Quella dei Bata è la storia di un successo mondiale, decenni prima della globalizzazione. Si trattava di un capitalismo a tratti ingenuo, seppure moderno. Illuminato, nel suo paternalismo: era attento alla qualità del lavoro e della vita dei dipendenti, fino a immaginare un vero e proprio “sistema Bata”, efficiente ed etico, comprensivo di buone paghe, istruzione, case, dettami morali.
Il romanzo ci dà l’occasione di rovistare nei cassetti e nelle scatole di latta di questa straordinaria famiglia di “calzolai che hanno conquistato il mondo”. Scatole e cassetti colmi di documenti, foto, diari.
Seguiremo Jan Antonín Baťa (così il vero cognome), uno dei più grandi uomini d’impresa di ogni tempo e luogo, visionario, caparbio e con un’incrollabile fiducia nel futuro, insieme modernissimo e d’altri tempi. Ci accompagneranno le sue figlie e nipoti, i cognati, con il loro racconto gustoso e dolente, sempre combattivo, tra i ricordi di mille peripezie affrontate procedendo a zig zag tra i dossi e le buche del Novecento.
La fuga dai nazisti prima e dai comunisti poi, che lo condannarono ingiustamente per collaborazionismo, il boicottaggio da parte di inglesi e americani, le beghe ereditarie, l’esilio e la nostalgia, con la lingua madre a fare da sottile e orgoglioso legame con le proprie origini.
E la giungla? Dei cechi, dei calzolai, nella giungla? Nulla di strano per uno che aveva immaginato di “trasferire” il popolo cecoslovacco in Patagonia per colonizzarla.
È in Brasile, infatti, che Jan Baťa si stabilisce una volta lasciata l’Europa, lì insedia fabbriche e fonda città, strappandole alla foresta. Dimostrando che con la volontà e la capacità, oltre che con il duro lavoro, si può ottenere molto, se non tutto.
E magari riuscire a far « venire a galla la verità come l’olio sull’acqua », come scrisse in punto di morte.
Alessandro De Vito