QUANTE AVVENTURE IN QUEL VINILE
L’invenzione degli apparecchi per la riproduzione del suono sarà anche di quattro secoli successiva a quella della stampa, ma la storia dell’industria discografica ha più di un punto in comune con quella dell’editoria. Tanto per cominciare, in entrambi i casi abbiamo a che fare con un’attività economica che vende contenuti. Alti o bassi, che si tratti di opere d’arte o lavori di mero intrattenimento, di esperimenti o materiali divulgativi. E la parabola tra le due “industrie” presenta numerosissime analogie: c’è un’età pionieristica a dimensione artigianale, poi crescono i consumi e. parallelamente, si evolve la tecnologia, dall’artigianato passiamo alla dimensione industriale. Alla fine si arriva a uno scenario di concentrazioni: pochi player di grandi dimensioni che danno le carte, mentre fuori dalla porta si muove un panorama felicemente disordinato di piccoli soggetti che, per comodità, chiamiamo indipendenti.
Riflessioni che arrivano puntuali dopo la lettura di Musica solida – Storia dell’industria del vinile in Italia, voluminoso saggio scritto da Vito Vita. Il titolo è come se contenesse una polemica implicita nei confronti di quello che, quando adesso parliamo di music business, è lo spirito dei tempi: la cosiddetta musica liquida, una specie di precipitazione dei principi teorizzati da Zygmut Bauman in un universo nel quale, fino a ieri, comandavano le major ma oggi abbiamo le piattaforme di streaming come Spotify e Apple Music a capotavola. Vagli a spiegare a un millennial cresciuto a pane e visualizzazioni YouTube che c’è stato un tempo in cui i “padroni delle ferriere” erano quelli che avevano il potere di imprimere la tua voce su un microsolco, promuoverti attraverso un festival e distribuirti in tutto il Paese. Storie dell’altro ieri, prima che la crisi di Napster mettesse in ginocchio il settore. Storie che Vita dimostra di conoscere benissimo: dai primi esperimenti di voce registrata su fonografo e grammofono, dalle intuizioni di Thomas Edison ed Emile Berliner e dai cilindri e dalla gommalacca. L’approccio è, in prima battuta, quello di raccontare il fenomeno a livello internazionale, per scendere quindi a livello dell’Italia: eccoti l’ingegner Joseph Nigra, rappresentante per l’Italia di Edison che, alla fine dell’Ottocento, gira il Paese per illustrare la stravagante invenzione della macchina che riproduce il suono.
L’ordigno ci mette poco a trovare terreno fertile nel Paese del Bel Canto che, nell’epoca della Belle Époque, ha due capitali musicali: Milano e Napoli, la città della Scala e quella della Piedigrotta. La musica, prima di venire incisa, circola essenzialmente scritta e a queste latitudini prosperano le case editrici specializzate in repertori musicali: a Milano c’è Casa Ricordi, a Napoli i vari Curci, Bideri, La Canzonetta, quasi in tutti i casi imprese a gestione familiare. Se la Ricordi dovrà aspettare fino al 1958 per avere un’etichetta discografica, ai piedi del Vesuvio apre subito i battenti la Società Fonografica Napoletana destinata a diventare Phonotype, label indipendente specializzata in canzone tradizionale. Per il resto, il potenziale del mercato italiano è un’occasione colta soprattutto da aziende e imprenditori stranieri. A Milano ne arrivano in tanti, nel primo e nel secondo dopoguerra: la francese Pathé, le tedesche Parlophon e Odeon, la inglese His Master’s Voice che qui da noi si chiamerà Vcm (1931), prima di diventare Emi Italiana (1967), ma anche lo scaltro impresario ungherese Ladislao Sugar che, con Messaggerie Musicali, diventerà punto di riferimento per la distribuzione, prima di allargare il proprio business alla incisioni con la Cgd comprata da Teddy Reno, e le famiglie svizzere Carisch e Gürtler, quest’ultima destinata a scoprire un certo Adriano Celentano con le etichette Music e Jolly. Gli anni del boom economico e della relativa esplosione dei consumi musicali sono quelli del dualismo tra 33 giri e 45 giri che, qui da noi, si consumano nel derby tra Fonit Cetra, partecipata dalla Rai, e Rca Italiana, costola tricolore della multinazionale americana partecipata dall’Ior del Vaticano. Ma è un coro a più voci, nel quale ai soggetti indipendenti toccano spesso parti di primo piano. In specie se si tratta di etichette fondate da artisti, come il Clan Celentano o la Pdu di Mina.
La storia della discografia italiana è un’antologia di vicende umane avventurose, come quella di Nanni Ricordi, rampollo di cotanta famiglia che nell’estate del 1961, per dissidi con i nuovi azionisti della Casa, passa alla Rca Italiana portando con sé Sergio Endrigo e Gino Paoli. Lo scopre Vincenzo Micocci, leggendario direttore artistico di Rca Italiana, e decide di fare il medesimo percorso Milano-Roma in senso inverso, trasferendosi alla Ricordi. Ci sono Gianni Sassi e Sergio Albergoni che, nei primi anni Settanta, fondano la Cramps offrendo campo libero a rivoluzionari delle sette note come gli Area, punta di diamante della stagione progressive. Quante avventure in una storia sola. Quanta sostanza nella musica solida.
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