La storia tedesca del Novecento e le tradizioni di una piccola isola del sud Italia si intrecciano con le vicende personali di una donna apparentemente come tante. Ulrike è morta, ma la sua anima è intatta: decide di impiegare il tempo in cui verrà accompagnata nel luogo della dispersione delle ceneri ripercorrendo la sua vita e quella di quattro generazioni della sua famiglia. Nell’alternarsi di passato e presente, la protagonista si confronta con il dolore che fortifica e con quello che distrugge, riflette su ciò che è stato e ciò che non sarà più, indaga sul senso della vita, dell’amore, dell’arte. Fino al momento di sprofondare nel mare cristallino da lei tanto amato.
Postfazione di Marco Montemarano:
E lucevan le stelle, splendido romanzo d’esordio di Elisa Occhipinti Gelsomino, è un’opera sorprendente.
La prima sorpresa è stata per me quella di scoprire fin dal primo capitolo che la protagonista, quella voce della narrazione che parlerà poi al lettore con tenera fermezza fino alla fine del libro, è già morta. Qualcuno la sta portando, sigillata dentro a un’urna cineraria, in un luogo a lei caro che presto scopriremo essere l’isola di Favignana, nelle Egadi.
Che storia mi sta raccontando l’autrice?, mi sono domandato. Perché me ne rivela fin da subito la conclusione? E perché poi vuole obbligarmi a credere a un artificio come quello di dare la parola a “tre chili scarsi di cenere”?
Eppure qualcosa – la prosa calda e senza sbavature, il mistero di una donna che deve essere stata davvero importante se qualcuno ne sta accompagnando le ceneri in un viaggio lungo duemila chilometri – ti obbliga a proseguire nella lettura. E anche a credere alla plausibilità di questa voce: quella di Ulrike, nata alla fine degli anni Venti nella Danzica prussiana e il cui primo ricordo è la parola Jude ripetuta per decine di volte sulla vetrina di una bottega ebraica.
Da quel momento Elisa/Ulrike ci accompagna con mano sicura e salti temporali gestiti con sapienza attraverso tutte le fasi della Storia recente tedesca ed europea, dal nazismo al presente, passando per la guerra, la ricostruzione, Willy Brandt, Rudi Dutschke, il terrorismo della RAF.
Passiamo alla seconda sorpresa. Elisa Occhipinti Gelsomino, autrice italiana appena trentenne, riesce a intessere un solido romanzo capace, in appena centocinquanta pagine, di tenere insieme i destini di quattro generazioni ma anche di trasmetterci il senso e le atmosfere di ottant’anni di Storia tedesca.
Ecco. Quando mi sono accorto che questo, precisamente questo era il progetto ambizioso di E lucevan le stelle, e che Elisa possedeva la capacità di portarlo a compimento, ho capito anche la scelta – forse addirittura la necessità – di far parlare Ulrike da morta: lontana dalle passioni ma proprio per questo finalmente capace di rappresentarle nella loro forza; ormai staccata dalle cure della vita umana e per questo in grado di intravederne l’intreccio e di coglierne, se non il senso, almeno la bellezza. E il libro mi ha definitivamente conquistato.
C’è poi un terzo aspetto fondamentale e sorprendente in quest’opera. Ed è la naturalezza con cui essa si inserisce in un solco, in un flusso letterario che non si è mai interrotto per tre secoli. Quel solco e quel flusso che tematizza l’attrazione, la Sehnsucht dei tedeschi per l’Italia. Elisa ce ne offre una versione contemporanea e rivisitata attraverso l’amore di Ulrike per un’isoletta al largo delle coste siciliane.
Ed è davvero un amore di estremi che si attraggono. Ulrike, fuggita con la sua famiglia verso la fine della guerra da Danzica a Lubecca, algida città anseatica in cui è ambientato I Buddenbrook di Thomas Mann, nel lontano nord della Germania, finirà per innamorarsi, molti decenni dopo, di un’isola italiana a poche miglia marine dalle coste nordafricane.
È il solito desiderio dei tedeschi di rompere con la propria cultura, di compiere scelte radicali? Sì, ma è anche molto di più. Il destino di Ulrike, fin oltre l’evento della morte, è una magnifica rappresentazione narrativa dell’amore – l’amore per una terra in questo caso – e della libertà: la libertà di scegliere il nostro destino affrancandoci dai progetti che la Storia con la “S” maiuscola aveva fatto su di noi.