Gio Evan cambia indirizzo ai luoghi comuni, sovverte il senso delle frasi fatte e dei modi di dire, obbligando il vocabolario alla sfida dell’improbabile. Propone impegnative mescolanze verbali per provare quanti agganci lessicali vivono e aspettano di essere messi nuovamente in vita. Gio Evan usa la scusa delle poesie per spalancare le porte di un’immaginazione non violata e invitarci nel mondo del surreale, dell’incredibile, della meraviglia, della sorpresa.
Il palco su cui si muove è asciutto e minimalista, lascia spazio sufficiente al vero protagonista: il pensiero non pensato. Gio Evan non è altro che la movenza creativa della lingua, dove filosofia e gioco e poesia si alleano per esprimere la potenzialità di vivere molteplici vite.
– Mi vuoi sposare?
– No
– Davvero no?
– Sì davvero no, non voglio sposarmi.
– Perché non mi ami?
– Sì che ti amo ma non voglio che ci sposiamo, ecco se vuoi possiamo levare la S e ci “posiamo”.
– Ci posiamo?
– Sì ci posiamo, su un bel prato di fiori magari, e dopo potremmo, se ti va, levare anche la P e così ci “osiamo”.
– Ci osiamo?
– Sì, perché no, il prato di fiori, io e te che osiamo di noi, e magari quando i sudori saranno diventati un odore solo, leviamo anche la O, così rimane il “siamo”.
– Il siamo?
– Sì il siamo, la presenza, e una volta diventati una cosa sola, consapevoli, leviamo anche il SI per dare la nostra conferma al cielo, e tra noi rimarrà solo e per sempre “amo”.
– Allora ricapitoliamo: sposiamo, posiamo, osiamo, siamo e amo. giusto?
– Giusto.
– Lo voglio.
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