Fra vergogna e cattiveria-Non risponde mai nessuno.
La vergogna di essere uomo: c’è una ragione migliore per scrivere?
Gilles Deleuze
Bue bue bue fa il cane randagio,
e può darsi che abbai a un altro cane,
a un’ombra, a una farfalla, o alla luna,
non è però escluso che abbai a ragion veduta, quasi che attraverso i muri, le strade, la campagna, gli sia giunta la cattiveria umana.
Dino Buzzati
Nella fascinazione i bellissimi racconti di Simone Ghelli mi giungono in lettura e mi riportano ai felici tempi in cui la letteratura era sinonimo di raccontare bene, con attenzione e umanità, di ciò che tormenta e affligge il vivere fatto uomo. Una letteratura realistica, neorealistica, il periodo dovrebbe essere proprio il neorealismo, al cinema e nella narrativa, un periodo d’oro italiano che molti ancora ammirano e prendono d’esempio: Cassola e poi Verga, Pavese. Leggendo Simone mi sembra di essere in compagnia di autori amati nell’adolescenza e nello stesso tempo sento lo stile originale del nuovo scrittore che contamina e si arricchisce di suggestioni fino al fantastico di Dino Buzzati.
Un bel leggere già dalla prefazione tanto accattivante da farmi scegliere i due temi individuati da Wu Ming 2 come traccia da seguire nel legare i racconti. Fra vergogna e cattiveria, storie di difficoltà, famiglie composte da persone con handicap, oppure semplicemente più fragili, famiglie che per tutte la vita saranno segnate da una specie di vergogna, di dispiacere e nello stesso tempo oggetto della cattiveria altrui. Sono racconti di cui mi piace riproporvi qualche stralcio per gustare la pulizia del linguaggio
Qui Giovanni, il protagonista lavora con i matti, e ne sente tutta la tragica inanità “Tutte le sue ore di studio e le idee romantiche sulla follia, che gli erano sembrate così forti da poter reggere l’urto contro ogni realtà, si erano sbriciolate nel giro di pochi minuti il giorno in cui un infermiere gli aveva chiesto se avesse per caso già fatto il vaccino contro l’epatite. In un attimo Giovanni aveva ripensato a tutti i malati che aveva toccato – altro che ospiti: quelli erano malati e contro la paura il linguaggio non aveva potuto niente – e improvvisamente aveva accusato un giramento e si era dovuto sedere perché gli tremavano le gambe e davanti agli occhi erano comparsi tutti quei puntini, proprio come quelli che erano rimasti impressi nella fotografia.” da racconto I tafani della Merse
Seguiamo il racconto in cui il protagonista va con lo zio per filmare la casa di un poeta e raccogliere testimonianza di quel che era stato. Qui nella fase finale del racconto “Quella sera cenammo nella villa di proprietà della presidentessa dell’associazione, dove era stato allestito un banchetto pieno di cose buone. C’erano professori, assistenti, studiosi, poeti: ognuno con qualcosa d’interessante da dire. Tutto quel parlare su qualcuno che non c’era più è diventato l’assordante fuori campo sonoro del finale che lascia spazio alla vera poesia. Il silenzio sopraggiunge per rendere un po’ di giustizia e ristabilire un ordine su cui quest’uomo aveva lavorato nei suoi ultimi trent’anni. È il mondano che infine non può più niente davanti a un guscio vuoto abbandonato sulla riva dell’oceano, che aspira ad essere un’increspatura sulla corrente.” Da Natura in versi dove si immagina di andare nella casa del poeta Peter Russel, alla Turbina, nell’estate del 2005 e con le sue poesie raccontare quell’abbandono, abbandono che il poeta aveva sentito anche in vita. La casa è quieta,tutto è immobile… Nel leggere rimane il desiderio di andare a leggere tutto su questo poeta nel continuo movimento, nell’andare da una lettura ad un’altra.”Il 22 gennaio del 2003 a Pian di Sciò morì il poeta inglese Peter Russell, considerato dalla critica uno dei più grandi poeti inglesi del secolo scorso. Dal 1983 viveva nel paese valdarnese, Castelfranco Pian di Sciò, al quale nel momento della sua morte donò l’intero patrimonio librario, di lettere e documenti.” da ValdarnoPost.
Dai versi a Non risponde mai nessuno, il racconto di Cesare e Luciano, figlio e padre, nel momento in cui è il figlio a dover decidere per il padre, dai versi alla realtà. Con dialoghi plausibili, dialoghi che ci appartengono, Simone riesce a portare noi lettori nelle case, nelle situazioni, come se ci fossimo anche noi seduti a quelle sedie accanto a Luciano, alle bollette che non apre, ai contratti che fa e disfà, al declino di una lucidità che lo priva dell’autonomia. Nella solitudine del vivere la figura del sociale diventa solo un modulo da riempire, una fila d’attesa da rispettare.
Tutti i racconti sono utili, utili alla lettura e al dialogo interiore, dialogo che non dovrebbe cessare mai nel continuo interrogarsi sulle azione di cui ci si vergogna o di cui si è consapevoli della cattiveria insita eppure si compiono lo stesso.
Nelle prove che ciascuno affronterà ci sarà sempre quella vergogna e cattiveria insita nella miseria delle azioni umane.
Non risponde mai nessuno nell’olimpo della Litweb
Ippolita Luzzo