Vincitore nel 2007 del premio letterario ceco Magnesia Litera, “Grand Hotel. Romanzo sopra le nuvole” racconta la vicenda surreale di un ragazzo stritolato dalle difficoltà di una vita a ostacoli, ma che sa comprendere le nuvole, le alte e le basse pressioni e i misteri dei venti. Fleischman, il personaggio principale è un trentenne solitario, rimasto orfano da ragazzino. La sua vita è un fallimento. Non è mai riuscito in nulla. Non ha mai neppure lasciato la sua città, Liberec, nei Sudeti, al confine ceco-tedesco. La sua vita è un diagramma in cui annota il tempo atmosferico e lo scorrere del tempo. Fleischman, che non conosce nemmeno il suo nome proprio, è il tuttofare del Grand hotel di Ještěd, l’avveniristico e gigantesco hotel a forma di astronave che sovrasta la città. In questo luogo, sospeso tra la terra e il cielo, si rende conto che troverà una via d’uscita dalla sua città e dalla sua stessa vita solo attraverso le nuvole, ma nei suoi piani irrompe la cameriera Ilja, che un giorno arriva come un’apparizione alla reception dell’hotel.
In cima alla collina che domina la città di Liberec, ultima fermata della funivia, meta preferita di amanti e suicidi, attratti dalla magia della solitudine, dall’ebbrezza dell’infinito, dalla pericolosa bellezza dell’abisso alla quale è così difficile resistere (“la vertigine è la voce del vuoto sotto di noi che ci attira, che ci alletta, è il desiderio di cadere, dal quale ci difendiamo con paura”, scrive Kundera), alle spalle di un Cristo piegato dal vento, sorge un hotel tra le nuvole, centro di questo romanzo e del mondo dei suoi personaggi principali, ognuno con la sua particolare linea della vita che è qualcosa di diverso in ognuno di noi. Per me sono i grafici del tempo atmosferico (dice il protagonista). Per Franz sono i suoi amici morti. Per Zuzana, i test. Per Jegr, il museo del blocco orientale. Per Ciuffo, le bottigliette di happylife.
Un microcosmo di personaggi insoliti, strampalati, strasolati, ciascuno con le proprie piccole o grandi manie e i propri segreti, che l’agile penna di Rudis, viaggiando leggera, tra frasi brevi e incisive e suggestive iperboli e metafore, svela a poco a poco. Ma ve lo racconterò più avanti ripete spesso il protagonista e io narrante, come stringendo un patto con il lettore (non preoccupatevi, sembra dire, non vi deluderò, vi parlerò di tutto e di tutti, ma concedetemi il mio tempo).
Queste interazioni con il lettore e la concisione dei paragrafi contribuiscono a dare ritmo a un racconto fluido e coinvolgente, intenso, ricco di sfumature.
Fleischman è il nome che si è dato il protagonista, in omaggio al nonno mai conosciuto, morto schiacciato da un carro sovietico, ma che, in qualche modo, ha indirizzato il suo destino. È il tuttofare del Grand Hotel, da quando Jegr, un lontano parente che lo aveva preso con sé dopo la scomparsa dei genitori, spinto più dalla promessa di un sussidio che da uno slancio d’affetto, ne è diventato, in maniera tanto repentina quanto inspiegabile, il responsabile. Fleischman è un solitario, emarginato fin da bambino, vittima dei soprusi e delle angherie dei compagni di scuola, con un’ossessione maniacale per i numeri e per i nomi (e i soprannomi). Da una realtà che non accetta e che non lo accetta lo salva la scoperta della meteorologia: guardai le nuvole che scorrevano basse sopra la via. Le nuvole che portavano la pioggia dal Mare del Nord e a un tratto capii. Intendo dire che capii tutto delle nuvole e anche di me stesso. Mi tranquillizzai. Studia il tempo, annotandone le variazioni tre volte al giorno, mangia biscotti, beve limonata, spia dal buco della serratura chi fa meglio di lui (spia i corpi, le azioni, ma anche le conversazioni, sempre con un occhio soltanto, ma con entrambi gli orecchi), parla poco ed è inchiodato alla sua città dalla paura di andarsene, dall’impossibilità di andarsene, dall’impossibilità di raggiungere qualcosa. Cerca dicompensare questo suo immobilismo con lo studio delle mappe, geografiche, storiche e soprattutto meteorologiche, perché è convinto che chi conosce quelle mappe conosce il mondo intero.
Fleischamn spiega tutto attraverso i fenomeni atmosferici, sia come metafora della vita, sia come causa primigenia, fattore scatenante delle più importanti decisioni umane, costantemente influenzate da nuvole e vento, alta e bassa pressione.
Ma se sa tutto del tempo, dei venti, della pressione, delle nuvole, del punto di rugiada, non sa nulla del mondo reale, dei rapporti umani, delle donne. L’opposto di Jegr, il cui universo estremamente concreto è fatto di fiki fiki e di pallone, laddove quello evanescente di Fleischman è fatto di nuvole e sogni. Lo iato tra queste due opposte concezioni della realtà è apparentemente incolmabile, tra i due non scorgiamo alcun punto di contatto, eppure li unisce una sorta di affetto sottaciuto, che qua e là affiora appena.
Ma qual è, poi, la realtà? Non tutto è sempre come appare: a volte raccontiamo agli altri, ma prima ancora a noi stessi, storie a cui finiamo col credere, e diviene sempre più difficile distinguere il falso dal vero, ciò che è accaduto, da quello che sarebbe potuto (o dovuto) accadere. Non solo il presente e il futuro, ma anche il passato possono essere piegati alle esigenze di chi racconta (“la realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi se vogliamo essere” scriveva Pirandello). E ridisegnare il passato nel ricordo e riscattarlo attraverso le azioni del presente ci consente di fare pace con la nostra coscienza e di costruire un futuro che ci permetta di porre rimedio ad antiche colpe, nostre o altrui.
Spesso gli scrittori cechi fanno i conti, in maniera più o meno esplicita, con la storia recente del loro Paese. I comunisti, i nazisti, la primavera di Praga, i carrarmati sovietici. Rudis affida questa funzione di “voce” della storia al vecchio Franz, ma anche ai racconti di Fleischman su suo nonno, e scandisce lo scorrere del tempo attraverso un ossessivo rimarcare i cambiamenti della toponomastica, a sottolineare i passaggi storici (e linguistici) che si sono succeduti.
La storia (quella dei popoli, ma anche la propria personale) è un cerchio, uno deve finire là dov’è nato è il motto di Franz, ma per tornare bisogna andarsene e andare via, staccarsi dalle proprie radici, dai propri affetti, dalle proprie paure, è la scelta più difficile. C’è una sola strada, percorribile in un’unica direzione: verso l’alto. Anche se a volte, prima di spiccare il volo, è necessario precipitare, magari nel proprio abisso interiore, nel proprio infinito personale. E così, d’improvviso, il protagonista capisce: la sola via di fuga possibile è attraverso le nuvole, affidandosi al vento.
Liberec, Repubblica Ceca. Fleischman vive e lavora dentro al futuristico Grand Hotel, costruito proprio sulla cima del monte Ještěd. Ci è entrato da ragazzino grazie al cugino Jégr, che lo ha trasformato in una specie di facchino tuttofare. Ora ha trent’anni e da quell’albergo ci esce poco. Ha un passe-partout che usa per entrare nelle camere degli altri e così conoscere le loro vite. A volte spia dal buco della serratura ciò che fa Jégr con le sue donne, buscandosi ogni tanto qualche scappellotto. Ma soprattutto Fleischman è appassionato di meteorologia, convinto che il tempo atmosferico sia la sola cosa che conti al giorno d’oggi nel mondo, perché capace di influenzare qualsiasi evento e situazione, persino la psiche umana, così come dice la sua dottoressa. Conosce ogni genere di nuvola, le loro trasformazioni, ciò che anticipano. Non è mai riuscito a lasciare la città di Liberec, da quando suo padre e sua madre sono morti in un incidente stradale, ma forse non è andata proprio così, e lui è finito al Grand Hotel. Ci ha provato più volte, salendo sopra un camion di passaggio, in taxi, ma non è mai arrivato oltre il cartello che indica la fine della città anche se, prima o poi, ce la farà. Ora ha anche una missione da compiere: aiutare il vecchio Franz, che zoppica e ha fatto la guerra, a riportare a casa i suoi amici, o quello che rimane di loro perché, come dice sempre Franz: uno deve finire lì dove è nato. Per questo, chiuse in alcuni barattoli, porta con sé le ceneri dei suoi compari che spargerà con l’aiuto di Fleischman dove ciascuno di essi è nato e cresciuto…
La morte è come il vento, pensa Fleischman. Perché il vento, meteorologicamente parlando, sta al principio e alla fine di ogni cambiamento del tempo; sposta le nuvole, come vite umane, da una parte all’altra del mondo. Così è la morte, se ci pensiamo bene, anche se il ragazzotto strano, mezzo matto e disadattato, è forse la persona meno indicata per raccontare un fatto di cronaca. Difficile credere alla sua attendibilità, che pare fragile come la fragilità delle nuvole, che non sono che polvere raccolta dall’umidità. Persino la scomparsa dei suoi genitori potrebbe non essere andata così come la racconta alla sua dottoressa. Ma prima o poi ci arriverà a dirla tutta, a descrivere la realtà e spiegare molte cose di sé. Il problema è a chi. Il bestiario di gente che lo circonda non è certo promettente. A Ciuffo, che sostiene di essere stato in America e vorrebbe ritornarci? Alla dottoressa, che però ama la storia dell’incidente stradale? O forse alla bella Ilja? Jaroslav Rudiš ci propone una storia bizzarra, piena di ombre e poche luci, proprio come un cielo nuvoloso tormentato dal vento, dove gli sprazzi di sereno vengono soffocati dal grigio della pioggia. Ma il giovane Fleischman è un personaggio carico di poesia malinconica, che per evitare di affogare nella melma della vita si aggrappa alla meteorologia, la sua sola arma contro gli uomini che lo sottovalutano e non lo apprezzano. Grand Hotel è anche una storia di confine, quello della frontiera ceco-tedesca, e di confinati in un luogo fuori dal tempo, aggrappato alla cima del monte Ještěd come un nido d’aquile. I brevi capitoli ci lasciano il tempo di riflettere sulla condizione di Fleischman che non aspetta altro che il vento buono che lo porti via da lì, questa volta per davvero.
“Il clima e le nuvole sono l’inizio di ogni cosa, di ogni dialogo e di ogni storia e saranno anche la loro fine.” Questa vicenda comincia con un traguardo raggiunto. “Ce l’ho fatta”, ripete qualcuno che, nel giorno del suo compleanno, si sta godendo il regalo atteso da tutta una vita: salire in alto, con le nuvole a portata di mano, l’orizzonte che si staglia oltre la città amata e odiata, tenendo sotto controllo altitudine, vento e direzione e, in sottofondo, la musica del silenzio. Un prologo che sul momento mi strania, perché non riesco a dare una collocazione spazio-temporale al narrante e non so cosa voglia dirmi. Ma la curiosità irrompe subito nell’incipit del primo capitolo: “Il mio nome è Fleischman”.Così, conosco il trentenne protagonista di questa storia. Fleishman è un ragazzo problematico, tendenzialmente asociale, bullizzato dai compagni durante gli anni di scuola, in cura da una psichiatra in seguito al trauma causato dall’incidente stradale in cui ha perso entrambi i genitori; ha sempre la testa fra le nuvole e non solo in senso figurato: lui vive in simbiosi con esse. Le nuvole lo tranquillizzano, gli hanno insegnato a perdonare, gli hanno tenuto compagnia negli anni più difficili della sua infanzia. Fleishman ne studia le forme, le analizza, come fa col clima, quando registra la temperatura, la pressione atmosferica, le precipitazioni, la direzione e la forza del vento. Sulle pareti della sua stanza c’è un enorme grafico, con degli appunti: “questo è il mio mondo. Il mio diario. La mia tabella di marcia.”
L’ossessione per le nuvole, così inconsueta, è l’elemento vincente del romanzo, quello che connota in modo originale il personaggio e rende credibile la sua voce. Per non finire in una casa-famiglia o al riformatorio, Fleishman viene affidato a un cugino sconosciuto, Jégr, col quale andrà a vivere in un hotel, nella città di Liberec, sospeso a 1012 metri sopra il livello del mare. Un’enorme fabbrica di nuvole a forma di missile rotondo, che si stringe sulla punta; una struttura senza spigoli, la cui torre si conficca nel cielo come un ago affilato.È lì che Fleishman conosce Ilja, la cameriera che lo giudica strano, salvo poi raccogliere i suoi segreti ed è lì che si affeziona a Reinhard Franz, un ex pilota nostalgico del passato, tornato in città con le ceneri di due suoi amici raccolte in un barattolo di latta, per compiere una missione importante.Ciò che ho apprezzato della narrazione è la capacità dell’autore di portare il lettore a familiarizzare con tutti i personaggi, dal protagonista a quelli secondari. È facile interessarsi alle vicende raccontate da Fleishman, quando anticipa storie ed entrata in scena di persone con la formula “ma questo ve lo dirò dopo”, creando una sorta di bolla di sospensione in cui sono racchiuse aspettative, che non saranno deluse. È con questo meccanismo di “rimando”, in grado di creare attesa e generare curiosità, che conosciamo meglio Jégr e il suo “museo del blocco orientale”, allestito nella reception dell’hotel, pieno di oggetti legati a determinati momenti della sua vita e anche Ciuffo, ex compagno di scuola e ora nuovo cameriere del Grand Hotel, che sogna di fare fortuna in America grazie al “salvifico” Happylife, una brodaglia verde multifunzionale,utile per tutto: stoviglie, tappeti, per farci i cetrioli sottaceto, per lucidare le scarpe, per il mal di gola, per sbiancare i denti… “Con questo pulisci i mobili e anche l’auto col tuning.” La narrazione ingenua di Fleishman, che conserva quasi dei tratti autistici (come nella meticolosa ricostruzione etimologica di talune parole), definisce bene il personaggio e per lui non si può che provare una simpatia del tutto spontanea: la sua forza risiede nella fragilità, che emerge proprio dalle riflessioni semplici, ma di grande potenza espressiva; nella paura di abbandonare Liberec, tale da provocargli autentiche crisi di panico ogni volta che prova a varcarne i confini. Ma ad aiutarlo, nella più grande sfida della vita, più che le parole di una psichiatra o la compagnia di una persona speciale, saranno ancora le nuvole, fedeli ed eterne compagne di viaggio, le uniche in grado di restituirgli la felicità.Il cerchio si chiude: la storia si completa con tutte le sue verità. Quando si arriva al silenzio del commiato, viene voglia di applaudire.
“Sull’Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi verso nord. Le isoterme e le isòtere si comportavano a dovere. La temperatura dell’aria era in rapporto normale con la temperatura media annua, con la temperatura del mese più caldo come con quella del mese più freddo, e con l’oscillazione mensile aperiodica. Il sorgere e il tramontare del sole e della luna, le fasi della luna, di Venere, dell’anello di Saturno e molti altri importanti fenomeni si succedevano conforme alle previsioni degli annuari astronomici. Il vapore acqueo nell’aria aveva la tensione massima, e l’umidità atmosferica era scarsa. Insomma, con una frase che quantunque un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella giornata d’agosto dell’anno 1913”.
Questo il noto incipit de “L’uomo senza qualità” di Robert Musil (Einaudi 1996. Trad. it. Anita Rho, Gabriella Benedetti e Laura Castoldi). In questo incipit così preciso e puntuale possiamo cogliere in filigrana quello che sarà uno dei temi fondamentali dell’opera di Musil: il rapporto tra anima e esattezza. E, a proposito di questo tema, Musil stesso afferma:
“Ogni cosa ha mille lati, ogni lato ha cento rapporti, e a ciascuno di essi sono legati sentimenti diversi. Il cervello umano ha poi fortunatamente diviso le cose, ma le cose hanno diviso il cuore umano” (Op. Cit. Pag. 87).
Come conciliare l’anima con l’esattezza, la poesia con le scienze rigorose, l’umanesimo con la scienza? Può essere conciliabile un ossimoro? Non sarà forse la meteorologia che riuscirà a risolvere la questione? Interrogativi che si sono affollati nelle ma mente alla lettura dell’originale e bel libro di Jaroslav Rudis “Grand Hotel. Un romanzo fra le nuvole”, ottimamente tradotto da Yvonne Raymann e pubblicato da Miraggi nell’ottobre 2019 nella collana dedicata alla letteratura ceca NovàVlna. Il romanzo era uscito nella Repubblica Ceca nel 2006. Va dato grande merito a Miraggi di aver dato la possibilità di conoscere questo piccolo gioiello ai lettori italiani.
Ma chi è Jaroslav Rudis? E’ nato a Turnov nella Repubblica Ceca, distretto di Liberec nei Sudeti tedeschi. E’ scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, musicista. Ha scritto romanzi, racconti e, insieme al musicista e performer Jaromìr 99, ha dato vita a una popolare trilogia di fumetti, Alois Nebel; ha, inoltre, fondato il gruppo musicale Kafka Band. Scrive sia in ceco sia in tedesco. Ha ricevuto numerosi premi. Nel 2018, alla Fiera del libro di Lipsia, ha ricevuto il Premio delle Case Editrici con la seguente motivazione. “Con ironia e sensibilità per le piccole preoccupazioni quotidiane della gente Jaroslav Rudis ci restituisce una società composta di personaggi eccentrici, spesso vittime di aneddoti tragicomici. Così sono i suoi libri: divertenti, critici, politici, poetici, in poche parole un rock’n’ roll letterario”.
A questo punto il lettore si domanderà cosa c’entri l’incipit di Musil con Rudis. Lo vedremo, ma prima la trama in breve: Fleischmann, di cui si conoscerà il nome di battesimo solo nelle ultime pagine del romanzo, è un giovane trentenne eccentrico, spostato e che ha la passione per la meteorologia. Va periodicamente da una dottoressa per parlare dei suoi problemi. E’ stato rocambolescamente adottato da un lontano cugino, Jégr, dopo che i suoi hanno avuto un grave incidente in auto dove lui era uno dei passeggeri. A causa dell’incidente ha avuto un ricovero in una struttura per “svitati” dove ha sviluppato una sindrome post-traumatica da stress accompagnata da istinti suicidi, insicurezze, malinconie, desiderio di solitudine e difficoltà con le donne. Fleischmann è, come si diceva più sopra, un appassionato di meteorologia. Ascolta le previsioni del tempo quotidianamente, osserva il cielo e le nuvole dal suo osservatorio privilegiato: l’Hotel che si erge verso il cielo in cui lui vive e lavora. Vi vive e lavora insieme al cugino che lo adottato con cui parla di donne e calcio e dal quale viene ritenuto un giovane con molte difficoltà, anche di comprensione. Viene ritenuto incapace di avere relazioni con le donne e incapace di praticare qualsiasi attività sportiva. Quasi l’intero romanzo si svolge nel Grandhotel di Liberec, città della Repubblica Ceca, capoluogo della regione omonima, collocata nei Sudeti tedeschi. E’ lì che Fleischmann incontra lo stravagante Franz, forse un nostalgico del nazismo, incontra Ciuffo ex compagno di scuola, Zuzana, la cameriera Ilja, una ragazza snella e dai capelli corti che sarà decisiva per lo sviluppo della storia. Sarà nel Grandhotel che l’anelito di libertà di Fleischmann si farà sempre più forte fino alla conclusione finale che lascio al lettore il piacere di scoprire. Tutti i personaggi del romanzo sono strambi, fuori dagli schemi, indimenticabili. Anche se richiamano alla memoria alcuni personaggi dei racconti e romanzi di Hrabal, questi personaggi sono assolutamente originali. Su di essi Rudis ha fatto un lavoro di scavo psicologico molto approfondito.
Si diceva di Musil, della sua ricerca di conciliare anima e esattezza. Fleischmann cerca di farlo utilizzando la meteorologia, il che rimanda all’incipit de “L’uomo senza qualità”, e una vera e propria fenomenologia delle nuvole:
“L’uragano è un ciclone tropicale. Un vortice di bassa pressione. Venti devastanti. In Giappone lo chiamano tifone. In Australia, invece, willy-willy. Nei Caraibi, uragano. Per formarsi ha bisogno di tre elementi: il calore dell’acqua, aria umida e venti equatoriali convergenti. Ma magari è sufficiente che da qualche parte una mosca batta le ali. O una farfalla. O una zanzara. Oppure che qualcuno saluti con la mano per la strada. Sarà per questo che non saluto mai così, per non provocare una catastrofe con il movimento della mia mano.
Un uragano è una gigantesca lavatrice dell’aria, un’aspirapolvere così potente che forse a volte potrebbe servire a ognuno di noi. Un uragano, però, è forse anch’esso uno stato dell’anima, lo stato dell’anima del clima” (Pag. 16).
E le nuvole assumono anche un aspetto poetico:
“All’inizio di ogni storia e di ogni film c’è il cielo azzurro, l’avete mai notato? Poi, ad un tratto, da chissà dove spuntano le nuvole. Io lo so da dove giungono. Ho fiuto per le nuvole” (Pag.21).
Le nuvole, che possono darci indicazioni precise sul tempo atmosferico, che sono poetiche, possono dare la tranquillità. Fleischmann ricorda i tempi della scuola e quel giorno in cui i suoi compagni di scuola lo legarono ad un albero:
“Ero sul punto di crollare, ma dominai la situazione, come si suol dire. Guardai le nuvole che scorrevano basse sopra la via. Le nuvole che portavano la pioggia del Mare del Nord e a un tratto capii. Intendo dire che capii tutto delle nuvole e anche di me stesso. Mi tranquillizzai. Sapevo che presto sarebbe cominciato a piovere e i ragazzi sarebbero corsi a casa” (Pag. 24-25).
Le nuvole sono indispensabili pre prevedere il tempo, sono poetiche, tranquillizzano e salvano, ma hanno anche un aspetto metafisico:
“Le nuvole mi tranquillizzavano. Le nuvole mi avevano insegnato a perdonare. Le nuvole che stavano lì prima di me, prima di voi, prima dell’hotel a punta sulla nostra collina, prima dei comunisti, prima dei nazisti, prima dei calciatori e dei giocatori di hockey, prima dei ferrovieri, dei dottori e dei becchini, prima dei cantanti. delle attrici e dei robot, prima di tutta la nostra storia. Le nuvole che saranno lì anche quando finirà la storia. E finirà. Lo hanno detto alla televisione” (Pag.26).
Fleischmann non è mai diventato meteorologo ma:
“Le nuvole però non mi hanno lasciato. Ricordo tutti gli eventi in base alle nuvole, in base al clima, perché dal clima dipende proprio tutto. E quindi registro tutto quanto. La temperatura. La pressione atmosferica. La direzione e la forza del vento. Le forme e i tipi di nuvole. Le precipitazioni. Proprio tutto ciò che è importante se si vuole conoscere il clima, se si vuole capire da che parte va il mondo. Sulle pareti della mia stanza c’è un enorme grafico, delle linee azzurre, nere e rosse, degli appunti. Questo è il mio mondo. Il mio diario. La mia tabella di marcia” (Pag. 31).
Al lettore può venire il dubbio che il tempo atmosferico sia un surrogato, sia qualcosa che riempie i vuoti dell’anima di Fleischmann. Il lettore condivide con la dottoressa di Fleischmann questo dubbio:
“La dottoressa dice che tutte le mie nuvole, i venti, le nevi, le piogge, i cicloni, le mappe e i grafici suppliscono a qualcosa di molto più importante, a qualcosa che desidero nel profondo del mio personale infinito, ma che forse non conosco neppure. O che forse conosco già. Ma ho paura di farlo” (Pag.89).
Questo è un aspetto molto importante sul quale tornerò dopo. Qui mi preme sottolineare come nel romanzo sia presente anche la Storia, anche la politica. Ci troviamo davanti alla dimensione politica quando Fleischmann evoca il padre e il nonno, quando ci narra di quello strambo personaggio che è Franz, che forse è stato nazista, che si è dato la missione – quasi come in un film- di spargere le ceneri di amici morti nelle loro case d’origine a Liberec.
Liberec è nei Sudeti tedeschi. Dopo l’invasione nazista della Cecoslovacchia quella zona divenne una Gau, unità amministrativa della Germania nazista, e Liberec, che assunse il nome di Reincheberg, ne divenne il capoluogo. Quando la Germania nazista venne sconfitta, il Territorio dei Sudeti venne restituito alla Cecoslovacchia e i tedeschi espulsi. Oggi gli ex territori di lingua tedesca dei Sudeti fanno parte della Repubblica Ceca. Il capoluogo è tornato a chiamarsi Liberec. Nel libro sono adombrati vari riferimenti a queste vicende e non solo quando Fleischmann si associa a Franz nelle sue avventure picaresche e deliranti. Spesso Rudis fornisce il significato in tedesco e in ceco di un nome, sottolinea che in quella zona si parlano il tedesco e il ceco. Un esempio, fra i tanti, quando Fleischmann parla della cameriera Zuzana:
“Il suo cognome è Sladkà. Dolce in tedesco si dice suss o zuckrig. Suss wie Honig vuol dire dolce come il miele e dolce riposo si dice eine susse Rast. Ve lo dico perché i nomi non mentono e Zuzana sembra fatta di zucchero, Ma ve lo dico anche perché la nostra è una città ceco-tedesca. O tedesco-ceca, Per questo traduco sempre tutto” (Pag. 90).
Per quanto concerne il padre, Fleischmann paragona le riunioni a cui partecipava (ma anche su questo punto Rudis riserverà sorprese al lettore) alla sua passione per il tempo atmosferico:
“Spesso prima delle riunioni si chiudeva in bagno dove c’era uno specchio grande. La mamma diceva che davanti allo specchio provava i discorsi, ma secondo me chiacchierava normalmente tra sé e sé, come capita a tutti quando si è soli, anche a me.
Può darsi che la solitudine sia l’unica qualità che ho ereditato da lui. Sempre che la solitudine possa essere una qualità, ma io penso di sì, anche la mia dottoressa si limita a scuotere la testa: non ci vedo niente di male se a qualcuno nella vita bastano le riunioni. A me basta il tempo atmosferico. Alla fin fine anche il tempo atmosferico è simile a una riunione, a volte tranquillo, a volte burrascoso, e una riunione importante è un incessante incontro di nuvole, lampi, pioggia, venti, pressioni, temperature, tutto ciò che influenza, rovina e salva la vita. La vostra e la mia” (Pag. 35-36).
Per quanto concerne il nonno, Fleischmann racconta alla dottoressa che il 21 agosto 1968, giorno dell’invasione russa della Cecoslovacchia, il nonno e la nonna erano andati a vedere i carri armati “con le righe bianche”. Il nonno aveva acceso una sigaretta “Partyzàn” e minacciato i carri armati a pugni chiuso e aveva ridotto in pezzi il suo libretto Rosso. Mentre la nonna lo portava via lui era scivolato ed era finito sotto un carro armato. Racconta ancora Fleischmann alla dottoressa:
“Raccontai alla mia dottoressa che mio papà mi aveva vietato di parlare di carri armati a strisce, di libretti rossi fatti a pezzi e del nonno, che era arrabbiato con la mamma e con la nonna per avermelo raccontato e che in ogni caso era stato un errore del nonno, mettersi davanti ai carri armati, non sarebbe venuto in mente a nessuna persona normale, le raccontai che il nonno non era affatto un partigiano sebbene fumasse le Partyzàn, era un provocatore e un sabotatore, e da quello non prende il nome nessuna sigaretta perché i sabotatori non sono mai molto popolari” (Pag. 129-30).
Dai brani riportati più sopra si può ben capire come siano molto presenti a Jaroslav Rudis le tematiche riguardanti i Sudeti e quelle concernenti la Primavera di Praga e la normalizzazione. Un contesto da non dimenticare mentre si legge.
Si diceva più sopra che le nuvole hanno un significato metaforico. C’è uno slittamento progressivo di senso: le nuvole sono poesia, sono l’esattezza con cui si può prevedere il tempo, sono la metafisica perché esse erano prima di noi, infine diventano la metafora della libertà. Le nuvole sono la leggerezza, la navigazione verso l’Altrove, rappresentano il superamento di ogni confine. E questo è molto importante perché una delle difficoltà di Fleischmann, forse la più grande, è quella di non riuscire a superare il confine, un confine il cui passaggio sembra interdetto, malgrado l’aiuto della dottoressa che lo accompagna fino la cartello che indica la fine della città:
“Ma all’improvviso cambiò tutto, ci avvicinammo al cartello che indicava la fine della nostra città e l’inizio del mondo e cominciò a palpitarmi il cuore, mi si strinse la gola e sulla lingua avvertii il gusto piccante del mio personale infinito, tutte le mie paure. Cominciai a sudare e a soffocare e dovetti uscire perché, mi era chiaro che se l’avessi oltrepassato non sarei più tornato indietro. Mi sarei perso. Sarei morto.
Il conducente lo fece appena in tempo. Aprì le porte, io saltai fuori e mi buttai sulla strada proprio sotto al cartello con la scritta barrata della nostra città, i passeggeri uscirono in massa, si chinarono verso di me, volevano prendersi un pezzo della mia paura, come in modo indolore ne strappano ogni giorno dagli incidenti alla televisione, ma la dottoressa li tranquillizzò, disse loro che non stavo morendo, che era tutto a posto, che non mi era successo niente, che avevo avuto solo un attacco di panico, una normalissima crisi d’ansia e niente di più, ma come me, anche lei sapeva bene che non si trattava solo di questo, che era molto di più” (Pag. 162).
E’ molto di più perché si tratta di emancipazione e di libertà. Ce la farà Fleischmann, dopo questa esperienza, a superare quella linea di confine che gli sembra interdetta? Riuscirà a essere come le nuvole, a essere come il vento?
A conclusione mi si conceda un ricordo personale. Anni fa ero in vacanza con alcuni amici in quella che era ancora la Cecoslovacchia. Uno di loro mi confidò che aveva avuto, in alcuni momenti della nostra permanenza là, dei veri e propri attacchi di claustrofobia. Aggiunse che, a suo avviso, uno dei grossi problemi dell’Europa Centrale era che non c’era il mare che l’avrebbe ossigenata come avrebbe ossigenato lui. Che se ci fosse stato il mare l’ anelito alla libertà di quei popoli sarebbe stato molto più grande.
E il ricordo personale si mischia, oggi, a quello che la dottoressa dice a Fleischmann:
“(La dottoressa) dice che il nostro popolo non fa male a nessuno, ma che in fin dei conti non ci importa se qualcuno fa del male a noi. La mia dottoressa pensa che a noi manchi il mare e l’aria fresca. Oppure delle vere montagne con dei bei panorami. Che noi siamo bloccati in una conca, dove di noi si possono vedere solo i capelli. E che per questo siamo un popolo così introverso. E chiuso in stesso. E angosciato” (Pag. 158).
Cosa succede quando una forza inarrestabile incontra un oggetto inamovibile? Questa è la domanda che ci si fa, quando eventi drammatici travolgono la vita di ciascuno di noi. A questo paradosso prova a dare una risposta Fleischman, il protagonista di questo romanzo, rimasto orfano dei genitori quando era ragazzo. E dalle ceneri della sua giovane vita, prova a guardare in alto, per emergere, come se lui stesso fosse nei rami di un albero radicato nella sua città, che non riesce ad andare altrove, ma che è sempre teso verso l’alto.
“Quel che so, è che il centro del sistema solare è il Sole. Il centro di un uragano è il suo occhio. Il centro di un temporale è il cumulonembo. Quel che so, è che il centro dell’alta pressione si trova solitamente sopra le Azzorre. E il centro della bassa pressione più a nord, da qualche parte tra l’Islanda e la Scandinavia. La maggior parte delle volte.”
Fleischman comincia il suo percorso di cura, con una dottoressa che gli consiglia di scrivere tutto su un quaderno: desideri, sogni e bisogni. Il potere taumaturgico della scrittura.
“Dovete avere la forza di prendere in mano carta e penna e riversare sul foglio tutti i vostri problemi, come sto facendo io con voi, anche se non ho intenzione di suicidarmi. Voglio solo volare via. Dovete avere la forza di dare una leccata alla busta, di chiudere la lettera e di imbucarla, dovete avere la forza di riuscire a immaginare l’espressione di chi la leggerà dopo un paio di giorni. Dovete avere la forza di trasmettergli ciò che vi pesa, una parte del vostro infinito. Innanzitutto, però, dovreste avere qualcuno a cui spedirla una lettera così.”
Fleischman si sente costretto a stare nella sua terra, che è la sede anche del Grand Hotel di famiglia: “Pensai che anche attorno alla nostra città c’era una specie di cortina di ferro. La mia cortina di ferro, che non mi vuol lasciar andare via, ma che io supererò.”
La dottoressa lo incoraggia a trovare la sua strada e che ci vuole tempo se le ferite sono profonde, ci vuole tempo per guarire, ci vuole tempo per risolvere il proprio passato. Ci vuole tempo, cura e anche il coraggio di lasciar andare quei dolori famigliari che hanno segnato l’infanzia e l’adolescenza. E bisogna imparare a guardare il cielo e a trarre dal cielo gli insegnamenti necessari per crescere. Fleishman lo fa e ci lascia questo in dono: “Durante il viaggio di ritorno mi disse che ogni cosa ha bisogno del suo tempo, che ci saremmo riusciti, che un giorno tutti i muri di ghiaccio si sarebbero sciolti. Non so se nel mio caso si tratta di ghiaccio.
[.]
Ma la dottoressa disse che quello era solo un esempio. Una metafora. Che sapeva che ce l’avrei fatta. Che avrei trovato la mia strada. E che lei mi avrebbe aiutato. E se non fosse stata lei, l’avrebbe fatto qualcun altro. Io questa la chiamo certezza.”
Duc in altum, semper!
“Ce l’ho fatta. La vita vi offre solo due direzioni. Una porta in alto. E anche l’altra porta in alto. Ma con una deviazione verso il basso. Attraverso il vostro personale infinito. Il problema è che non sapete mai in quale direzione vi state dirigendo.”
Da qualche settimana il mondo non è più quello che conoscevamo. Siamo stati costretti dall’emergenza a chiudere e a lasciare da parte tutte quelle attività che ci sembrava impossibile accantonare e anche lo svago e le uscite con gli amici si sono bruscamente interrotte. Una quotidianità mutata, e mentre un esercito di medici, infermieri e ricercatori stanno tentando senza sosta di arginare una tragedia, noi tutti, chiusi nelle nostre case, siamo alla ricerca spasmodica di un antidoto per spezzare la noia. L’emergenza straordinaria e questa quotidianità sospesa da settimane, inevitabilmente, ci porta ad avere emozioni insolite da gestire e da elaborare. Nel tempo, anche, della socialità fisica ridotta, la lettura può venirci in soccorso per allentare tensioni e trascorrere qualche manciata di minuti distesi, rilassanti. Lettura che si trasforma in una finestra che si apre sul mondo e proprio nel momento in cui noi siamo reclusi nelle nostre case. Un libro, adesso più che mai, può diventare una risorsa preziosa e la lettura una attività preziosa per comunicare con l’esterno. Ritornare a essere curiosi, attraverso la lettura. Già, perché la lettura può servire a incuriosirci e a sollecitare domande su questo strano presente che stiamo vivendo, proprio come accade a Fleischman, il protagonista acchiappanuvole di Grand Hotel. Romanzo sopra le nuvole.
Grand Hotel è il pluripremiato romanzo surreale di un ragazzo stritolato dalle difficoltà, un disadattato con una vita a ostacoli. Ma Fleischman sa, proprio come il buon acchiappanuvole di una canzone di Luigi Tenco, non solo comprendere le nuvole ma pure i misteri dei venti e delle stagioni. Romanzo pubblicato in Italia da Miraggi Edizioni con traduzione della giovane Yvonne Raymann, sesto titolo della Collana NováVlna curata da Alessandro De Vito. Il suo autore è Jaroslav Rudiš. Uno scrittore ceco originario di Turnov, classe 1972, del quale in Italia erano già stati pubblicati due libri precedentemente, quello di esordio, datato 2002, Il cielo sotto Berlino, e poi l’amaro e malinconico Helsinki, dove il punk si è fermato. Rudiš è un autore eclettico, musicista e apprezzato sceneggiatore di graphic novel. Da questo suo romanzo è stato tratto un film, Grandhotel di David Ondříček nel 2006, con la sceneggiatura dell’autore.
Si tratta di un racconto in prima persona con episodi personali, aneddoti e personaggi alquanto bizzarri. Siamo nei Sudeti, al confine tra Repubblica Ceca, Polonia e Germania, in cima al monte Ještěd, nella Boemia del nord, nel villaggio di Liberec, quella che era vecchia Reichenberg per i tedeschi. In questo triangolo di terra si staglia verso il cielo, a 1012 metri sul livello del mare, il Grand Hotel del titolo, un moderno e gigantesco albergo dalla costruzione futuristica rotonda e a forma di astronave (realmente esistente) che sovrasta la città. Qui dove finisce la terra e comincia il cielo vive e lavora, da molti anni, il trentenne Fleischman, portiere tuttofare dell’edificio. Il Grand Hotel è solitario e isolato proprio come la piccola città di confine e gli unici amici del protagonista sono gli eccentrici personaggi che popolano l’albergo. Rimasto orfano da ragazzino, avendo perso i genitori in un incidente, deve fare i conti con una vita che è un fallimento. Superstite, non è mai piaciuto a nessuno e non è riuscito in nulla. Non ha mai lasciato la sua città e neppure ha mai avuto una ragazza. Dal racconto che fa alla sua dottoressa, dovrebbe essere andata così, l’incidente e poi adottato da un vecchio cugino sin là sconosciuto. Adottato con poco amore e tanto calcolo, il solitario e frustrato Fleischman trascorre le sue giornate in compagnia di tutta una serie di strani rituali e quell’unica passione per la meteorologia. Accetta di vivere in quel posto solo per essere il più possibile vicino al cielo e poter osservare e comprendere le nuvole che corrono libere. Misurare la temperatura tre volte al giorno e aggiornare il suo grafico, calcolando gli effetti dei fronti caldi e freddi, le alte e le basse pressioni e le direzioni dei venti, e, poi, tornare a osservare quelle nuvole che corrono libere nel cielo. La sua vita è tutta in quei diagrammi che appende al muro e in cui annota il tempo atmosferico e lo scorrere del tempo. Fleischman, che non conosce nemmeno il nome proprio, in questo luogo magico, si rende conto che potrà trovare una via d’uscita dalla sua città e dalla sua stessa vita solo attraverso le nuvole. Con la testa tra le nuvole coltiva, infatti, il suo sogno segreto: trovare una ragazza da amare e avventurarsi oltre il confine e poter volare via da Liberec, abbandonando la sua misera esistenza. Si è cucito un pallone aerostatico per volare oltre le nuvole, ma quando è pronto ad andarsene irrompe la cameriera Ilja, che un giorno arriva come un’apparizione alla reception dell’hotel:
«La mia dottoressa dice che la vita delle persone sia come un mosaico. Dice che non la ricordiamo mai tutta intera. Che del passato vediamo sempre e solo dei frammenti. Dei bagliori. Dei lampi».
La dottoressa di Fleischman pensa che la vita delle persone sia come un puzzle, composta da tanti pezzi e da tante storie, e forse per questo che lui ha dimenticato certe storie, o le ha confuse. È un libro che merita di essere letto perché ci invita a osservare meglio le cose che abbiamo intorno e anche a rivolgere più sguardi al cielo, per imparare ad ascoltare noi stessi e le persone che ci vivono accanto, ma pure ad ascoltare i luoghi e il posto in cui viviamo e le persone che ci ha preceduto in quei luoghi. Un libro che ci aiuta a riflettere, in questo nostro presente sospeso, e a ricomporre pezzi di puzzle e mosaico che ci siamo persi nella fretta dell’altra vita. Un libro adatto, insomma, a tutti gli acchiappanuvole come me…
«…Non devi credere, no, vogliono far di te
Un uomo piccolo, una barca senza vela
Ma tu non credere, no, che appena s’alza il mare
Gli uomini senza idee, per primi vanno a fondo
Ragazzo mio… un giorno i tuoi amici ti diranno
Che basterà trovare un grande amore
E poi voltar le spalle a tutto il mondo
No, no, non credere, no, non metterti a sognare
Lontane isole che non esistono
Non devi credere, ma se vuoi amare l’amore
Tu, …non gli chiedere quello che non può dare
Ragazzo mio, un giorno sentirai dir dalla gente
Che al mondo stanno bene solo quelli che passano la vita a non far niente
No, no, non credere no,
Non essere anche tu un acchiappanuvole che sogna di arrivare
GRAND HOTEL DI JAROSLAV RUDIŠ: LE NUVOLE DEL DISINCANTO
Nel mio mai deludente tour della micro-piccola-medio editoria italiana ho avuto l’onore di conoscere Miraggi Edizioni, una realtà professionale di livello e che offre ai suoi lettori una cura certosina dei testi pubblicati (dal contenuto alla resa estetica).
Per tale ragione ho voluto leggere Grand Hotel. Romanzo sopra le nuvole dello scrittore ceco Jaroslav Rudiš che mi ha immediatamente conquistato con la sua prosa giocosa e magica in netto contrasto con una storia tanto bella quanto struggente, disincantata. Il testo fa parte della collana «NováVlna» di letteratura ceca e prende il nome dalla “Nouvelle Vague” cinematografica ceca tanto in voga negli anni della Primavera di Praga. Come ci fa intendere l’editore è doveroso (ri)scoprire questa nicchia letteraria perché è stata protagonista di grandi eventi storici e piccole leggende interiori; il romanzo ceco con le sue sfumature surreali, grottesche e a volte magiche è uno strumento irrinunciabile per sondare le profondità dell’essere umano.
L’autore è già stato pubblicato in Italia almeno altre due volte, ma il titolo a cui deve certamente la fama è Il cielo sotto Berlino, un vero classico moderno della letteratura europea e non solo di quella ceco-tedesca. Jaroslav Rudiš inoltre è un’arista completo, si dedica alla realizzazione di fumetti, a performance radiofoniche e musicali con il suo gruppo Kafka Band, ed è autore di sceneggiature teatrali e cinematografiche. Laureatosi per divenire insegnante di tedesco e storia, scrive le sue opere sia con l’idioma della madre patria (nacque a Turnov, in Repubblica Ceca, nel 1972) che con quello tedesco. I suoi studi lo hanno portato anche a Liberec, città dove è ambientato Grand Hotel, località famosa per il monte Ještěd e per l’omonima gigantesca torre di telecomunicazioni che sfida l’immensità del cielo.
Il cielo e le sue nuvole sono i protagonisti di questo originalissimo romanzo, così importanti da “oscurare”, a volte, l’attore principale delle vicende, il bizzarro Fleischman. Costui è un giovane uomo, un disadattato, un outsider, il classico “inetto” alla Musil de L’uomo senza qualità, tanto per rimanere in area mitteleuropea.
La sua esistenza è un perpetuo fallimento, con le donne, gli amici, la sua psichiatra e la sua famiglia; famiglia che non c’è più perché ha perso entrambi i genitori durante un incidente automobilistico, o almeno è quello che racconta alla sua dottoressa. Ha sempre la testa tra le nuvole, uniche particelle lattiginose della sua fragile realtà in grado di trasmettergli serenità, pace e completezza.
Fleischman si sente complementare al disegno del cielo, si allinea con gli schemi che tiene incollati sulle pareti del Grand Hotel di suo nonno, che raccontano il romanzo dei fronti temporaleschi, la poesia dei fulmini e il verseggiare del rombo del tuono. Se a volte, leggendo i suoi ragionamenti, la sua involontaria ironia (e qui l’autore è geniale) penserete allo spettro autistico lo farete a ragione, e nel suo guazzabuglio interiore e nel nitore del cielo Fleischman è la persona più limpida dell’intero carosello di personaggi.
Per questa ragione il romanzo ti conquista tempestivamente, il campo semantico atmosferico-meteorologico è sublime, le figure retoriche saldate sui movimenti del cielo e delle nuvolaglie ti invogliano a diventare un frammento di volta celeste, per rimanere a volteggiare sulle cuspidi del Grand Hotel. A volte ho desiderato essere una crisalide di neve e vento soltanto per posarmi sul volto di Fleischman e ricordargli che non sarà mai solo.
Se il romanzo segue le vicende interiori del nostro stravagante meteorologo da strapazzo, tra innamoramenti, amicizie bizzarre e tentativi di “evadere” da Liberec attraverso le nuvole con una mongolfiera, si rimane comunque stupefatti dal sub-testo storico che Jaroslav Rudiš riesce a tratteggiare.
Seppur ambientato agli inizi del 2000, il romanzo e i suoi personaggi sono gli eredi della Seconda guerra mondiale e della Primavera di Praga del 1968, così gli “attori secondari” del testo sono contornati da un’aurea diversa, ancorata a un passato sofferto e difficile, così radicale da confondere ancora le loro vite.
Segreti, innocenti bugie, nuvole nere e gocce di nostalgia, la Repubblica Ceca delle nuvole di Fleischman sembra un posto magico, utile a quei sognatori che agognano un posto lontano dalla rigida realtà. Invece è la patria del disincanto, la fine dell’illusione e la resa dei conti con la Storia (S maiuscola, signori), il dramma esistenziale di ogni sfortunato di quella terra. Ma la vera magia è scoprire che il disincanto del cielo e delle nuvole è una storia bellissima e ci insegna ad essere noi stessi senza rimanere intrappolati nei nostri sogni. Basta ascoltare il canto della rugiada.
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