche protagoniste assieme a taluni organi di giustizia, della lotta alla mafia.
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