Ho scoperto di essere morto – recensione di Anna Cavestri
Dopo una lite il protagonista del romanzo riceve una telefonata:”Chiamo dal quinto Distretto di Polizia….” “E?” “E c’è che abbiamo un verbale del 2008 a suo nome…Lei sa di cosa si tratta? “Non ne ho idea “ “ Il verbale che ho qui notifica il suo decesso…qui c’è scritto che lei è morto “ Così viene comunicata la notizia della propria scomparsa. Di più: questa sua dipartita è cosa ormai datata e possiede tutta la veridicità dell’atto certificato. Il fatto, anomalo in sé, richiede una spiegazione che sia plausibile e convincente: anche perché chi scompare, oltre a essere il protagonista del romanzo, porta anche il nome del suo autore: Joao Paulo Cuenca. Per risolvere questo mistero il protagonista si muove attraverso Rio de Janeiro, tra le macerie di quella che la città fu, nuove costruzioni in vista delle Olimpiadi, salotti e feste di giornalisti, scrittori, teatranti, attrici di soap opera, favelas guardiane di ogni orizzonte, arroccate sulle colline, alla ricerca della donna che ha denunciato la sua morte.Procedendo nella narrazione ci si accorge che il mistero diventa sempre più fitto, ci si perde di frequente, insieme all’io narrante, che oltre a quella della sua morte ha pure l’angoscia di non riuscire a finire il suo romanzo, il blocco della pagina bianca. Personaggio fittizio e reale, il J.P. Cuenca accompagna il lettore attraverso i cantieri aperti della metropoli carioca, è un essere vivo, diretto e feroce. Anche verso la storia del proprio Paese dal quale spesso vola via “Questo posto è un cazzo di Poltergeist. Ogni volta che c’è un cantiere qui nel Centro, e ne avete aperti un sacco a causa delle Olimpiadi, si trovano spessissimo cadaveri e ossa spezzate, come nel Cimitero dei Nuovi Neri nella zona del porto.” Questa dichiarata morte, non porta di fatto all’esito più scontato, ossia la scelta di scrivere un thriller o un noir, nonostante l’ambientazione sia nelle atmosfere dense di una Rio de Janeiro in fermento , vivissima di voci e corpi giovani in perenne movimento – che ben si presterebbe alle vicende poliziesche e ne occupa invece giusto le prime pagine. La comunicazione della sua scomparsa gli impone di intraprendere un viaggio in cerca di chiarezza: è solo attraverso la sua” morte” che potrà (ri)costruire la propria identità come uomo e come scrittore. Inizia quindi un suo pellegrinaggio che lo porterà attraverso corridoi di archivi metallici” polverosi antri di enti assortiti di ripetuto squallore, “Tutti quegli archivi, che circondavano tavoli e sedie lasciando poche pareti a vista, contenevano racconti il cui ingrediente comune erano i dissapori tra gli esseri umani della mia città”. Tanto più cha la ricerca del sé dipartito deve tener presente la vita che va avanti, con gli impegni del presente. All’epoca di questa morte presunta lui era in Italia a presentare la traduzione italiana del suo libro “Un giorno Mastroianni”. È un rompicapo che lo perseguita e dal quale tenta di fuggire smodatamente. È c’è pure un romanzo che deve finire. Una scrittura avvincente e molto interessante quella di Cuenca, una storia intrigante che fa tenere l’attenzione fino alla fine.