Un arcobaleno di sensazioni
Dal frivolo al più profondo, i racconti, ben 65, sono tutti a tinte forti, ben delineati, pur nella estrema brevità sono pieni di dettagli che li rendono sorprendentemente articolati.
Nell’insieme, a fine lettura, si rivelano come i singoli, minuscoli frammenti di un discorso unico.
Zurru semina questa unitarietà in ciascun racconto e lascia il lettore trovare il suo fil rouge.
Una parola, un luogo, una scena, comporrà il tutto in un unico affresco.
Non a caso i racconti non hanno un titolo; forse proprio per non spezzare quel filo che li lega. Per non dare loro un’indipendenza, lasciando che sia il lettore a unire i piccoli indizi, come puntini che formano una sola figura.
La voce di Zurru è molto precisa. Ha caratteri univoci è ironica, ma sa essere anche dura, drammatica. Il registro cambia spesso lungo i racconti e questo rende la lettura oltremodo piacevole, mantenendo alta l’attenzione alle tante storie raccontate.
Lui stesso parla della propria voce di scrittore. Nel racconto 44 confida al lettore che, dopo mille ricerche, osservando le cose, la natura, e dopo l’ascolto dei suoni e delle voci altrui, è stata proprio lei a trovarlo e a rimanergli fedele “la voce scava da sola, se vuole, le parole sanno la strada che parte e arriva sicura”.
Ed è bellissimo anche il racconto 43, nel quale accosta lo scrittore a un direttore d’orchestra, la scrittura alla musica. Scrivere è come riempire uno spartito. La ricerca della parola perfetta è come il tocco del musicista sui tasti d’avorio; la lettura del proprio testo finito è come suonare la musica che si è creata. Un racconto elegantissimo.
Per questo Endecascivoli non è solo un’antologia di racconti. Sembra piuttosto un insieme di frammenti dello stesso romanzo, una storia unica distinta in flash, in istantanee. Piccole fotografie che possono essere scattate o disegnate e inserite nel riquadro vuoto che il lettore trova all’inizio di ciascun capitolo, come una cornice pronta a ospitare l’immagine evocata leggendo in racconto. Gradevole e molto fantasiosa questa idea editoriale di far interagire, sotto diversi punti di vista, chi legge.
Spesso, chi scrive, lo fa partendo da un’immagine; che sia un passaggio volontario, un’operazione contemporanea o meno alla stesura, è un’operazione comune a molti scrittori. Si parte da un’immagine e poi ci si scrivono su le parole; in questo caso, l’incontro è doppio e intrecciato. La prima immagine è Zurru a metterla, scrivendo un racconto che poi il lettore potrà tradurre in un’altra immagine ancora. Due immagini e in mezzo le parole a veicolarla.
Con questi racconti il lettore è ricondotto in un mondo che non esiste più. Quando si legge dei frammenti di una vita rurale ormai dimenticata, quando l’autore ricorda le merende di pane e zucchero per i bambini preparate dalle nonne, “in campagna, riuniti nei giorni di festa. Parlavano poco, ma questo è già detto. Mangiavano l’aria che avevano intorno. Mangiavano l’aria, almeno quel giorno”, i ritmi lenti, i sapori forti di sentimenti e rapporti umani.
In altri racconti, a uscire nitido è invece il rapporto viscerale con il mare. Descritto come una creatura sensuale la cui brezza è un essenza conturbante, il respiro è l’artefice di un movimento che diventa seduzione “mi fermo su un granello di sabbia che rimane sul letto anche se ho fatto la doccia al ritorno dal mare.”
E ancora, c’è la vita circense come metafora usata spesso da Zurru per divertire il lettore e suscitare in lui una riflessione profonda con un’atmosfera onirica, dal sapore quasi felliniano, per descrivere una realtà tragicomica.
Ma è nei racconti che sono filastrocche, in cui l’autore dà il meglio di sé. Divertissement con un fondo di riflessione che addolciscono l’anima in uno spazio effimero; il loro ritmo giocoso si esprime e comprime in una pagina o poco più. Il racconto 45, ad esempio, in cui lo scrittore usa una filastrocca ironica che fa ridere di gusto, malgrado la tematica sia tutt’altro che scherzosa nel far riflettere sulle persone che si perdono, lasciando un retrogusto amaro nel lettore più attento.
Da metà libro in poi si trovano, forse, i racconti più profondi, più intimistici; la voce dell’autore si fa confidenziale, calda, la sua visione del mondo si rivela appieno ed esce l’attenzione ai rapporti umani, in particolare all’amicizia come istante in grado di durare tutta una vita e unire nel profondo le persone, pronto a rinnovarsi.
E c’è anche l’attualità. La pandemia, che pervade, ma non invade il campo. Rimane come elemento incidentale, fa da sfondo nel racconto 50. Un pezzo particolarmente esilarante e critico al tempo stesso. Nell’intervallo esiguo di una pagina, vi trova posto un’acre critica ai social, mondo inventato, dove si riciclano frasi e comportamenti che prima trovavano posto “nei cessi”. Un racconto che è quasi un sonetto, per struttura e morale.
In altri casi invece, i racconti assomigliano a ballate; ritmi e contenuti che, ancora con una metafora musicale, potrebbero esprimersi in fraseggi alla De Andrè, coi quali condividono il ritratto dolce-amaro dell’umanità.
In Endecascivoli c’è anche tanto della terra natìa dell’autore: la Sardegna con le sue miniere, la vita dei minatori, dura, essenziale e ricca di valori, descritta con tinte meno vivaci, forse più cupe, ma sempre schiette.
Complimenti a Patrizio Zurru, che incontra la realtà e ne scrive con vigore e nuance variegate, conservando una voce personale, a tratti tinta di poetico, dove la realtà è ricordo, evocazione o durezza del quotidiano. Questa raccolta fa riflettere in modo talvolta leggero, talvolta impegnativo sull’esistenza, sul passato e sui valori attuali della vita.
Un libro da leggere anche in questa estate bizzarra, sia nel meteo che nel quotidiano, che si lascia scorrere in modo scorrevole e piacevole; con la consapevolezza che qualsiasi cosa si possa leggere “appena finisce il racconto è finito l’amore che hai ascoltato, che hai letto, o immaginato”.
Così è, se vi pare, insomma.
QUI l’articolo originale: