“La notte dei botti”: la recensione di Mauro Trotta su il Manifesto
Forse sono solo i poeti a possedere quello sguardo che riesce a illuminare il presente e, a volte di luce nera, quello che si appresta ad arrivare. Biagio Cepollaro, napoletano, ma da tempo residente a Milano, è un poeta; tra i fondatori dell’esperienza del Gruppo 93, successivamente – e su stimolo di Nanni Balestrini – decide di cimentarsi con la forma romanzo. Nasce così, nella seconda metà degli anni Novanta, La notte dei botti, dai primi anni Duemila disponibile solo in rete sul suo sito, oggi, finalmente, diventato libro cartaceo grazie alla Miraggi edizioni (pp. 143, euro 14).
Erano anni, quelli, in cui, come dice lo stesso Cepollaro nella nota posposta al testo, si annunciava «un ventennio politico che per alcuni di noi si profilava oscuramente come una notte lunga, la vera notte della Repubblica, un tunnel interminabile».
Si trattava, allora, di gettare lo sguardo in quell’abisso, utilizzando il solo strumento a disposizione del poeta, la scrittura. Ed è appunto quello che fa Cepollaro, il quale, però, la utilizza anche in una sorta di raddoppiamento. Quasi come in un gioco di specchi non è solo l’autore a scrivere il libro, ma anche il personaggio principale, non a caso chiamato lo Scriba, a registrare quello che vede ma anche i suoi sogni, i suoi incubi insieme a quelli altrui.
A un certo punto si convince di aver compreso quello che è realmente accaduto e cosa si prepara, il suo problema è comunicarlo agli altri, trovare una lingua in grado di farlo.
Il tutto mentre in bicicletta si allontana dall’autogrill dove è stato indirizzato e rinchiuso – insieme a tanti altri – dopo quella notte particolare e misteriosa, la «Notte dei Botti», in attesa di mitici accertamenti. Già, perché dopo quella notte segnata da esplosioni e boati, quella notte che alcuni chiamano della «Libera Espressione», sembra sia saltato ogni equilibrio, ogni forma di violenza si è scatenata, mentre gli elicotteri delle forze dell’ordine volteggiano, l’odio si impadronisce delle «brave persone» e si appunta contro ogni luogo antagonista, come il Centro di Nanna, Mommo, Singa o le librerie di quartiere. Alle spalle di tutto, poi, sembra ci sia un’organizzazione che vuole impadronirsi non solo del potere ma dell’intera vita, dell’intera esistenza dei cittadini.
Nella narrazione, emergono quelle caratteristiche che segnano ancora oggi la nostra esistenza: la frammentazione del lavoro, la flessibilità, l’autosfruttamento, per cui lavori di più e guadagni di meno, ma non ti ribelli e poi contro chi vuoi ribellarti se sei convinto che sei tu il padrone di te stesso, sono tuoi i mezzi di produzione? E allora il rancore, l’odio verso l’altro, verso il diverso che è sicuramente tutta colpa sua. È una storia nuova che assomiglia tanto a quella vecchia. «Solo che questa ci vuole convinti. Ci vuole giù con la testa piegata. Non basta più il prete non basta più la mamma. Ci vuole da soli a piegare la testa. Anzi ci vuole contenti di piegare la testa».
E se nel sogno dello Scriba arriveranno i Resistenti sui loro cavalli, quei mitici Resistenti che pare si siano radunati alla fine dell’autostrada dove lui si sta dirigendo pedalando senza sosta, nel suo incubo il mondo non ha più l’orizzonte.
Biagio Cepollaro, insomma, ha raccontato vent’anni fa una storia che continua a riguardare tutti e che, anzi, col passare del tempo sembra aver acquisito ancora più forza. Il tutto con una scrittura davvero particolare e poetica, ricca di simboli e di anafore. E di allitterazioni indimenticabili come: «Perché s’imboscano l’abbondanza». E alla fine il lettore può anche ritrovarsi come il Sadri che, leggendo i versi che lo Scriba manda continuamente non sa «se c’è un codice o sono le solite minchiate dei poeti».
Mauro Trotta