Ho sempre lasciato che la parola prendesse le forme che voleva. Qualche volta sono stati racconti, brevi o lunghi; a volte romanzi, a volte favole. Un giorno le parole si sono imbizzarrite, e hanno scelto di andare a capo. L’unica cosa che credo possa fare uno scrittore serio è dire: Sì, e andare a capo con loro.
Queste non le chiamerò, quindi, poesie. Per me sono parole a capo. Me, mi trovate negli Invio.
«Se restiamo in piedi ¶ Vicini ¶ E ti metto un dito ¶ A toccarti piano ¶ Sfregando il ¶ Tessuto che ieri mi ¶ Hai detto, evitando ¶ I jeans come un ¶ Piede le coperte ¶ Mi parli come un disco ¶ Della Piaf, rubando ¶ Occhi agli occhi ¶ E strade ai ¶ Marciapiedi, e volano ¶ I pipistrelli in folate ¶ Improvvise. Ogni tanto ¶ Appoggi la bocca alla ¶ Spalla, e quel che ¶ Dici è incomprensibile ¶ Di bacio, morso, saliva. Ti ¶ Ho bagnato la polo, ¶ Dici, e ¶ Niente, niente. ¶ Poi guardi di ¶ Là, ed è l’orecchio alla ¶ Spalla, e mentre la nota ¶ Scende, e ¶ Sale, e scende e poi ¶ Non scende più, quello ¶ Quello che vedi ¶ Lo sai solo tu.»
[La copertina è di Marco Cazzato]