Angelo Orlando Meloni: «Caro 4-3-3 Nuntereggaepiù…»
di Daniela Sessa
Sono ambientati quasi tutti nella sua Siracusa i sei racconti di “Santi, poeti e commissari tecnici” (Miraggi Edizioni), la nuova fatica letteraria del libraio e scrittore aretuseo, metafora del mondo provinciale legato al pallone come racconto di una città-mondo
I racconti di Meloni sono sei luoghi di rappresentazione di un’antropologia ai limiti della plausibilità e che vive tra compassione e compromesso, tra disincanto e rapacità: «In Italia la vera religione è il calcio. I miei personaggi sono perdenti con un cuore grande»
Angelo Orlando Meloni
Santi, poeti e commissari tecnici (Miraggi edizioni) è il titolo del nuovo libro di Angelo Orlando Meloni, scrittore e libraio di Siracusa, anzi libraio e scrittore perché tiene a sottolineare «Non mi sento un letterato, sono un libraio che ogni tanto scrive qualcosa». Ogni tanto scrive libri empatici dove l’oggetto rappresentato – in questo caso la bulimica fede degli italiani per il calcio – è la metafora di uno stato d’animo che zooma lo spazio geografico su una città, la sua Siracusa, e nello stesso tempo dà espressione a tutti i tic della nostra mente. Il titolo è indicativo della scrittura di Meloni che usa la cifra della distopia e del surreale e li condensa nel registro umoristico. I racconti sono sei luoghi di rappresentazione di un’antropologia ai limiti della plausibilità e che vive tra compassione e compromesso, tra disincanto e rapacità.
Santi, poeti e commissari tecnici può dirsi una raccolta di sei racconti sulla metafora del calcio di provincia come racconto di una città-mondo?
«Sì, i miei sono racconti con una valenza universale, che possono essere letti ovunque, anche se la maggior parte delle storie è ambientata a Siracusa».
I santi e i commissari tecnici in Italia sono un binomio. Ma i poeti?
«In Italia non siamo cattolici, il cristianesimo è un’abitudine e quasi nessuno legge la Bibbia. La vera religione è il calcio, con i calciatori al posto dei santini. I poeti? La nostra è una nazione di mancati lettori che si sono autoproclamati scrittori e che pubblicano a pagamento libri brutti».
Il racconto Ode al perfetto imbecille a dispetto del titolo racconta una storia piena di pietà, nel senso più nobile del termine. Cosa rappresenta questo racconto nel progetto del libro?
«È il momento spartiacque in cui divento tragico: una storia di ordinaria ingiustizia e classismo che probabilmente molti avranno subito o cui avranno assistito, perché la nostra è una società ingiusta. È una storia dal ritmo rock: i pezzi rock possono essere commoventi e parlare dell’amore tra padre e figlio, di tutto quel carico di silenzi e di parole mancate che quell’amore lì a volte si porta appresso».
La costruzione del personaggio nel libro è centrale. C’è davvero tanta “mostruosità” nell’uomo? Quanto si arrabbieranno i siracusani a vedersi rappresentati così?
«Questa ondata di odiatori seriali, razzismi camuffati, collassi cognitivi, nazionalismo (che per me è il male nel mondo) ci costringono a concludere che l’umanità faccia schifo. I miei personaggi, invece, sono dei perdenti con un cuore grande, più umani degli umani incazzati sul web. Circa i miei concittadini siracusani, li descrivo con pregi e difetti, come dovrebbe fare qualsiasi scrittore onesto».
Sostieni che non c’è una letteratura ma tante letterature. In quale metteresti questo libro?
«Dovremmo venire a patti con l’idea che ci sono tanti canoni letterari, che ognuno di noi forma durante un percorso di lettura lungo una vita. Il mio libro è uno spaghetti-fantasy: realismo magico con la granita siciliana al posto degli spaghetti».
L’ultimo racconto è Il campionato più brutto del mondo e ha una conclusione quasi apocalittica. Un’apocalisse per liberarci dalla dittatura del senso comune?
«Senza dubbio. Dedico il mio libro a tutti quelli che non ne possono più di 4-3-3 di Juve, Inter e Milan, di retorica patriottarda d’accattonaggio fatta di inni, gagliardetti, coreografie, striscioni. Come cantava Rino Gaetano, anche io Nuntereggaepiù…».
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