Tutum … sh – sh-sh – fiuuu sono i suoni onomatopeici che spezzano in frammenti i ricordi, le riflessioni, le immagini , le fantasie che si affacciano alla mente di Marie, una ragazza ventitreenne che durante un viaggio in treno dialoga con la propria immagine riflessa sul finestrino o con i flashback della sua vita che scorre come una pellicola sgranata che intercetta talvolta le luci di un altro treno che corre nella stessa direzione, talvolta il buio di una stazione in cui una busta bianca volteggia sul binario a fianco. A Marie piace essere una passeggera: “A volte di notte giro per la città. Con il tram notturno, con l’autobus, o con l’ultima metropolitana. Giro per la città perché non riesco a dormire. A volte è un trucco infallibile, come una mazzata in testa. I sobbalzi, le oscillazioni mi cullano, un paio di volte sono persino piombata in un sonno profondo … Altre volte non mi addormento, ma mi sento comunque rilassata. Fare la passeggera mi calma”. Questa volta si tratta però di un viaggio lungo, doloroso, di cui non si conosce la meta, ma come si sa e sa anche Marie , “ la meta è il viaggio in sé” e forse questo sarà un viaggio di ritorno. Marie ci consegna via via tessere disordinate della sua vita, una vita che l’ha messa a dura prova. Una famiglia: genitori e tre figli, Adam il maggiore e due figlie Marie e Madla , di due anni minore, molto unite fra loro, vivono nel piccolo paese di Carogna nella repubblica Ceca. La vita della famiglia viene sconvolta prima dalla malattia di Madla e dall’abbandono della madre che, presa in una sorta di follia, se ne va; poi Madla, quando ormai sembra guarita, si suicida. “Non può essere un caso, è tutta colpa mia! Mia responsabilità! Perché non ho lanciato un sasso addosso a Morana come tutti gli altri anni? Perché mi son messa in testa di tirarla fuori dall’acqua? Ho salvato la morte!” Marie sprofonda nel pensiero magico, sconvolta dai sensi di colpa per l’abbandono della madre, per la sorella, cui era legata a doppio filo e di cui non aveva saputo capire fino in fondo la disperazione, per il padre, piegato dal dolore, che ogni giorno di più ingrigisce. La perdita della sorella è un vuoto incolmabile “A Madla penso ininterrottamente. Un binario cieco. Un tunnel senza fine. La pagina vuota di un libro”. Vive un forte senso di perdita anche di se stessa “Probabilmente non sono mai stata me stessa. Mi sono sempre intrufolata di soppiatto nei mondi degli altri. Trasferendomi in essi come in case estranee. In casa di Madla, in casa del mio primo e poi del mio secondo ragazzo, nella casa di Rochester. Forse nella realtà non esisto. Forse nella realtà sono solo un’imitazione … Non sono me stessa. Devo attaccarmi. Essere parassita. Sono dipendente. Incompleta. Una cornice senza quadro. Una scopa senza paletta. Una semiretta. Una frase incompiu- ta – tum”. La bambina che sognava di diventare una grande maga come Copperfield, che era incantata dai pianeti, dall’Universo e voleva scoprire il moto perpetuo, a ventitré anni ha già cambiato più volte facoltà, fa lavori precari e umili, vive in un monolocale di una casa diroccata e coltiva un amore platonico per il falegname presso il cui laboratorio fa le pulizie e che chiama Rochester, come l’accattivante, burbero e romantico personaggio di “Jane Eyre”. A Marie succedono strani incidenti, che forse incidenti non sono e che lasciano pesanti tracce sul suo corpo. Si è rotta una mano cadendo da un albero, ha sbattuto violentemente la testa in uno specchio nel bagno dello studentato, è stata vista cadere da una scala mobile, si è tagliata un dito, ha preso la scossa accendendo la luce con l’interruttore rotto del suo palazzo; è sopravvissuta alla scossa , ma si è tranciata un terzo della lingua e riesce a parlare sono in modo quasi incomprensibile. E’ossessionata dall’idea della morte, affascinata fin da bambina dalla figura di Morana, nella mitologia slava dea della morte, ma anche della rinascita nei riti primaverili che si svolgevano nel suo paese. Morana, al cui fantoccio lei non ha lanciato il sasso come gli altri bambini e che lei ha recuperato di notte dal fiume per sconfiggere la morte e invece, si convince, ha salvato la morte e da allora sono iniziate tutte le disgrazie familiari. Nel tentativo di comprendere il gesto della sorella ha coltivato un interesse particolare per i suicidi e in alcune “divagazioni” della sua lunga narrazione dà molte informazioni sulle diverse forme di suicidi, del resto lei ama leggere manuali. Ma nella lunga teoria di ricordi, fantasie, riflessioni, divagazioni che scorrono nel suo monologo, alle disgrazie e al dolore si alternano alcuni sprazzi di luce: sono i racconti a volte ironici a volte buffi della vita della sua famiglia, una famiglia in cui c’è stato amore, ci sono stati forti legami. Fulerova ci accompagna in questo viaggio con una scrittura originale e incalzante che ci fa quasi trattenere il respiro quando l’autolesionismo di Marie la porta a conficcarsi una matita in un occhio e anche dopo che l’hanno salvata, seppur deturpata, sembra che nel suo abisso non possa in alcun modo arrivare la luce. “L’abisso è lì, vedo l’abisso, l’abisso vede me,l’abisso è in me, io sono l’abisso” è una delle frasi chiave del libro. L’ostinata presenza del fratello l’aiuterà a prendere atto di quello che rimane della sua vita dopo le molte mutilazioni fisiche e psicologiche “Non potrò più fare una miriade di cose. Più cose cancello dalla mia lista immaginaria, meno possibilità mi restano. Più rimango scarnificata, io e la mia vita. Tutto questo e molto di più non potrò mai fare ed essere. E’ impossibile. Eppure in tutto ciò c’è qualcosa di maledettamente liberatorio!”. Marie dovrà accettare la perdita della sorella e che Morana diventi la sua dea interiore , la sua guida, che nella vita di ogni giorno a volte la lascia in pace a volte la assedia e allora deve fare qualcosa per togliersela di torno; del resto può ancora riuscire a immaginare che Sisifo fosse felice.
Lucie Faulerova (1989) è una delle più apprezzate giovani scrittrici ceche. Si è fatta notare già nel 2017 col suo romanzo d’esordio, “ Gli acchiappa polvere”, per il quale è stata nominata ai premi Magnesia Litera e Jiri’ Orten. Nel 2020 ha scritto “Smrtholka”, che letteralmente significa “Ragazzamorte”, ma indica anche la dea della morte Morana ,Titolo che è stato tradotto con “Io sono l’abisso”. Il libro nel 2021 si è aggiudicato l’ambito Premio dell’Unione Europea per la letteratura. Prima opera tradotta in italiano per l’abile lavoro di Laura Angeloni è pubblicato da Miraggi edizioni che ha un’attenzione particolare per la letteratura ceca contemporanea e per la letteratura al femminile. Il libro di Faulerova’ è uno dei ventuno pubblicati dalla casa editrice nella collana di letteratura ceca “Nova Vlna”, letteralmente Nuova Onda, nome che allude alla Nouvelle Vague cinematografica cecoslovacca degli anni della primavera di Praga. La collana si propone, con un progetto organico, di far conoscere al pubblico italiano nuovi autori cechi e recuperare testi incredibilmente dimenticati perché, come sottolinea la nota editoriale “In passato come oggi la letteratura ceca è stata portatrice di freschezza e innovazione, col suo carattere ironico, grottesco e surreale, e la capacità di immergersi nelle profondità esistenziali”.
QUI l’articolo originale: https://tinyurl.com/3bwjymhm