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Segnalazione delle graphic novel «R.U.R» e «Zátopek» sull’«Indice dei libri del mese»

Segnalazione delle graphic novel «R.U.R» e «Zátopek» sull’«Indice dei libri del mese»

di Tiziana D’Amico

Nel 2022 si è tenuta la prima e a oggi unica edizione del Baba Jaga Fest, festival organizzato proprio per far conoscere la produzione “a est dell’Italia”.

Qui ci soffermiamo sulla produzione ceca, ancora poco nota al pubblico. finora sono stati tradotti tre titoli, pubblicati tra il 2022 e il 2023: Alois Nebel (testo Jaroslav rudiš, disegno Jaromír 99); R.U.R.Rossum’s Universal Robots, l’adattamento graphic novel di Kateřina Čupová del famosissimo dramma di Karel Čapek del 1920; Zátopek. Se non ce la fai più, accellera! (testo Jan novák, disegno Jaromír 99). Alois Nebel esce presso la modern times (piccola casa editrice nata nel 2020), mentre R.U.R. e Zátopek escono nella collana MiraggINK, nata nel 2018 e dedicata al fumetto all’interno della casa editrice miraggi. Si tratta di tre opere ben diverse, tutte e tre di enorme successo in patria e tutte e tre tradotte in diverse lingue e pubblicate da case editrici specializzate nel fumetto.

[…]

R.U.R.Rossum’sUniversalRobotsdi Čupová esce in Cechia nel 2020 presso la casa editrice argo in occasione del centenario dell’omonima opera teatrale di Karel Čapek. L’adattamento di Čupová ha incontrato un notevole successo in patria, con una seconda edizione in soli tre anni. nel 2021 esce in coreano, mentre nel 2022 oltre a quella italiana sono uscite le edizioni francese e spagnola e nel 2024 è uscita la traduzione inglese. L’adattamento di Čupová si caratterizza per una selezione cromatica estremamente ricercata che guida chi legge attraverso le emozioni dei personaggi e i cambi di atmosfera, in linea con un testo teatrale composto da diversi piani di lettura. L’ottimismo verso l’industrializzazione e soprattutto l’ideale di soppressione della fatica umana posano sui robot che, nel mondo di Čapek, non sono macchine, ma creati da una materia organica, molto più vicino ai replicanti di BladeRunnere come questi, infatti, anche i robot di R.U.R si rendono conto della propria esistenza. L’adattamento di Čupová utilizza il testo originale di Čapek e per l’edizione italiana la traduzione di alessandro Catalano per marsilio (2015). Il segno elegante di Čupová aiuta a sottolineare la natura teatrale dell’opera: le prospettive rappresentano i personaggi come se fossero su di un palcoscenico, e il pubblico è composto dai robot. allo stesso tempo, la morbidezza del disegno a tratti quasi caricaturale, offre delicatezza a una storia il cui lieto fine c’è, ma non per forza per l’essere umano. La Postfazione di alessandro Catalano presenta l’evoluzione dell’immagine del robot nei cento anni trascorsi tra l’uscita dal “dramma collettivo” del 1920 e l’adattamento del 2020.

Pubblicato nel 2016 dalla casa editrice ceca argo, Zátopek… když nemůžeš, tak přidej! incontra subito l’interesse internazionale. nello stesso 2016 esce in tedesco e nel 2018 viene tradotto in spagnolo e francese, nel 2020 in inglese. La biografia, o biopic, è uno dei generi di maggior successo negli ultimi anni (al cinema, in tv e nel mondo del fumetto) e Zátopek si inserisce in quello che potremmo chiamare sottogenere sportivo, dove la forza di volontà, il continuo sfidare i limiti del proprio corpo e il mondo sono al centro della narrazione. Quando si parla di emil Zátopek il fattore storico diviene il continuo polo d’opposizione del valore morale della persona e dello sportivo. La storia inizia dalla sua infanzia per concludersi alle olimpiadi del 1952 con i tre ori vinti nella maratona, nei 5000 e nei 2000 metri. Le tappe della sua carriera sportiva – i record nazionali nelle corse lunghe nel primissimo dopoguerra, gli europei del 1946 e del 1950 le olimpiadi del 1948 e del 1952 – si inseriscono per contrasto con la storia della Cecoslovacchia – l’occupazione nazista, il dopoguerra e il colpo di stato del 1948 e il regime comunista. novák però dedica ampio spazio anche alla sfera personale di Zátopek, dalle difficoltà economiche famigliari alla storia d’amore con la futura moglie dana, anch’essa atleta. Il tratto di Jaromír 99, caratterizzato da elevati contrasti e un segno nero forte che richiama alla mente la lineografia, si unisce alla scelta di una paletta limitata ma precisa di colori. difficile non pensare a un gioco ironico di rimando con i manifesti del periodo comunista, caratterizzati anch’essi da colori squillanti, contrasto elevato e dalle figure statuarie di compagne e compagni: al posto di operai con il fisico perfetto e il volto sereno spiccano la smorfia di fatica di Zátopek (chiamato “la Locomotiva” per il suo pesante ansimare durante la corsa) e il fisico consumato del maratoneta al traguardo.

Zátopek. Quando non ce la fai più, accelera!, di Jan Novák e Jaromír99, recensione su meloleggo.it

Zátopek. Quando non ce la fai più, accelera!, di Jan Novák e Jaromír99, recensione su meloleggo.it

di Alice de Carli Enrico

Di Zátopek avevo già sentito parlare, o letto degli aneddoti da qualche parte sul web, e l’immagine di quest’uomo e della sua leggendaria caparbietà mi era rimasta curiosamente impressa. Per questa ragione, quando mi sono trovata tra le mani Zátopek. Quando non ce la fai più, accelera!, ho pensato fosse arrivata l’occasione giusta per approfondire la sua storia.

Zátopek. Quando non ce la fai più, accelera! è una graphic novel nata dallo sforzo congiunto di Jan NovákJaromír99 e giunta in Italia grazie alla casa editrice torinese Miraggi Edizioni e alla traduzione di Stefano Baldussi. La storia è quella di Emil Zátopek, atleta cecoslovacco di fama internazionale e figura di particolare rilievo del XX secolo.

Disegni dai tratti spigolosi, pochi colori primari che creano un contrasto austero tra tinte calde e fredde rendendo l’atmosfera rigida e talvolta opprimente… l’opera dedicata al grande corridore riesce a trasportarti subito in un mondo altro, altrettanto spigoloso e ormai distante anni luce da quello che oggi conosciamo.

Ci troviamo del resto in un periodo storico particolarmente caldo, tanto per l’Europa quanto per l’allora Cecoslovacchia, dove Zátopek nasce all’inizio degli anni ’20. Emil si trova infatti a dover affrontare prima il periodo del nazismo, poi la guerra, e subito dopo il comunismo con l’influenza dell’URSS. Sono anni di cambiamenti radicali, tanto forti da segnare con la stessa forza, inesorabilmente, anche la vita privata, le scelte e i rapporti tra le persone.

Zátopek si muove in questo contesto cercando di fare del suo meglio, sbarcando il lunario con un semplice impiego in una fabbrica di scarpe, ma scoprendo ben presto il mondo dello sport e dell’atletica proprio grazie a una competizione organizzata dal calzaturificio.

Uno degli aspetti interessanti della narrazione è ciò che traspare del rapporto di Emil con gli organi di potere: emerge con chiarezza una continua ricerca di libertà, comune a molte personalità sportive del tempo, che tuttavia non portasse a destare preoccupazione negli alti livelli, attenti a mantenere una determinata immagine del paese anche attraverso i propri rappresentanti in ambito sportivo.

Il libro non si limita però a celebrare le vittorie e la figura di Zátopek, ma esplora anche la dimensione della sua vita personale, segnata in qualche modo anch’essa dalla stessa disciplina ferrea che Emil applicava alla corsa.

Zátopek. Quando non ce la fai più, accelera! è un’opera che coinvolge, ispira e commuove, unendo la Storia più grande a quella più personale di una figura straordinaria che, grazie a una determinazione e una forza fuori dal comune, ha saputo scrivere una pagina importante dello sport e non solo.

QUI l’articolo originale: https://www.meloleggo.it/zatopek-quando-non-ce-la-fai-piu-accelera-di-jan-novak-e-jaromir99_2132/

“Isometria della memoria” nella terzina finalista graphic novel Bookciak Legge 2023

“Isometria della memoria” nella terzina finalista graphic novel Bookciak Legge 2023

[…] La terzina finalista dei graphic novel è composta da Isometria della memoria di Davide Passoni, Miraggi Edizioni, affascinante viaggio nella memoria, attraverso poesie, documenti e disegni realizzati in assonometria isometrica. Secondo titolo è La nave verde da un romanzo di Francesco Verso, adattato da Gabriele Bitossi, illustrato da Pietro Depalma, Future Fiction, racconto  solarpunk che risponde a suo modo al dramma dei profughi politico-climatici. Completa la terzina Cervello di gallina esordio di Silvia Righetti con Coconino press-Fandango, insolito racconto di fantascienza intimista con protagonista una ragazza che lotta per affrancarsi dal passato. [articolo di Gino Santini]

QUI l’articolo originale:

RUR – recensione di Alessio Lana su Corriere della Sera

RUR – recensione di Alessio Lana su Corriere della Sera

Materia biologica, non metallo: una graphic novel ci riporta al 1920, anno di nascita dei cloni dell’uomo

I primi robot non erano esseri di metallo, non avevano bulloni né cuori artificiali. Erano come noi e ora un graphic novel li fa tornare alla loro origine. Rur Rossum’s Universal Robots (Miraggi editore) di Kateřina Čupová ci ricorda dopo 102 anni che quegli androidi in origine erano altro. Come un regista, Čupová rimette in scena l’omonimo dramma in tre atti (Marsilio) di Karel Capek che nel 1920 diede la fama a un termine fortunatissimo nella forma ma sfortunatissimo nella sostanza. È riuscito infatti a dominare l’immaginario collettivo fin da subito, è stato assimilato in quasi tutte le lingue e culture del mondo ma, come in ogni distopia che si rispetti, è sfuggito completamente al controllo del suo ideatore.

Nella mente di Capek i robot erano esseri creati in laboratorio a partire da materiale biologico, degli uomini artificiali privi di quei desideri, sensazioni ed emozioni che ci rendono deboli. La «colpa» dello slittamento verso l’uomo meccanico è dovuto a Metropolis (che è del 1927) ma un fil rouge è rimasto. Nel 1920 i robot erano pensati per diventare schiavi dell’uomo (robota in ceco sta per «lavoro faticoso, corvée, servitù») e liberarci dal lavoro proprio come oggi i loro pronipoti ci aiutano in fabbrica e in cucina, puliscono le nostre case e costruiscono le nostre cose.

Nelle matite di Čupová lo scontro uomo-macchina si trasferisce nei colori. Gli umani sono in tinte sgargianti e i cloni in un pallido e piatto blu (salvo poi ribaltarsi, ma non anticipiamo troppo). I loro occhi sono di un giallo intenso (come l’androide Data di Star Trek) ma per il resto gli schiavi ideati dallo scienziato visionario Rossum (che sta per «ragione») non mostrano differenze con i loro creatori. Čupová resiste alle sirene della trasposizione portando in un teatro di carta il testo originale con pochissime concessioni alla fantasia. Un ottimo modo per riscoprire una delle opere fondanti (e dimenticate) della fantascienza e riportarla al suo antico, biologicissimo, splendore.

Di seguito l’articolo originale:

RUR – Andrea Voglino intervista Katerina Cupová

RUR – Andrea Voglino intervista Katerina Cupová

«Il momento in cui le macchine (…) invadono, non senza traumi, l’uomo e la natura: all’orrido paesaggistico si aggiungono e si intrecciano gli orridi industriali e metropolitane e fabbriche con la tempesta gotica; l’acciaio degli ingranaggi con le braccia dell’operaio; (…) la proletarizzazione del lavoro con la serialità del gesto; lo sfruttamento con la bestialità; la concentrazione del capitale e del lavoro intellettuale con la privazione della volontà»… Probabilmente piacerà assai al sociologo e saggista Alberto Abruzzese, questo R.U.R.-Rossum’s Universal Robots di Katerina Cupová (Miraggi Edizioni, 280 pp. a colori, € 30). Modernissima trasposizione a fumetti del dramma fantascientifico scritta dal Ceco Karel Capek nel 1920 all’origine della definizione «robot», è una fantasmagoria di segni e colori che a ogni pagina sorprende, intriga e cattura. Raggiunta nella sua Zlín, la fumettista e cartoonist classe 1992 spiega con semplicità la scelta di tradurre a fumetti l’opera fondativa di tanta narrativa e cinema fantascientifico, da Lang a Asimov a Lucas: «R.U.R. è un’opera magnifica come ispirazione per una graphic novel: c’è l’isola esotica, la fabbrica per la produzione di persone artificiali… è densa di temi interessanti da disegnare».

MA SI TRATTA di un’essenzialità di facciata, plasticamente contraddetta da un segno ricco, stratificato e personale. «Il mio obiettivo principale era trasmettere in modo interessante l’opera teatrale, che per tutti i bambini della Repubblica Ceca rappresenta una lettura obbligatoria, di cui però non ricordano altro che la parola “robot”. Ho cercato di far appassionare il lettore all’argomento, in modo che magari poi vadano a cercarsi l’originale o leggano altre opere di Capek», spiega Cupová. Senza però dimenticare le infinite contaminazioni tra R.U.R. e le grandi firme del fumetto anglosassone e nipponico: «Penso che mi abbiano ispirato Amleto sul tetto di Will Eisner, o autori classici di manga come Osamu Tezuka e Ishinomori Shotaro». Al di là dell’effetto cinematografico mutuato dai Maestri e dell’astuzia molto cinematografica di distribuire dialoghi pensati per lo spazio ristretto di un palco in pagine di ampio respiro, nel fumetto di Katerina Cupová a strabiliare è lo straordinario talento infuso nella descrizione dei personaggi e degli ambienti. «Nel dramma originale, non viene specificato quando si svolge l’azione. Teniamo conto però che doveva essere una rappresentazione del futuro, e che negli Anni ’20 immaginavano il futuro in modo diverso da noi: questo è un aspetto che ho cercato di preservare ad esempio nel fatto che i personaggi usino ancora i telefoni col filo o i telegrammi».

UNA DISTOPIA tutta estetica, ambientata nel presente-passato alternativo in cui si disvela il conflitto tra umani e automi. Ma nonostante il secolo di riletture a cavallo tra media e linguaggi, più l’input originario di Capek, che li descrive come «indistinguibili dall’essere umano» i robot di Cupová risultano unici, funzionali e appaganti. «Avevo molte idee, tutte accomunate dalla volontà di rafforzare il messaggio dell’opera teatrale», svela l’autrice. «Alla fine ho scelto la più “semplice”, con robot come “persone artificiali” dall’aspetto uniforme e regolare». Mentre i personaggi umani del fumetto come Domin e Helena hanno personalità distinte, sottolinea l’autrice, «i robot sono tutti perfetti allo stesso modo. Inoltre, il loro sguardo è perennemente vacuo». Alta fedeltà anche nella narrazione, con minime concessioni nella trama e nei dialoghi rispetto alla pièce teatrale rappresentata per la prima volta nel gennaio del 1921 al Teatro Nazionale di Praga.

«IN REALTÀ PENSO di aver soprattutto tolto, altrimenti il fumetto avrebbe avuto molte più pagine. Dal punto di vista visivo, ho allungato il prologo. Nell’originale, l’intera introduzione si svolge nel corso di un’unica conversazione, in mezz’ora. Ho conservato i dialoghi, ma visivamente i personaggi si muovono per tutta la fabbrica, e alle loro spalle vediamo alternarsi le stagioni. Poi, nell’ultimo atto, ho tralasciato la maggior parte del lungo monologo e l’ho sostituito con immagini». E proprio le immagini dei robot più iconici di sempre chiudono il volume nella lunga e godibile postfazione firmata da Alessandro Catalano, professore associato di letteratura ceca presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari dell’Università di Padova. Contenuti extra dal fascino extraterrestre.

QUI l’articolo originale:

RUR – recensione di Maurizio Di Fazio su Repubblica

RUR – recensione di Maurizio Di Fazio su Repubblica

Un graphic novel che prende le mosse da un testo teatrale intriso di leggenda visto che fu il primo in assoluto a introdurre nell’immaginario collettivo, un secolo fa, il termine robot. Parliamo di R.U.R., acronimo di “Rossum’s Universal Robots” (I robot universali di Rossum), la distopia dello scrittore ceco Karel Capek, una delle primissime del secolo breve, nonché tra le più profetiche. La sua messa in scena inaugurale avvenne al Teatro nazionale di Praga nel 1921 e prese subito a girare e affermarsi sui palcoscenici mondiali. Il vaso di Pandora era ormai dissigillato.

Adesso quest’opera alchemica rivive, a fumetti, in un libro edito da Miraggi disegnato dalla giovane illustratrice Katerina Cupova. Anche lei è della Repubblica ceca, e riesce a infondere forma e una spiritualità cangiante a colori, con tratti raffinati e sobri, all’immarcescibile dramma post-umanista. La traduzione e la postfazione sono curate da Alessandro Catalano, professore associato di letteratura ceca al dipartimento di studi linguistici e letterari dell’università di Padova: sempre quest’ultimo ha firmato uno zoom sulle evoluzioni iconografiche e concettuali dei “nostri migliori amici bionici” (“100 anni in cinquanta immagini”), ospitato all’interno del volume. La versione di Cupova, classe 1992, offre una rivisitazione assolutamente originale ma rispettosa della pietra miliare. Il suo stile e la sua matita, rimandanti all’universo del cartone animato, affondano le radici in decenni di premiata animazione ceca. Non a caso lei si è laureata nella prestigiosa Tomáš Batt”a di Zllíín.

R.U.R. a fumetti ci rituffa all’alba della nostra metamorfosi in golem e poi in cavat digitali. Riecco sotto i nostri occhi mai smaliziati del tutto le tragiche conseguenze della creazione di un uomo artificiale, fatto di muscoli, pelle e sangue ma in teoria privo del nostro corredo più prezioso. I sentimenti, i bisogni, il libero arbitrio. Quegli elementi che ci rendono così straordinari e fragili. In sintesi, l’anima. Però poi accade che questi robot di Rossum (analoghi al Frankenstein e ai replicanti), che pure erano stati plasmati per affrancarsi dalle angustie del lavoro fisico, diventano ribelli, rivendicativi, violenti all’esatta stregua dei loro fautori terrestri.

Una metafora potente delle supreme paure di inizio Novecento, come del resto fu l’intera produzione di Capek, drammaturgo e narratore che sperimentò molti generi e guardò sempre all’attualità più bruciante, trasfigurandola. Il totalitarismo sovietico, la disumanizzazione delle masse, il cinismo e le contraddizioni del capitalismo, l’elevazione a feticcio delle macchine. Le fregole e le ottusità del potere politico, le epidemie di conformismo, la corsa cieca a precipizio verso l’autodistruzione del progresso tecnico-scientifico.

Ineluttabilmente macerato, anche perché la sua epoca non induceva certo all’ottimismo, come la nostra, Karel Capek morì nemmeno cinquantenne. Si risparmiò gli orrori della Seconda guerra mondiale, che non lo avrebbe sorpreso affatto, come non si stupirebbe oggi. Perché «nulla è più estraneo all’uomo della sua immagine».

R.U.R – recensione di Lorenzo Barberis su Spazio bianco | BLOG “Letteratura e fumetto”

R.U.R – recensione di Lorenzo Barberis su Spazio bianco | BLOG “Letteratura e fumetto”

RUR: KATEŘINA ČUPOVÁ E L’INCREDIBILE ATTUALITÀ DI ČAPEK

RUR (Rossum’s Universal Robots) di Karel Čapek, dramma teatrale del 1920, è un testo fondante della cultura europea, in quanto genera, come arcinoto, il termine “robot”, di enorme rilievo negli anni successivi, e non solo in campo fantascientifico stretto (qui mi era capitato di parlarne, poco dopo il centenario dell’opera). L’opera però è rimasta limitata, nella percezione collettiva, a questo singolo elemento: ed è un peccato, perché la riflessione sul concetto di robot che conduce è profondamente significativa, sia che la si voglia leggere su un piano letterale, sia che la si voglia interpretare come grande metafora dei conflitti sociali allora in corso, all’indomani della rivoluzione russa del 1917.

L’adattamento a fumetti di Kateřina Čupová, tradotto da Alessandro Catalano (che ne firma anche una bella e ricca postfazione) edito da Miraggi nella collana MiraggInk in questo inizio di 2022 è quindi una ottima notizia per chi come me si interessa al rapporto tra letteratura e fumetto.

Kateřina Čupová (1992, Ostrava) è una giovane ma notevole animatrice, fumettista e artista concettuale ceca, laureata presso il Dipartimento di Animazione all’Università Tomáš Baťa di Zlín: molti suoi lavori sono stati pubblicati su riviste e antologie.

L’opera ci si presenta fin da subito con una interessante veste cartotecnica: una copertina nera rivela, da un ritaglio al suo interno, un cuore robotico palpitante su fondo bianco.

Sfogliando il volume, troviamo poi ancora una breve prefazione è inscritta in un calligramma a forma di cuore, a ribadire l’importanza di questo elemento simbolico, il “cuore dei robot” e i suoi imperscrutabili sentimenti celati dietro l’apparente freddezza asettica di esseri artificiali.

Una nota in esergo ricorda poi ancora la particolarità della parola “robot”, il lascito di quest’opera: il fratello pittore suggerisce al Capek scrittore il nome da assegnare ai suoi schiavi artificiali. La parola nasce quindi simbolicamente, fin dall’inizio, si sembra suggerire, dall’incontro tra immagine e letteratura, che qui ritorna in questo adattamento fumettistico.

È bene non dimenticarsi inoltre che si tratta di un adattamento a fumetti di un testo teatrale: pensato, quindi, fin dall’inizio per essere interpretato e visto, più che letto. Se quindi la visione a teatro è chiaramente quella letteralmente fedele al testo originale, l’adattamento a fumetti è comunque una interpretazione possibile, forse più, per paradosso, della pura lettura del testo scritto. E, non certo a caso, spesso l’autrice dell’adattamento gioca su questa dimensione, presentando talvolta i personaggi come se agissero su una scena teatrale.

I disegni di Kateřina Čupová ci accolgono quindi con un segno morbido, elegantissimo, di grande ricchezza e bellezza cromatica (indubbiamente influenzato dalla formazione ed esperienza dell’autrice come animatrice nella raffinata essenzialità e fluidità del segno) e creano un piacevole effetto di contrasto con la cupezza della storia. In tutto il primo atto questa minaccia aleggia sullo sfondo, per poi dispiegarsi appieno nella seconda parte dell’opera, dove l’attesa rivolta dei robot ha pienamente atto.

Il segno, come detto, presenta una sintesi di grande gradevolezza visiva, in tavole fondate su un modulo-base a tre vignette interpretato però in modo molto libero, vario ed arioso, con un segno espressivo e cartoonistico nella resa dei personaggi. La vicenda di RUR, sostanzialmente dimenticata, può essere qui riscoperta nella sua grande attualità, in un adattamento che, ovviamente, necessariamente sintetizza e modifica, ma resta piuttosto fedele all’originale.

Un aspetto centrale da notare, tra molti che si potranno scoprire dalla lettura (ad esempio, la finezza psicologica e filosofica con cui il tema robotico è trattato in quest’opera fondante del genere) e che passa molto bene nell’opera, è il fatto che questi robot di Capek non sono esseri puramente metallici, ma biodroidi, wetware. Chiaramente qui serve a rinforzare la metafora del robot come proletariato, ma ciò risulta eccezionalmente moderno anche se vogliamo leggerlo, oggi, come pura fantascienza di evoluzioni futuribili ormai imminenti.

Per un pieno apprezzamento della valenza del lavoro di Kateřina Čupová e di quello originario di Capek risulta poi particolarmente prezioso il saggio in appendice di Alessandro Catalano, che ha indagato a fondo, in altre opere saggistiche, il lavoro di Capek e la sua rilevanza. “Le trasformazioni del robot: cento anni in cinquanta immagini” ci presenta una ricognizione più sintetica ma accuratissima della fortuna e ricezione dell’opera.

Rilevante appare intanto l’annotazione sul titolo, dove “Rossum” richiama “Rozum”, ragione/intelletto in ceco (avevo sempre immaginato una possibile evocazione del rosso, la rubedo alchemica).

Significativa poi la traccia precisa degli influssi, dalla Aelita (1923) di Alexander Tolstoj trasposta al cinema da Protanazov l’anno seguente, coi costumi di Aleksandra Ekster, influenzata dal futurismo italiano, mentre in Italia stimola opere come “Minnie la candida” di Bontempelli e molti esiti dell’arte futurista.

Del resto, il tema dell’uomo meccanico, ancora senza il nome che gli darà appunto Capek, è frequente dall’inizio del ‘900, come in “A round trip to the Year 2000” (1903) di Cook, in cui troviamo già onnipresenti servitori meccanici. Molto più diffuse narrazioni su un singolo uomo artificiale, già anche cinemiche (da Georges Méliès in poi), ma non così frequenti, eccetto Cook, nella presenza di una massa robotica. In pratica, prevale una fantascienza “classica” (immaginare una nuova invenzione) su quella di stampo sociologico (immaginarne le conseguenze quando la scoperta è applicata a livello di massa).

Già a partire dal 1927 (anno di apparizione di Metropolis) il rimando al termine “robot” si slega dall’evocazione dell’opera di Capek, segnando la fortuna del termine e la sfortuna dell’opera originaria. Il robot inizia a connotarsi con forza come essere meccanico-metallico, quale appare anche nel film di Fritz Lang e nel testo originario di Thea Von Harbou.

Curiosamente, nel film di Lang il rimando all’opera di Capek, debito evidente annotato all’epoca da H.G. Wells, si scinde nelle sue due componenti: il robot torna un essere isolato eccezionale, mentre le masse spersonalizzate sono di umani sottomessi al potere tecnocratico del fordistico capitalista Frieder.

Il tema ritorna nei modi propri di Capek soprattutto in Asimov, che vorrà contrastare nel suo lavoro il “Mito di Frankenstein” fondato da Mary Shelley nel suo capolavoro del 1818, ma di fatto si opporrà soprattutto alla sua declinazione operata da Capek (da egli apertamente citato, in chiave critica). I robot asimoviani, che diverranno dal ’39 in poi l’archetipo stesso del robot moderno, sono robot capekiani, ovvero prodotti industriali in serie, non singoli eccezionali prodigi della tecnica.

E anche in Philip K. Dick e nei suoi androidi (eternati poi al cinema da Blade Runner) vi è un chiaro rimando all’opera di Capek, con cui gli androidi ritornano a tempo, indistinguibili dall’uomo, costruiti per lavori di fatica e sottilmente ribelli.

Per tale ragione, Catalano esprime un parere decisamente favorevole all’adattamento operato di Kateřina Čupová. Egli rende conto in modo puntuale delle sintesi operate dall’autrice, che toglie soprattutto le riflessioni sociologiche e filosofiche più verbose, anche interessanti, come quella “luddista” sui robot che tolgono lavoro agli operai umani, qui ridotta a una immagine mentre nell’originale è un tema ampio. Ma apprezza molto la scelta di una complessiva fedeltà, specie nell’elemento storicamente più frainteso, quello dei robot, che non vengono in alcun modo “meccanizzati” dall’autrice ma mantenuti nella loro organicità inquietante.

Un’operazione di riscoperta riuscita, dunque, che potrebbe essere il punto di partenza di una rivalutazione dell’opera nel suo centenario, magari – a partire o meno da questo lavoro – in un film o, perché no? Un lungometraggio di animazione (si veda il recente successo del brillante “BigBug” francese, su questi temi, ancora una volta con profondi debiti non dichiarati da Capek e dal suo immaginario).

Concludendo, come nostro solito, con una possibile riflessione didattica, questo fumetto appare eccellente come proposta in scuole dove la riflessione tecnologica può essere centrale: un liceo scientifico o tecnologico, o un ITIS, magari informatico, come quello dove mi trovo ad operare, e dove in effetti si ragiona spesso di questi temi anche in ambito letterario, tra letteratura italiana e inglese. Il fumetto diviene così, come in altri casi, una buona mediazione con gli interessi degli allievi, con cui proporre stimoli di riflessione e di ricerca, magari da affiancare a letture anche non integrali dall’opera, confrontata poi magari – specie per le quinte – con un Bontempelli di “Giovane Anima Candida”, ulteriormente avvicinabile al discorso delle “maschere” di Pirandello (che ritorna in Dick, per certi versi).

Un contesto ideale potrebbe essere la proposta nel biennio, dove si affrontano i generi letterari, ed è immancabile la fantascienza, con rimandi quasi obbligatori (anche solo evocativi, ma sperabilmente con qualche lettura) al Frankenstein di Mary Shelley e ad Asimov e ai suoi robot, per poi tornare magari sul discorso in quinta (anche solo come approfondimento di alcuni allievi).

Una lettura oggi sempre più attuale, dunque, anche in connessione a numerose tracce del tema di maturità che, in forma diretta o più di scorcio, si aprivano negli ultimi anni alla riflessione sull’Intelligenza Artigianale (nonostante l’abolizione di un tema dichiaratamente scientifico-tecnologico). Oggi che, dopo i due anni pandemici della didattica a distanza, finalmente si torna allo scritto d’italiano, chissà che non ci sia qualche spunto al riguardo nelle nuove tracce di porre omaggio al secolo di Capek. Per il monito che pone contro le degenerazioni della tecnoscienza, ma anche, sul piano allegorico, ai rischi dei totalitarismi: avvertimento di cui abbiamo sempre bisogno.

QUI l’articolo originale:

R.U.R. – recensione di Ludovico Lamarra su Nerdface

R.U.R. – recensione di Ludovico Lamarra su Nerdface

I robot di Čapek tornano in R.U.R.

R.U.R. (Rossum’s Universal Robots) è un graphic novel tratto dal dramma teatrale tragicomico di Karel Čapek che, per primo, introdusse nella cultura mondiale il termine «robot» più di cento anni fa. Il merito dell’iniziativa è di Miraggi Edizioni, che propone un fumetto ispirato al dramma teatrale utopico e fantascientifico dello scrittore ceco messo in scena per la prima volta al Teatro Nazionale di Praga nel 1921 e subito affermatosi sui palcoscenici di tutto il mondo.

L’autrice

Il graphic novel è firmato dalla giovane illustratrice ceca Kateřina Čupová, la quale dà forma e colore, con tratti gentili ed eleganti, all’intramontabile dramma umanista. La traduzione e la postfazione sono a cura di Alessandro Catalano, professore associato di Letteratura Ceca presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari dell’Università di Padova, che ha inoltre curato un approfondimento sulle trasformazioni dei robot, 100 anni in cinquanta immagini, inserito all’interno del volume.

La storia

R.U.R. uscirà il 21 Febbraio 2022 e racconta, da una prospettiva del tutto originale, una delle prime distopie del XX secolo. La storia, in particolare, narra le tragiche conseguenze innescate dalla creazione di un uomo artificiale, organico ma apparentemente privo di quelle caratteristiche che rendono l’uomo debole e fallibile, come i sentimenti, i bisogni e il libero arbitrio. In una parola: l’anima. Tuttavia, nessuna creatura può essere radicalmente diversa dal suo creatore e i robot di Karel Čapek, prodotti come beni di consumo per sollevare gli esseri umani dalle fatiche del lavoro fisico, sanno essere solidali tra loro, ribelli e violenti come gli uomini che li hanno costruiti.

Nella storia di R.U.R. si riflettono le grandi paure del Novecento di fronte all’avanzata del totalitarismo bolscevico, della vertiginosa corsa del progresso tecnico-scientifico, della disumanizzazione delle masse e delle ingiustizie sociali del capitalismo industriale. Un tema che resta, a un secolo di distanza, incredibilmente attuale seppur con i dovuti aggiornamenti. I robot di Čapek non sono quelli del nostro tempo, ma piuttosto creature biologiche, umanoidi che ricordano un po’ il mostro di Frankenstein o i replicanti di Blade Runner.

QUI l’articolo originale: