Giochi di parole che in “Pagina bianca”, pubblicato da Miraggi Edizioni, formano disegni.
La scomposizione del verso crea movimento, non rispetta il rigo, si muove su linee immaginarie.
“È la rima che guasta e la festa si arresta.”
Una sperimentazione linguistica che propone immagini di “gente quanta gente.”
Incontro casuale mentre “la musica alta” individua l’incapacità di comunicare.
Le acque, i castelli, “il fruscio del bosco di pini. e tufo d’antichi desideri”.
La punteggiatura è esercizio senza regole, esperienza di libertà.
Profumi mediterrani che scavano assenze, streghe e sciamani mentre “il cielo è un prato di calendule bianche, da lontano.”
Gianluca Garrapa è un eclettico affabulatore e nella prosa intercalata alla lirica si libera di schemi e figure allegoriche.
La sua è conquista di un linguaggio nuovo che recupera il suono del fonema.
“Stagione in cui tutto resta imprigionato nell’ombra.
Percosse.
Alcolico intruglio.
Schiamazzate di ragazzi col casco infilato sotto il braccio.”
La provincia nelle notti sfrangiate di desideri, nelle stelle che sembrano vicine.
Il dialetto segna il confine del ricordo di una terra amata con quel dolore antico di chi parte.
“Una sedia due ombre l’amore.”
In una frase si concentra la fugacità del sentimento.
Il lettore si perde e si ritrova, segue percorsi interiori, percepisce la malinconia.
“Immaginarsi. più che immaginare.”
È questa la rivoluzione proposta dall’autore, liberarsi da ogni ingombro lessicale e culturale ed entrare nel nucleo profondo dell’essere.
Un libro che riserva molte sorprese, una sfida per tutti noi che non riusciamo a cogliere la differenza tra solitudine e moltitudine.
QUI L’ARTICOLO ORIGINALE: