La musica di oggi ha perlopiù una sostanza “liquida”. Streaming, peer-to-peer, mp3, Spotify, Wave, Flac, Torrent, il sempre affidabile E-mule. Termini ormai familiari, entrati di diritto nelle nostre giornate di ascoltatori incalliti, anche se sono in tanti a non aver mai rinunciato al supporto fisico, al compact-disc, meno che mai al vinile. Perché affidarsi a un impianto hi-fi fatto bene, a un 33 giri che gracchia senza un domani, possiede ancora un fascino irresistibile. E se il mercato del disco in vinile è in crescita dopo qualche decennio di buio assoluto, una ragione ci sarà. Certo, i numeri degli anni ’60 e ’70 sono e rimarranno irraggiungibili: decenni duranti i quali i dischi (senza dimenticare le più economiche musicassette e le meteore Stereotto) si vendevano come il pane, con un’industria discografica in grado di fatturare cifre da capogiro.
Vito Vita, giornalista di lungo corso nonché bassista della band di rock demenziale Powerillusi, ci porta, con il suo Musica solida. Storia dell’industria del vinile in Italia(Miraggi Edizioni, 2019), proprio all’interno dell’industria del vinile in Italia. Ne ripercorre la storia dalle origini, sin dalla costituzione della Phonotype di Napoli, la prima casa discografica nata nel nostro Paese, ne segue i passaggi più importanti, come il boom del singolo a 45 giri, che soppianta il “padellone” a 78 giri, fino all’esplosione del 33, del cosiddetto album.
Un lavoro imponente, che narra, in poco meno di 400 pagine fitte di informazioni, la diffusione del disco attraverso la ricostruzione delle vicende, più o meno fortunate, delle label tricolori, dalle più influenti e autorevoli a quelle di nicchia, affidandosi altresì ai racconti di musicisti, parolieri, arrangiatori, manager, dei discografici stessi con le loro intuizioni, i colpi di fortuna, gli inevitabili errori, a volte corretti in corsa.
Francesco Guccini, tanto per fare un esempio, avrebbe dovuto essere licenziato dalla EMI dopo il secondo album, per non parlare dei rifiuti collezionati da Lucio Battisti, delle scissioni, dei dissidi, dei divorzi insanabili (quella tra Adriano Celentano e Don Backy è senza dubbio la madre di tutte liti). Interessanti (e parecchio istruttive…) anche le considerazioni di Pino D’Angiò su di un Flavio Briatore improvvisatosi, un bel po’ di anni fa, discografico o presunto tale, ma il volume di Vito Vita, in realtà, è stipato fino all’orlo di sorprese e di piccole grandi scoperte, che si susseguono una dopo l’altra, senza soluzione di continuità, regalando agli appassionati di musica un bel po’ di gioia.
Musica solida. Storia dell`industria del vinile in Italia
Volete sapere tutto sull’industria discografica? Sulla produzione di vinile, cd, sul mondo delle case discografiche italiane e della distribuzione e ancora su tutto quello che l’autore – in una parola – definisce musica solida? Acquistate questo libro!
Dopo una breve introduzione sull’invenzione del fonografo con le sue varie evoluzioni tecniche (tipi di incisione e velocità di rotazione del disco, su tutti) si entra nel vivo con un lungo excursus sull’introduzione della nuova tecnologia in Italia, a partire dal 1902, data della prima registrazione nel Paese, avvenuta a Milano con star Enrico Caruso che in due ore licenziava 10 brani operistici. Da qui in avanti il libro segue l’evoluzione dell’industria italiana dalla nascita delle prime case come la Fonit, la Cetra, La Durium e le altre etichette estere che operavano nel nostro paese prima della Seconda Guerra Mondiale. Con il racconto dell’espansione del mercato del disco avvenuta nel dopoguerra il libro rivela le sue indubbie qualità enciclopediche: viene seguita l’evoluzione delle etichette già nate e documentata quella della galassia di nuove imprese, grandi, medie, piccole e microscopiche che brillano nel Paese, da Nord a sud.
Una ricchezza che si rivela pagina dopo pagina e ci fa comprendere meglio quanto l’industria musicale del nostro paese fosse simile al resto dell’impresa e quindi in grande espansione ovunque. Era il periodo del “miracolo economico italiano”. Sono gli anni della Ricordi e all’estero della Philips olandese o della Decca inglese. Qui la storia si allarga e dal mondo della produzione si passa al racconto delle vicende artistiche. Si raccontano i vari festival della canzone che sorgono nel Paese (e dei quali oggi rimane solo praticamente Sanremo), la vicenda del Clan Celentano che raggruppava vari artisti del cerchio magico del molleggiato, o quella di Mina, la cui casa discografica, la PDU, venne fondata intorno a lei dal padre. Gli anni Settanta segnano il trionfo del 33 giri e di tutto quanto fa da contorno all’industria discografica: le riviste ufficiali, come Gong, Mucchio Selvaggio, Popster/rockstar, quelle underground, le case editrici alternative, i programmi televisivi dedicati alla musica, l’inizio delle radio libere, fotografi, grafici e designer che lavorano alle copertine dei dischi, le grandi corporation internazionali, le etichette italiane, quelle indipendenti, come la Cramps. Questi sono i capitoli più ricchi di nomi e fatti. Perché negli anni Ottanta inizia, prima in sordina e poi sempre più fragoroso, il fenomeno tecnologico del Cd e il conseguente declino delle vendite degli Lp a 33 giri.
Come già detto in apertura il libro è un vero manuale della discografia italiana, fitto di nomi e di dati interessanti, ma l’ultimo capitolo rivela una ulteriore curiosità: con l’evidente declino portato dalla musica liquida, qui definita addirittura “gassosa” vuoi per la perdita di supporto, vuoi per l’evaporazione della consistenza economica, viene data la parola agli addetti del settore che propongono riflessioni diverse e di indubbio interesse sul fenomeno della musica “gratuita”o della nascita di concorrenti al monopolio SIAE. Ne riporto una, di Alfredo Gramitto Ricci, manager delle Edizioni Musicali Curci, a proposito del giornalismo musicale, che certifica quanto sostengo da tempo, ovvero la morte della critica. “La stampa cartacea è per gli artisti che hanno un pubblico oltre trent’anni, non interessa più ai ragazzi andare a leggere le recensioni di un Luzzatto Fegiz, anzi è controproducente se piace al giornalista di grido, come una specie di rottamazione”. Purtroppo molti segnali indicano che il processo vale anche sopra i trent’anni e che se si smette di leggere prima di quell’età sarà molto difficile abituarsi a farlo dopo, come testimoniano le non vendite di quotidiani e riviste. Gli intellettuali, guardati con sospetto, vengono rottamati in nome della libera espressione dei social che però non ha ancora prodotto nulla di paragonabile alla democratica diffusione delle idee, quella che veniva agevolata, come in tutto il resto anche nella musica, dalla pluralità di soggetti coinvolti, ad esempio le etichette discografiche indipendenti, le radio libere, i mensili di approfondimento, gli articoli sui quotidiani, le fanzine, i libri. Si parte rottamatori urlanti e si finisce…Lo scopriremo solo vivendo.
Surclassato prima dal CD e poi dalla musica digitale, il long playing vive oggi una seconda felice stagione. Il suo suono imperfetto appare più vero, meno artefatto. Tre libri raccontano l’emblema della musica solida
Il vinile, espressione di un’epoca superata, era stato sotterrato da un dischetto meno ingombrante, che suona per 80 minuti e non si graffia perché non c’è puntina a “leggere” i solchi. Era celebrato solo nelle fiere come il “Music Day” che ancora attira una miriade di collezionisti (prossimi appuntamenti a Roma il 2 febbraio e il 19 aprile 2020) alla ricerca di vecchi, rari e costosi 33 e 45 giri.
Ma la ruota gira ed anche il CD si era poi avviato verso la china, surclassato dalla musica digitale che si ascolta senza supporto, in vendita sulle piattaforme digitali e fruibile in streaming su Spotify e Youtube.
Il libro “Musica solida. Storia dell’industria del vinile in Italia” di Vito Vita (Miraggi Edizioni, settembre 2019) si sofferma sulla “musica solida” cioè che non è liquida (o, come uno dei discografici intervistati nel volume la definisce efficacemente, “gassosa”). Il volume è un’accurata ricerca storica sulla musica del passato, che spesso ha rivestito un ruolo rilevante socialmente e culturalmente; raccontata attraverso le vicende di chi in Italia l’ha fabbricata, cioè le case discografiche, dalle origini in forme ancora artigianali fino agli sviluppi del secondo dopoguerra e del boom dei 45 giri, per arrivare ai decenni successivi e alle crisi dovute all’evoluzione tecnologica dei supporti.
Poi è capitato l’inimmaginabile. Quando erano praticamente scomparsi, i long playing si sono ripresi la loro rivincita e sono tornati ad occupare i banchi di vendita, relegando i compact disc in spazi sempre più limitati. L’industria discografica ha ripreso a sfornare i vecchi 33 giri; erano partite per prime le etichette indipendenti specializzate in ristampe di qualità e nuove pubblicazioni, poi sono arrivate pure le case discografiche maggiori a rimettere in catalogo i magici 33 giri.
Vinile. Il disco come opera d’arte. La storia, l’evoluzione, il ritorno di Mike Evans (Atlante Editore, settembre 2019) ci ricorda che il 33 giri è anche un quadro con la sua copertina 30×30. Il volume ripercorre la storia del long playing soffermandosi sulle etichette più importanti, gli artisti fondamentali e gli album imperdibili, proponendo testimoni e protagonisti dell’evoluzione musicale degli ultimi cento anni.
Il volume di Marco Tesei, Mondo vinile. Stili, mode e avanguardie mu- sicali in un pick-up (Zona Editrice, ottobre 2019) pone in evidenza come la (ri)scoperta del vinile non riguardi solo un manipolo di nostalgici agé, ma anche i più giovani. E non sono pochi gli artisti che decidono di pubblicare le loro nuove opere su LP. Qual è il segreto del successo? Ad avviso di Tesei il vinile piace soprattutto per il suono “imperfetto”, ovvero soggetto a lievi distorsioni e irregolarità che gli conferisce un’immediatezza e una naturalezza – una “verità” – del tutto diverse dall’artefatta perfezione formale della musica digitale. Il libro apre un’ampia finestra, con tante interessanti curiosità, sul variegato mondo del vinile: storia, personaggi, saperi, tendenze, mercato.
“Musica solida”: dai cilindri ai 45 giri, la storia dei dischi in Italia
Un libro che è una guida storica a case discografiche, programmi radio e tv e riviste musicali in Italia
Un libro divertente, appassionante, che ti cattura pagina per pagina, per quanto poderoso (“Musica solida, storia dell’industria del vinile in Italia”, miraggi edizioni, 400 pagine, euro 23). Un libro musicale? Quei libri per lo più noiosi, che citano storie che sappiamo a memoria, pescate da wikipedia, tutti uguali a se stessi? Ebbene sì, perché Vito Vita non è solo uno scrittore competente, che ha ricostruito con dovizia approfonditissima nomi, personaggi, eventi, anche gli indirizzi con tanto di numero civico e organigramma con nomi e cognomi del personale presente di tutte le case discografiche apparse in Italia dai tempi dei “cilindri” a quelli dei 78 giri (che si vendevano inizialmente in un massimo di duemila copie) fino all’avvento dei 45 e dei 33 giri (il primo lp nel 1948, a cura della multinazionale Columbia, ma solo nel 1958 le vendite dei 45 giri superarono quelle dei 78), ma è anche una penna brillante, con tanti aneddoti che illumineranno chi pensava di sapere tutto sull’argomento.
Interessante sapere che le primissime incisioni si tennero a Napoli alla fine dell’800, per diventare poi Milano la sede delle primissime etichette. Scopriamo poi, per citare un personaggio attivo più di 50 anni dopo, che Mara Maionchi esordisce nel mondo della discografia nel novembre 1967 quando viene assunta alla Ariston come capo ufficio stampa e pubblicità per passare alla fine del 69 alla neonata Numero Uno, l’etichetta di Lucio Battisti.
Tante le storie divertenti di quegli anni pionieristici e anche un po’ malandrini, come quella dell’etichetta Vedette, messa su da un orchestrale abruzzese, Armando Sciascia (tutte le etichette sin dagli inizi del primo novecento erano fondate e dirette da musicisti, non come oggi dove si trovano in vetta ex direttori marketing di aziende di profumi) insieme a un amico, Francesco Anselmo anche lui un orchestrale, nel 1960. Ebbene, la Vedette si distinse per piccoli ma significativi imbrogli. Mise sotto contratto ad esempio l’Equipe 84, i cui membri manco sapevano cosa fosse la Siae e Sciascia si attribuì tutti i brani incisi come autore. Quando Vandelli e soci se ne accorsero, mollarono l’etichetta intentando causa. La Risposta di Sciascia fu di prendere le basi musicali incise dall’Equipe e reinciderle con un altro cantante, un ancora sconosciutissimo Demetrio Stratos. Chi lo sapeva che la carriera del più grande vocalist italiano era cominciata con uno squallido furtarello? Infine la Vedette che aveva messo sotto contratto i primi Pooh, piazzò una loro foto (a loro insaputa naturalmente) sul falso disco della Equipe 84… Ma la Vedette, grazie a una brillante direttrice artistica, una italo-greca proveniente dagli Stati Uniti, Aliki Andris-Michalaras (fu lei, amica di Stratos, a farlo incidere), ebbe anche un grande merito. Pubblicò in Italia tutti i dischi dei Doors, di Tim Buckley, i Love, la Paul Butterfield Band con ovviamente scarsissimo successo. Pensate un po’ che lungimiranza.
Non solo dischi: Vito Vita cita tutte le riviste musicali che nacquero in Italia a partire dagli anni 60, mentre sin dagli anni 30 esistevano competenti e brillanti riviste jazz, e poi i programmi musicali televisivi e radiofonici. In televisione il 6 febbraio 1966 andò in onda per puro caso, essendo venuta a mancare la bobina del nuovo episodio di Rin Tin Tin, l’esordio di Pippo Baudo con una puntata pilota di un programma a cui stava lavorando, Sette voci: sarebbe andato in onda fino al 1970.
Scopriamo ancora che a fine anni 50 si vendevano già quasi venti milioni di 45 giri. Insomma Vita mette in fila, cronologicamente secondo la loro data di nascita, le mille (o quasi) aziende produttrici di dischi che sono nate, cresciute e morte in Italia a partire dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri con le etichette rap e indie. Il suo è un lavoro certosino e meritorio, che si conclude, come da titolo, quando la musica diventa “liquida”. Vito Vita, collaboratore e fondatore di fra gli altri la rivista Vinile, ci ha messo dieci anni per completare questa opera omnia. Che resta come guida storica e di riferimento per tutti coloro che vogliono saperne di musica.
L’invenzione degli apparecchi per la riproduzione del suono sarà anche di quattro secoli successiva a quella della stampa, ma la storia dell’industria discografica ha più di un punto in comune con quella dell’editoria. Tanto per cominciare, in entrambi i casi abbiamo a che fare con un’attività economica che vende contenuti. Alti o bassi, che si tratti di opere d’arte o lavori di mero intrattenimento, di esperimenti o materiali divulgativi. E la parabola tra le due “industrie” presenta numerosissime analogie: c’è un’età pionieristica a dimensione artigianale, poi crescono i consumi e. parallelamente, si evolve la tecnologia, dall’artigianato passiamo alla dimensione industriale. Alla fine si arriva a uno scenario di concentrazioni: pochi player di grandi dimensioni che danno le carte, mentre fuori dalla porta si muove un panorama felicemente disordinato di piccoli soggetti che, per comodità, chiamiamo indipendenti.
Riflessioni che arrivano puntuali dopo la lettura di Musica solida – Storia dell’industria del vinile in Italia, voluminoso saggio scritto da Vito Vita. Il titolo è come se contenesse una polemica implicita nei confronti di quello che, quando adesso parliamo di music business, è lo spirito dei tempi: la cosiddetta musica liquida, una specie di precipitazione dei principi teorizzati da Zygmut Bauman in un universo nel quale, fino a ieri, comandavano le major ma oggi abbiamo le piattaforme di streaming come Spotify e Apple Music a capotavola. Vagli a spiegare a un millennial cresciuto a pane e visualizzazioni YouTube che c’è stato un tempo in cui i “padroni delle ferriere” erano quelli che avevano il potere di imprimere la tua voce su un microsolco, promuoverti attraverso un festival e distribuirti in tutto il Paese. Storie dell’altro ieri, prima che la crisi di Napster mettesse in ginocchio il settore. Storie che Vita dimostra di conoscere benissimo: dai primi esperimenti di voce registrata su fonografo e grammofono, dalle intuizioni di Thomas Edison ed Emile Berliner e dai cilindri e dalla gommalacca. L’approccio è, in prima battuta, quello di raccontare il fenomeno a livello internazionale, per scendere quindi a livello dell’Italia: eccoti l’ingegner Joseph Nigra, rappresentante per l’Italia di Edison che, alla fine dell’Ottocento, gira il Paese per illustrare la stravagante invenzione della macchina che riproduce il suono.
L’ordigno ci mette poco a trovare terreno fertile nel Paese del Bel Canto che, nell’epoca della Belle Époque, ha due capitali musicali: Milano e Napoli, la città della Scala e quella della Piedigrotta. La musica, prima di venire incisa, circola essenzialmente scritta e a queste latitudini prosperano le case editrici specializzate in repertori musicali: a Milano c’è Casa Ricordi, a Napoli i vari Curci, Bideri, La Canzonetta, quasi in tutti i casi imprese a gestione familiare. Se la Ricordi dovrà aspettare fino al 1958 per avere un’etichetta discografica, ai piedi del Vesuvio apre subito i battenti la Società Fonografica Napoletana destinata a diventare Phonotype, label indipendente specializzata in canzone tradizionale. Per il resto, il potenziale del mercato italiano è un’occasione colta soprattutto da aziende e imprenditori stranieri. A Milano ne arrivano in tanti, nel primo e nel secondo dopoguerra: la francese Pathé, le tedesche Parlophon e Odeon, la inglese His Master’s Voice che qui da noi si chiamerà Vcm (1931), prima di diventare Emi Italiana (1967), ma anche lo scaltro impresario ungherese Ladislao Sugar che, con Messaggerie Musicali, diventerà punto di riferimento per la distribuzione, prima di allargare il proprio business alla incisioni con la Cgd comprata da Teddy Reno, e le famiglie svizzere Carisch e Gürtler, quest’ultima destinata a scoprire un certo Adriano Celentano con le etichette Music e Jolly. Gli anni del boom economico e della relativa esplosione dei consumi musicali sono quelli del dualismo tra 33 giri e 45 giri che, qui da noi, si consumano nel derby tra Fonit Cetra, partecipata dalla Rai, e Rca Italiana, costola tricolore della multinazionale americana partecipata dall’Ior del Vaticano. Ma è un coro a più voci, nel quale ai soggetti indipendenti toccano spesso parti di primo piano. In specie se si tratta di etichette fondate da artisti, come il Clan Celentano o la Pdu di Mina.
La storia della discografia italiana è un’antologia di vicende umane avventurose, come quella di Nanni Ricordi, rampollo di cotanta famiglia che nell’estate del 1961, per dissidi con i nuovi azionisti della Casa, passa alla Rca Italiana portando con sé Sergio Endrigo e Gino Paoli. Lo scopre Vincenzo Micocci, leggendario direttore artistico di Rca Italiana, e decide di fare il medesimo percorso Milano-Roma in senso inverso, trasferendosi alla Ricordi. Ci sono Gianni Sassi e Sergio Albergoni che, nei primi anni Settanta, fondano la Cramps offrendo campo libero a rivoluzionari delle sette note come gli Area, punta di diamante della stagione progressive. Quante avventure in una storia sola. Quanta sostanza nella musica solida.
LA MUSICA È SOLIDA, SOLIDISSIMA. MA FORSE, SENZA IL VINILE ABBIAMO PERSO QUALCOSA. IL LIBRO DI VITO VITA RIPERCORRE LA STORIA DEL VINILE E DELL’INDUSTRIA DISCOGRAFICA IN ITALIA
Il sottotitolo recita “Storia dell’industria del vinile in Italia”. Ma è davvero esistita da noi una industria del vinile?
Certo: gli stabilimenti della Ariston a San Giuliano Milanese (che fabbricavano anche i flexy pubblicitari e le “cartoline che cantano”) o quelli della Durium a Erba erano fabbriche a tutti gli effetti, e le aziende erano strutturate con staff dirigenziali, amministratori, strategie di programmazione e così via. Un mondo che occupava migliaia di persone e che ormai è scomparso.
La musica solida è la musica riprodotta in modo industriale. Prima la musica si ascoltava, si ricordava, si studiava, si eseguiva a modo proprio… E oggi?
Oggi paradossalmente si ascolta molta più musica, pensa al sottofondo nei negozi oppure al supermercato, ma tutto scorre via sulle nostre orecchie senza lasciare tracce.
Il tuo libro inizia con la storia della tecnologia con cui si registra e riproduce la musica. Perché?
Era utile inquadrare la nascita della Phonotype nel 1903 e quella delle prime case discografiche milanesi sin un contesto di diffusione nel nostro Paese delle invenzioni d’oltreoceano, grazie ad alcuni pionieri: in questo capitolo tra l’altro c’è una mia scoperta, fatta consultando gli archivi dei quotidiani d’epoca, sul ruolo avuto dall’ex garibaldino Enrico Copello. Dal punto di vista storico, credo che sia una delle cose più interessanti del volume. Il discorso sulla memoria è però alla base di tutto il libro, non di un singolo capitolo: in ogni ambito, l’Italia pare essere un Paese senza memoria.
Nel 1955 “le vendite dei 78 giri e dei primi 45 giri ammontavano a sette milioni di copie”. E oggi?
Siamo messi male. La situazione però non è paragonabile. La musica si ascolta dappertutto e viene meno quindi il desiderio di acquistarla. Sopravvive il live.
Negli anni 60 ci fu il boom dei 45 giri. Da cosa dipese secondo te?
Dal boom economico: all’inizio degli anni 60 la crescita di un ceto medio che comprava la Seicento, andava in vacanza al mare e acquistava i 45 giri. Poi, a metà decennio, con l’arrivo del beat i giovani per la prima volta vennero individuati come consumatori.
Nei 70 mutò il paradigma: dal 45 al 33. Cosa cambiò?
Nel 1949, di ritorno dagli Stati Uniti, Edgardo Trinelli della Fonit-Cetra previde l’affermazione del 33 giri, che consentiva di sviluppare un discorso artistico più completo, e in effetti l’avvento sul mercato degli Lp rese possibili progetti più complessi, i cosiddetti “concept album”. Il primo in Italia fu nel 1963 DIARIO DI UNA SEDICENNE di Donatella Moretti. L’affermazione definitiva negli anni 70 avvenne con il diffondersi prima del prog e poi dei cantautori, ma sostanzialmente non è che la promozione discografica sia cambiata più di tanto. È cambiata la funzione della radio: Per voi giovani poteva ogni tanto trasmettere un album completo (lo fece con TERRA IN BOCCA dei Giganti), ma in televisione casi del genere erano meno frequenti.
Negli anni 80 l’avvento del Cd rappresentò davvero la fine dell’industria del vinile in Italia?
Sicuramente: nel corso degli anni 80 chiudono aziende storiche come la Ri-Fi, la Durium, la Ariston, e altre vengono acquisite da grandi gruppi stranieri come la RCA Italiana. Il fenomeno continuerà negli anni 90 con la Ricordi e la Fonit-Cetra, per esempio.
Bolaño, un florilegio di scritti per ricostruire le influenze continentali
Critica latinoamericana. Contributi saggistici e accademici sullo scrittore cileno: «Bolaño selvaggio», da Miraggi
In un memorabile passaggio dei Detective selvaggi uno dei due protagonisti, Arturito Belano – giovane poeta invischiato nelle prime, focose battaglie stilistiche ed esistenziali – sfida alla sciabola un critico letterario che forse vuole dire male del suo ultimo libro. L’esito del duello, su una spiaggia isolata di Barcellona verso sera, è incerto.
Non è dato sapere se la lama del poeta abbia raggiunto l’insoddisfatto recensore, tuttavia ben altri sentimenti avrebbero animato Roberto Bolaño se avesse potuto tenere tra le mani il florilegio di scritti che lo riguardano e che ora arrivano in Italia tradotti da Marino Magliani e Giovanni Agnoloni per Miraggi.
È una raccolta pubblicata in spagnolo nel 2008 e rivista nel 2013, sotto il titolo Bolaño selvaggio (pp. 437, euro 24,00) a cura di Edmundo Paz Soldán e Gustavo Faverón Patriau, studiosi e scrittori sudamericani di formazione accademica statunitense; un volume che cerca di dare conto della vastità dell’influenza dell’opera di Bolaño mettendo assieme testi tra loro molto disomogenei, organizzati con un criterio improntato più alla suggestione che non a un vero rigore espositivo.
Apre un’illuminante introduzione di Paz Soldán, mirabile nel chiamare in causa Julio Cortázar e il suo racconto seminale Apocalisse a Solentiname per collocare Bolaño nella «tradizione apocalittica» della letteratura sudamericana. Il primo e l’ultimo testo della raccolta riportano parole dello stesso autore cileno («Discorso di Caracas» e un’intervista inedita di Sónia Harnández e Marta Puig). Nel mezzo, alcuni studi inediti (non tutti significativi) danno un saggio dei nuovi percorsi che la critica accademica – in America latina, in Spagna e negli Stati Uniti – ha intrapreso nello studio di un corpus letterario che va acquisendo, negli anni, una forma sempre più consistente.
Molti lavori di natura saggistica guardano allo scrittore cileno da prospettive biografiche e bibliografiche non convenzionali: alcuni inediti, ma anche molti testi già noti, a firma di scrittori e critici, in alcuni casi autori vicini a Bolaño o più spesso appassionati conoscitori della sua opera. Tra i più significativi, il saggio dello stesso Faverón Patriau sul rapporto dell’autore di Puttane assassine con la tradizione letteraria argentina, e lo scritto di Enrique Vila-Matas tra ricordo personale e sovrapposizioni Bolaño-Perec. E, ancora, i testi di Jorge Volpi, di Juan Villoro, e soprattutto del cileno Carlos Franz sulla malinconia in Bolaño. Allucinato dai «poeti senza opera» dei Detective selvaggi, Alan Pauls dichiara anch’egli la sua ammirazione.
Di certo utile, Bolaño selvaggio restituisce bene la tentazione di canonizzare in fretta uno scrittore che forse non lo avrebbe gradito: non al punto di arrivare a brandire la sciabola, certo, anche se a un intervistatore secondo lui troppo generoso con la sua opera, rispose, mimando Breton: «Chi sono io»?
MUSICA SOLIDA. STORIA DELL’INDUSTRIA DEL VINILE IN ITALIA
L’industria discografica italiana nasce tra il 1899 e il 1901 a Milano e a Napoli, fiorisce per tutto il Novecento riempiendo di milioni di copie di pesanti 78 giri le case degli italiani, esplode negli anni 60 e 70 con i 45 giri e gli Lp e inizia un inesorabile declino negli anni 80, soppiantata dalla musica liquida. In 120 anni di storia, ci sono meno di dieci libri che possono concorrere a storicizzare il supporto fonografico, e sono tutti incompleti e parziali.
Oggi, ed è il caso di sottolineare finalmente, esce il testo di riferimento: Musica solida. Storia dell’industria del vinile in Italia (408 pagg., Miraggi Edizioni, 23 euro), di cui è autore una nostra vecchia conoscenza, Vito Vita. Nei nostri oscuri anni, in cui oltre alla musica si è liquefatta la memoria storica, si mandano al macero gli archivi, non si leggono più i giornali e i libri, la scrittura e la lingua parlata si sono impoverite come mai, c’è ancora qualcuno che raccoglie le informazioni con il metodo classico dello storiografo. Vito Vita ha concepito questo libro durante una cena nel 2009, nel ristorante Terra, sulla via Nomentana a Roma, sorto negli ex locali del Cenacolo della RCA Italiana. complici della sua visione, il sottoscritto, Michele Neri, Maurizio Becker e Luciano Ceri, praticamente il nucleo fondatore della nostra rivista «Vinile» e della mitica «Musica Leggera». In dieci anni di lavoro, Vito Vita ha fatto centinaia d’interviste, ha compulsato migliaia e migliaia di pagine di periodici e quotidiani nelle biblioteche, ha ricostruito, con la certosina e ossessiva precisione che ben conosciamo, gli avvenimenti, le circostanze, le date, e la storia delle persone che hanno vissuto l’avventura di cento anni di discografia italiana. Un libro di Storia che gratifica i sopravvissuti che ne hanno condivisa una parte, un libro di riferimento che traccia la strada per la ricerca che, ci auguriamo, fiorisca nei prossimi anni.
Il corredo di note a piè di pagina percorre la bibliografia e le fonti, l’indice dei nomi è presente ed efficace, la cura editoriale del volume è ineccepibile, e son tutte rarità nella cialtronesca editoria attuale. La prefazione di Giangilberto Monti non saltatela perché è divertente. Questo libro dobbiamo acquistarlo tutti!
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