Due romanzi pubblicati di recente – Un sogno cosi di Paolo Colombo (Feltrinelli) e Il cimitero delle macchine di Sergio La Chiusa (Miraggi, pagg. 392, € 26) – forniscono l’occasione per comprendere fino a che punto la città di Milano continui a trovarsi al centro del dibattito sulla modernità nella sue forme utopiche e distopiche. Sara certo un caso, ma in entrambi la vicenda narrata comincia dal Giambellino, un quartiere già raccontato dalla penna trasognata e dialettale di Giovanni Testori e dove negli anni 50 sarebbe stato facile incontrare il Cerutti Gino, l’inconsapevole eroe della canzone di Gaber, un po’ ganzo e un po’ tonto, sicuramente dentro il clima di un’epoca che faceva delle periferie il luogo di maggiore impatto antropologico.
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Ogni medaglia però ha sempre due facce e qualcosa ci dice che anche il romanzo di Sergio La Chiusa contiene una profonda verità, tanto più necessaria se si considera che con il suo libro siamo arrivati ai titoli di coda del Novecento e quelle stesse macchine, intorno alle quali era stata costruita la nuova, indistruttibile civiltà, adesso sono finite nel grande cimitero del postmoderno, corrose dalla ruggine, simili a oggetti di un sogno infranto perché maldestro. È questa l’impressione che si ricava seguendo l’itinerario allucinato di un personaggio che si fa chiamare Ulisse (mai nome poteva calzare meglio) strizzando l’occhio a quell’altro Ulisse che aveva inaugurato il precedente secolo percorrendo le strade di Dublino), sicché balza subito evidente che la corrosività con cui l’autore affronta la stagione del disincanto, diciamo anche l’approccio apocalittico della sua prosa labirintica e canzonatoria provoca un segnale di sfiducia nei confronti di quel modo d’essere occidentali senza regole e senza morale, il capitalismo darwiniano (e non quello vegetale, come invece scriverebbe Luigino Bruni), dove le società sono rimaste intrappolate da ciò che appariva sogno e invece si è poi tradotto in incubo. Siamo già nel post-occidente. Seguire le orme di questo
Ulisse nella città che si fregiava d’essere capitale del Paese, frenetica e produttiva ma pur sempre capitale morale, equivale a compiere una specie di via Crucis nella disperazione degli ultimi, degli invisibili, dei rimossi, quelli che sperimentano il risveglio senza futuro all’alba del day after, quando Milano ha perduto l’immagine scintillante della moda e, guardandosi allo specchio, si e scoperta somigliante a un immenso cantiere, dove però non si costruisce più niente. A un certo punto del suo vagare questo Ulisse si imbatte nella statua malridotta di un angelo e si chiede che senso ha il suo apparire in un angolo remoto del Cimitero Monumentale, tra le tombe delle grandi famiglie imprenditoriali, i Falck, i Pirelli, i Campari, quelle del boom. E si chiede: «L’angelo della storia, non più in volo, ma esautorato, chiuso in un ripostiglio e decollato, così che non registri nemmeno le rovine che produce e s’accumulano al suo passaggio?» Chissà quale commento avrebbe fatto Walter Benjamin sentendosi tirato in causa.
Con il nome che si ritrova, Ulisse Corsini non può che essere il degno erede di quella tradizione modernista che comprende il Leopold Bloom dello Ulysses joyciano e lo Zeno Cosini della Coscienza di Zeno di Italo Svevo. Nel Cimitero delle macchine di Sergio La Chiusa, tuttavia, si sente anche il peso del secolo che ormai ci separa da questi testi canonici del primo Novecento europeo, cui bisogna perlomeno aggiungere il riferimento kafkiano contenuto nel nome di un altro personaggio, il dottor Klammermann (dal Klamm del Castello). Nel frattempo sono intervenuti, tra gli altri, Buzzati e soprattutto Bianciardi – per la Vita agra, rispetto all’ambientazione milanese del romanzo, dove Milano non è “capitale morale” del Paese, bensì il luogo fantasmagorico e al tempo stesso crudo del titolo: un “cimitero delle macchine” –, come ha notato, tra gli altri Gianni Barone, parlando di un testo che, effettivamente, «gronda letterarietà da ogni pagina».
Questo non significa, d’altra parte, che la scrittura di Sergio La Chiusa manifesti strette affiliazioni epigoniche ai suoi modelli, risultando invece libera dagli stilemi più marcati del modernismo e risolvendosi, anzi, in una pagina che è spesso molto nitida, per quanto costantemente attraversata da potenti tensioni linguistiche. Si tratta, infatti, di una scrittura che tende verso l’orizzonte del nuovo Grande Romanzo Italiano, ma all’interno di una torsione della lingua che rifugge le banalità formali di molta altra prosa, per così dire, “mainstream”, per assestarsi in una zona superficialmente pacificata e in realtà foriera di continue deviazioni, trasgressioni, illuminazioni. Si sta dicendo, in altre parole, di un disegno e di un controllo autoriale già visibile nelle ultime pubblicazioni di La Chiusa – I Pellicani (Miraggi, 2020) e Madre nel cassetto (Industria & Letteratura, 2023) – e che di certo attiene a un progetto autoriale di lunga data, visto che l’ideazione dell’opera viene ricondotta, nelle note finali, al biennio 2003/2005.
Rispetto al precedente libro per Miraggi, Giorgio Mascitelli ha poi osservato, nella sua recensione apparsa su “Nazione Indiana”, che «se ne I Pellicani ci troviamo in una generica periferia urbana, in questo romanzo l’azione si svolge a Milano, che nell’immaginario mediatico nazionale è la città patinata e nuova di zecca per eccellenza». Anche di Milano, in realtà, sono esplorate zone periferiche e marginali – quasi mai rintracciabili con certezza a livello topografico, o sociologico, nella realtà della città lombarda – che finiscono per intaccare la patinatura di capitale “morale”, “degli affari” o “della moda”.
Una di queste è il cimitero delle macchine che dà il titolo al libro e che compare con espressionistica forza in apertura della seconda parte del romanzo come una corte dei miracoli anarcoide e incendiaria nella quale spicca il personaggio di Lazzaro Lanza – figura borderline (e dunque delirante e al tempo stesso umanissima, per nulla caricaturale) del militante rivoluzionario. È sul medesimo livello che resta una possibile interpretazione della politica rappresentata e agita nel testo, con implicazioni più vicine a una sorta di pessimismo umanista che a un vero e proprio nichilismo. Le traiettorie di Ulisse e Lazzaro si sovrappongono per buona parte della seconda sezione, con almeno una scena che si imprime vividamente nell’immaginazione, almeno nella nostra lettura, ovvero con la riproposizione milanese di un novello Cristo a dorso d’asino che replica l’Entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889 di James Ensor.
Capolavoro pre-espressionista, quest’ultimo, la cui presenza para-ecfrastica rinforza le torsioni espressionistiche del linguaggio che si agitano sotto la superficie della pagina, assai ripulita, di La Chiusa. Non è questa, tuttavia, la sola immagine che si può consegnare, in chiusura, del libro: di Ulisse Corsini restano memorabili le disavventure condominiali, sessuali e sanitarie, a completare la figura di un personaggio che a un certo punto, in un passaggio carico non solo di letterarietà ma anche di metaletteratura, viene definito “posticcio e inattendibile”, ma che mostra, proprio per questo, mille sfaccettature (spesso molto materiali, e anche triviali). Ulisse Corsini è senza dubbio un “fuggiasco assoluto”, come ha giustamente osservato Mascitelli, ma sempre umano, umanissimo, al punto da contagiare chi legge con l’insopprimibile desolazione che è tanto sua quanto del cimitero delle macchine che, oggi, si nasconde in ogni nostra città.
Il brano – il cui video è girato al celebre Plastic di Milano – è tratto da ‘L’ora delle distanze’ il libro e disco che vede la collaborazione tra i due artisti.
Un salto temporale. Seguito da un tuffo vertiginoso in un mondo elettrico e caleidoscopico. Sono le sensazioni che restituisce La caduta, il nuovo singolo che, a dirla tutta, nuovo non è ma inedito sì, di Lory Muratti e Andy dei Bluvertigo, mentre ci catapulta in un universo sospeso nel tempo e nello spazio. Un progetto visivo, nato due decenni fa e che ancora oggi pulsa con immutata potenza, viene ora arricchito da una nuova tappa con il videoclip “lungo vent’anni” dopo che era stato messo in letargo per così tanto tempo. Non per consunzione, ma perché è come se aspettasse il momento giusto per risorgere.
A dare il via al revival visionario L’ora delle distanze, il libro pubblicato dal duo lo scorso settembre (Miraggi Edizioni), che ha riportato in superficie quelle canzoni e quelle immagini che sembravano evaporate. Non era così. È bastato che tornassero a guardarsi dentro: «E lì, nelle nostre profondità – raccontano i due artisti – che si annidano le forze e la voglia di continuare controcorrente. Farlo tendendo una mano a chi ci è accanto, ascoltando e condividendo il percorso, è più facile e ha un senso ancora più profondo». Infatti il romanzo era una sorta di porta d’ingresso per una “contro-realtà” affollata di personaggi post-punk, glamour e rock’n’roll, anime ribelli e colorate che si muovono come ombre danzanti tra le opere fluo create dallo stesso Andy. In perfetto stile Muratti & Bluvertigo, L’ora delle distanze è anche un vinile 45 giri (Riff Records/the house of love), per chi vive di musica ancora in parte tattile e dalle distorsioni vintage, e poter «immaginare un presente dove i sogni e il colore resistono contro una realtà sempre più corrotta e in bianco e nero».
Per celebrare il ritorno, Muratti e Andy hanno scelto un luogo simbolo della notte milanese come il Plastic, in occasione della one-night Popstarz Memorabilia. Qui, in uno spazio-tempo che si avvolge su se stesso, vecchie e nuove immagini si mescolano, creando una realtà alternativa, e dialogano con i riverberi delle immagini di loro stessi nel passato, in un affascinante gioco di specchi. Nel videoclip li accompagnano la performer Xena Zupanic e il Principe Maurice, figure tanto enigmatiche quanto potenti. Presenze che, come spettri dall’aria nostalgica e abbacinante, popolano anche le pagine del libro. Il risultato? Una festa per gli occhi e la mente. Da usare con cautela, però, il rischio è di non riuscire più a tornare nella realtà. Non a caso, già il romanzo ci metteva in guardia: «Le voci arrivano sempre più chiare. Non sono più solo e proseguo verso nuovi incontri e nuove speranze che tengono impegnate la testa e le mani con le quali mi diverto a disegnare per aria. Adesso che ricordo di saperlo fare, non ho più alcuna intenzione di smettere. Ci sono notti in cui gli oggetti cadono e questa è decisamente una di quelle».
Il brano parla di presenze che abitano nelle profondità della mente del protagonista e di tutti coloro che vorranno lasciarsi cadere in un vortice luminoso
La Cadutaè il nuovo singolo di Lory Muratti & Andy Bluvertigo. Il brano è incluso nel 45 giri L’ora delle distanze stampato su vinile colorato e pubblicato in Ottobre da Riff Records / the house of love.Disponibile per l’acquisto anche in bundle con il romanzo scritto da Muratti e illustrato da Andy: https://linktr.ee/muratti_andy Dopo la pubblicazione del romanzo illustrato L’ora delle distanze” (Miraggi Edizioni) e del primo omonimo singolo, Lory Muratti & Andy Bluvertigo proseguono il loro percorso condiviso rendendo disponibileLa Caduta.
La cadutaci porta nel cuore delleDistanzeovvero in quella “contro-realtà” fatta di personaggi post-punk, glamour e rock’n’roll, coloratissimi, irriverenti e imprevedibili raccontati fra le pagine del libro.Figure che diventano specchi di quello che siamo. Presenze che abitano nelle profondità della mente del protagonista e di tutti coloro che vorranno lasciarsi cadere in un vortice luminoso perché, come recita il testo della canzone: “Se le cose cadono, non è molto strano che io abbia in mente te che ti sai rialzare”.
Lory Muratti e Andy Bluvertigo tornano a parlare di speranza dando voce al sogno in risposta a coloro che in questo tempo ci vorrebbere sconfitti, caduti a terra invece che dentro noi stessi, alla ricerca del coraggio per rialzarsi sempre: “E lì, nelle nostre profondità – raccontano i due artisti – che si annidano le forze e la voglia di continuare contro-corrente. Farlo tendendo una mano a chi ci è accanto, ascoltando e condividendo il percorso, è più facile e ha un senso ancora più profondo”. Un progetto fuori dagli schemi, nato dalla voglia di“immaginare un presente dove i sogni e il colore resistono contro una realtà sempre più corrotta e in bianco e nero”. L’ora delle distanze è un viaggio psychofantasy, dark e pop al contempo in cui musica, letteratura e pittura si fondono. Un libro scritto da Lory Muratti, ispirato e illustrato dai quadri visionari di Andy e due brani realizzati a quattro mani che compongono il doppio Lato A dell’omonimo 45 giri. Un lavoro interdisciplinare che si appresta a diventare anche un evento live in equilibrio tra concerto, teatro, installazione e Dj set. Un’esperienza multimediale pensata per coinvolgere più sensi e per essere vissuta in profondità: “Le voci arrivano sempre più chiare. Non sono più solo e proseguo verso nuovi incontri e nuove speranze che tengono impegnate la testa e le mani con le quali mi diverto a disegnare per aria. Adesso che ricordo di saperlo fare, non ho più alcuna intenzione di smettere. Ci sono notti in cui gli oggetti cadono e questa è decisamente una di quelle”.
Un progetto multi-format che esprime la voglia dei protagonisti di esprimersi con più mezzi. “L’ora delle distanze” (Riff Records / the house of love) ispirato all’omonimo romanzo illustrato (Miraggi Edizioni) uscito lo scorso settembre (disponibile per acquisto qui e qui) è il proseguimento in musica della pubblicazione dell’omonimo romanzo illustrato. A cantare sono Lory Muratti e Andy Bluvertigo in un mondo in bianco e nero raccontandoci di una fuga-rifugio verso la dimensione parallela delle “Distanze”.
“L’ora delle distanze” è un viaggio psychofantasy, dark e pop al contempo in cui musica, letteratura e pittura si fondono. Un libro scritto da Lory Muratti, ispirato e illustrato dai quadri visionari di Andy e due brani realizzati a quattro mani che compongono il doppio Lato A dell’omonimo 45 giri.
Il lato B del singolo, “La caduta” (in uscita sulle piattaforme digitali l’8 novembre 2024) ci porta nel cuore di quella “contro-realtà” fatta di personaggi post-punk, glamour e rock’n’roll, coloratissimi, irriverenti e imprevedibili. Figure che diventano specchi di quello che siamo. Presenze che abitano nelle profondità della mente del protagonista e di tutti coloro che vorranno lasciarsi cadere in un vortice luminoso perché, come recita il testo della canzone: “Se le cose cadono, non è molto strano che io abbia in mente te che ti sai rialzare”. Un progetto fuori dagli schemi, nato dalla voglia di “immaginare un presente dove i sogni e il colore resistono contro una realtà sempre più corrotta e in bianco e nero”.
Un lavoro interdisciplinare che si appresta a diventare anche un evento live in equilibrio tra concerto, teatro, installazione e Dj set. Un’esperienza multimediale pensata per coinvolgere più sensi e per essere vissuta in profondità. I due autori raccontano: “Le voci arrivano sempre più chiare. Non sono più solo e proseguo verso nuovi incontri e nuove speranze che tengono impegnate la testa e le mani con le quali mi diverto a disegnare per aria. Adesso che ricordo di saperlo fare, non ho più alcuna intenzione di smettere. Ci sono notti in cui gli oggetti cadono e questa è decisamente una di quelle.”
Lory Muratti è scrittore, musicista, regista, attore e dj. Nel 2005 pubblica il romanzo d’esordio “Valido per due” a cui fa seguito il libro+disco “Hotel Lamemoria” (2007) entrambi editi sotto lo pseudonimo “Tibe”. Musica e narrativa continuano a incontrarsi nelle sue opere con i successivi “Scintilla” (2013), “Lettere da Altrove” (2020) e “Torno per dirvi tutto” (2022). Sul fronte visivo si occupa di video-arte e videoclip musicali. Le sue installazioni come sound designer lo hanno portato fino a “Luminale Frankfurt 2010” e “Biennale di Venezia 2011”. Sviluppa i suoi progetti all’interno del laboratorio creativo e casa di produzione “the house of love” che dirige in un ex ricovero barche affacciato sulle sponde del Lago di Monate. Andy è musicista, pittore, dj e produttore. Nei primi anni ’90 fonda con Morgan i “Bluvertigo” con i quali pubblica tre album, un disco live (MTV Storytellers) e una raccolta di successi conquistando un “MTV Music Awards” e rendendosi protagonista di numerosi tour, cinque partecipazioni al Festival di Sanremo e altrettante al concerto del Primo Maggio. Opinionista televisivo, dj nei club e nei festival di tutta Italia, produttore di band emergenti, è da sempre attratto dalle arti figurative. L’originale rappresentazione della contemporaneità attraverso l’uso del colore fluorescente, centro vitale della sua diversificata produzione artistica, gli ha consentito di raggiungere un successo internazionale valendogli collaborazioni con marchi quali Coveri, Carlsberg, Iceberg, Redbull, Fiat, Huawei e molti altri.
L’ora delle distanze è un progetto ambizioso e visionario che fonde musica, arte visiva e letteratura in un racconto unico. Nato dalla collaborazione tra Andy e Lory Muratti, il progetto esplora tematiche di evasione, decadenza e resistenza creativa, e diventa un manifesto che riscrive le regole dell’arte contemporanea, strizzando l’occhio all’immaginario underground. Attraverso un mix di linguaggi che spaziano dal dark al pop, i due artisti hanno creato un’opera che invita il pubblico a immergersi in un universo surreale, dove sogni e colori cercano di sfuggire a una realtà corrotta e monocromatica. In questa intervista, Andy e Lory ci raccontano il percorso dietro la creazione, e il potere trasformativo dell’arte e della musica nella loro visione del mondo.
Il vostro progetto è descritto come un’opera che combina musica, letteratura e arte visiva. Come avete sviluppato l’idea di unire questi tre linguaggi in un unico racconto? Andy: L’idea è nata proprio dalla condivisione dei tre linguaggi. Mi sono sempre occupato di musica e pittura, Lory di musica e scrittura. Unendo le forze abbiamo creato la sinergia dentro la quale ognuno ha potuto ottimizzare le proprie risorse. Lory: Credo si possa dire che il nostro linguaggio è per sua natura “multidisciplinare”. Quando ci confrontiamo non lo facciamo solo da musicisti o aprendo un dialogo tra scrittore e pittore. Ci siamo sempre sentiti partecipi di un immaginario condiviso. Per questo è stato del tutto naturale dare vita a un progetto che ha più volti e più anime, ognuna delle quali rappresenta una parte di noi.
Nel comunicato stampa si parla di un presente in cui sogni e colori resistono a una realtà corrotta e in bianco e nero. Quale significato assume questo contrasto nel vostro progetto? Andy: Sogni e colori nella dimensione delle “Distanze” narrata nel libro rappresenta una possibilità di risoluzione, la necessità di mettere a fuoco il disagio ingrigito al quale crediamo sia possibile dare nuova forma e colore. Lory: Il mondo delle “Distanze” rappresenta per il protagonista la fuga da una realtà divenuta insostenibile, ma anche la cura, il rimedio, la possibilità di mantenere vivo il sogno viaggiando in profondità per poi tornare al bianco e nero e provare a invertire la rotta. Infondere nuovo colore è la metafora che abbiamo voluto usare per rappresentare la speranza.
La storia di “L’ora delle distanze” si svolge in una “contro-realtà” popolata da personaggi post-punk, glamour e rock’n’roll. Come avete costruito questo universo surreale e qual è il suo rapporto con la nostra realtà? Andy: Ho sempre rappresentato all’interno dei miei quadri una serie di personaggi che mi hanno ispirato. Dagli amici della vita reale ai grandi miti dello spettacolo. Lory ha articolato la storia dando a loro uno specifico ruolo di svolgimento. Lory: Come dicevo, le “Distanze” sono la cura, il rifugio salvifico e come tali fanno da contraltare al piano di realtà. I personaggi che li popolano, come dice Andy, sono figure reali che, traslate in una dimensione parallela, diventano i perfetti custodi e animatori di quel rifugio psichedelico.
Il romanzo è definito un “viaggio psychofantasy, dark e pop”. Come avete bilanciato questi elementi nei testi e nelle illustrazioni per mantenere coerenza narrativa e visiva? Andy: Il romanzo parla di un viaggio lisergico che nasce grazie a una trasfusione di musica e colore nelle vene del protagonista. La realtà in bianco e nero, decadente e corrotta, è in contrappunto con la dimensione fluorescente dei dipinti. Le illustrazioni esistevano già, i testi hanno permesso la connessione del viaggio. Lory: Come avviene nel nostro “mescolare arti e mestieri” allo stesso modo le suggestioni si influenzano e bilanciano reciprocamente. I dipinti di Andy, diventati illustrazioni nel libro, sono lo scenario dentro il quale si svolge la storia e dove i personaggi da lui immaginati hanno preso vita nella mia narrazione. I toni dark, pop, psycho ed ogni altra sfumatura rintracciabile nel libro (e nei testi delle canzoni che abbiamo realizzato in parallelo) non sono altro che la naturale rappresentazione dell’essenza di quei personaggi e del modo in cui si muovono nelle Distanze o, nel caso del protagonista “Fluon”, tra Distanze e realtà.
Nel libro emergono temi come il desiderio di evasione, la decadenza e la lotta contro il vuoto interiore. Quali esperienze personali o osservazioni del mondo vi hanno ispirato a esplorare queste tematiche? Andy: Più che evasione, penso che sia maggiormente presente il desiderio di immersione e riflessione su ciò che avviene dentro di noi, utile a trasformare ciò che avviene fuori da noi. Lory: Sono perfettamente d’accordo nel dire che il viaggio è dentro noi stessi. È da lì che abbiamo deciso di partire per provare a rileggere un presente che, in molti modi, non ci rappresenta e non rispecchia nemmeno gli ideali per i quali abbiamo sempre vissuto e lottato. Ricostruire immaginando piuttosto che fuggire è la strada che abbiamo deciso di condividere con chi desidera avvicinarsi a questo lavoro.
Il videoclip del singolo è stato girato a San Diego e mostra una realtà colpita dall’indigenza. Come si collega questa scelta visiva con i temi trattati nel libro? Andy: A mio parere gli Stati Uniti rappresentano la forma più grave di avvilimento dell’essere umano. La disuguaglianza determinata dal denaro e dalla continua menzogna sociale ”pseudo democrazia” o “sogni da inseguire”, diventa uno spaccato perfetto per la narrazione. Lory: È quella una realtà che ci sta a cuore raccontare e che basta osservare da vicino (anche incontrando e parlando con chi la vive) per rendersi conto che è più vicina e “possibile” di quello che siamo portati a immaginare. Molte di quelle persone vivono le nostre stesse lotte quotidiane e questo fa comprendere quanto il contesto, certe scelte, ma soprattutto la mancanza di supporto da ciò che ti circonda, possa influire sulla tua vita. È stato il punto di partenza per immaginare il bianco e nero in cui si apre il romanzo.
Il personaggio protagonista sembra trovarsi in una costante ricerca di identità e riconciliazione tra il sé interiore e il mondo esterno. Quanto di voi stessi avete riversato nel protagonista? Andy: Per quel che mi riguarda c’è un parallelo quotidiano tra il protagonista del romanzo e quello che vivo. A tratti sembra un’autobiografia psicotica. Lory: Ho chiaramente pensato molto a Andy scrivendo di Fluon, ma alla fine non vi è narrazione che non venga influenzata anche dallo stato d’animo e dalla storia personale di chi scrive. Penso che il tratto del protagonista che riguarda di più entrambi sia la sua tenacia, il desiderio di tenere vivo il sogno.
Il progetto include anche un’esperienza live che mescola concerto, teatro, installazione e DJ set. Come immaginate che questo approccio multimediale arricchisca la fruizione del pubblico? Andy: Stiamo per costruire uno spettacolo multidisciplinare perché ci rappresenta, perché siamo creativi in diverse discipline. Penso che sia un modo interessante e divertente di avvicinare il pubblico al romanzo. A mio parere spesso le presentazioni di libri, salvo rari casi, sono avvolte da un alone di noia che non vorrei mai nel nostro caso. Lory: Ho sempre amato far dialogare musica e narrativa e creare spettacoli a cavallo tra teatro e concerto. Con questo lavoro condiviso credo ci spingeremo anche oltre per avventurarci, assieme al pubblico, nel cuore della narrazione.Il libro è ricco di immagini potenti, tra cui il riferimento al “vento pieno di nuova speranza” e alle “strade smarrite nei colori”. Come avete utilizzato l’immaginazione per costruire questi paesaggi emotivi e visivi? Andy: Durante le esperienze meditative o le pratiche di alterazioni dello stato di coscienza si vive spesso la sensazione di essere avvolti da un vento forte o da strade che, a un certo punto, non hanno più una direzione precisa e si perdono nei colori. Oltre all’immaginazione c’è quindi un lato esperienziale che mi permette di riconoscermi all’interno della narrazione di Lory. Lory: Nel momento in cui si è compartecipi dello stesso immaginario, certe suggestioni affiorano in autonomia alla coscienza. Personalmente quando inizio a scrivere so qual è la strada da percorrere (la scansione cronologica degli eventi e il divenire narrativo), ma non ho la più pallida idea di quali immagini mi raggiungeranno, adatte a descrivere quel flusso di eventi che diventa inevitabilmente anche un flusso di coscienza.
Guardando al futuro, vedete “L’ora delle distanze” come un progetto isolato o come il punto di partenza per ulteriori collaborazioni artistiche tra voi? Andy: Vedo il progetto come il risultato dell’abbattimento dei tempi tecnici e dei problemi aggiunti. Un altro modo per quel che mi riguarda di concretizzare le idee. L’entusiasmo dell’editore, del discografico e la complicità con Lory mi fa sognare una continuazione. Lory: Ritrovarsi a condividere un percorso in modo così spontaneo, alimentando e arricchendo vicendevolmente il risultato finale è cosa preziosa e ha una forza difficile da spiegare a parole. Innescare questo tipo di sinergie, per mia esperienza, è cosa piuttosto rara e mi fa quindi auspicare che questo progetto sia il primo capitolo di un lungo viaggio condiviso.
Il 17 settembre è uscito in libreria, in radio e in digitale “L’ora delle distanze”, romanzo edito da Miraggi Edizioni, ma anche titolo del singolo pubblicato da Riff Records. Gli artefici di questo splendido lavoro che unisce letteratura, pittura e musica, sono Lory Muratti e Andy dei Bluvertigo. Un progetto sui generis molto affascinante, “un viaggio psychofantasy, dark e pop”. Lory Muratti ha scritto il libro ispirandosi ai quadri visionari di Andy, e insieme i due artisti hanno scritto e arrangiato il singolo omonimo. Un lavoro molto potente, di cui abbiamo parlato con i diretti interessati per avere ulteriori approfondimenti.
Ciao Lory, ciao Andy, iniziamo parlando di voi due: vi conoscete da tanto tempo? So che nel 2007 Andy partecipò con un assolo di sax al disco “Hotel Lamemoria” di Tibe, il nome che usava Lory a quel tempo.
ANDY: Ci conosciamo da molto prima, intorno agli anni 2000. Il soggetto del libro nasce in quegli anni e poi è stato sviluppato nel tempo. Ho iniziato a frequentare Lory grazie agli H Park: sviluppavamo contemporaneamente il discorso di casa-laboratorio, ovvero posti condivisi in cui ognuno, con la propria competenza e la propria passione, poteva unire le forze e creare una sinergia: artisti, musicisti, fonici, allestitori, videomaker, ecc. L’idea era quella di lavorare in collettivo, io con Reset House e successivamente con il laboratorio Flu-On, e Lory con gli H Park. Ci siamo subito trovati in linea come modo di vivere e di concepire la creatività, ed è bello ritrovarsi ora da vecchi ed essere ancora più entusiasti di questo, perché finalmente, unendo le forze, è venuto fuori un libro vero e proprio, stampato, cartaceo. È un bellissimo momento di condivisione.
La sinergia tra voi due si sente molto. Il protagonista del libro si divide a metà: di giorno è il Pusher del Colore, in un mondo in bianco e nero, mentre di notte diventa Fluon. Sembra un vostro alter-ego.
ANDY: Sì, con tutte le nostre psicosi. A tratti sembra un’autobiografia, io mi sento molto rappresentato all’interno del racconto, non è solo l’aver fatto i dipinti che hanno mosso il decorso narrativo.
LORY: L’idea era proprio di raccontare di questo alter-ego di Andy, che lui aveva immaginato dando un nome al personaggio, ma anche al suo laboratorio in quel periodo, Flu-On appunto. Poi è chiaro che in ogni narrazione l’autore finisce col mettere degli aspetti del sé. Fra l’inizio del libro, il mondo in bianco e nero, e l’immersione nel colore nel mondo delle Distanze, quindi tra il Pusher del Colore e il Fluon notturno nella sua massima manifestazione, c’è un po’ di legame con quello che noi siamo. Io mi riconosco molto nell’incipit del libro, dove emerge un po’ di più la mia sensibilità rispetto alle cose che mi circondano e il modo che ho di guardarle. Ma nella parte in cui viene descritta la trasfusione del colore che porta all’immersione nel mondo delle Distanze, dove compare Fluon nella sua versione più intima, mi sono calato nei panni di Andy-personaggio, dell’Andy in una sorta di Cartoonia, cioè quel luogo-non luogo in cui io ho immaginato di calarmi i suoi dipinti per far muovere i personaggi che lui disegna come se fossi nei suoi panni. In questo processo c’è stata una forma di simpatica schizofrenia: io sono uscito un po’ da me per entrare in lui e contestualmente i suoi personaggi sono diventati simbolicamente delle marionette da far muovere per me in maniera molto stimolante.
Il libro inizia con una frase potentissima, che è anche il primo verso del brano “L’ora delle Distanze”, ovvero “un mondo annoiato dai sogni è un mondo da far saltare per aria”. Mi trovo d’accordo con questa affermazione, mi reputo anche io una sognatrice. Andando avanti, i versi dicono “noi invece, stupidi idioti, ci siamo rimessi di nuovo al lavoro […]”: gli “stupidi idioti” sarebbero i sognatori?
LORY: Ovviamente è provocatorio, non c’è un giudizio, è un darsi dello stupido da solo, perché ci si ostina a portare avanti una missione matta, della quale non si può fare a meno. Anche se il mondo attorno è completamente corrotto verso altre direzioni, lo stupido idiota si mette di nuovo al lavoro, anche se non lo pagano, va avanti imperterrito.
ANDY: In realtà il sogno e la visione sovrastano il lamento, molto spesso siamo contornati da una sorta di malcontento, ma nella consapevolezza di questo profondo grigiore o desolatezza, noi ci sentiamo colorati, non ci risuona il lamento.
LORY: Siamo consapevoli che le cose non vanno bene, ma senza soccombere a questa evidenza, la descriviamo per andare avanti. Anche il videoclip ha questo tipo di intenzione: non vuole essere pesante nell’accezione del dover fare i depressi perché qualcosa non va per il verso giusto, è prendere coscienza di questo, per poter andare comunque avanti. Non è un’accusa fine a se stessa.
ANDY: È il primo step del 45 giri, indica l’inizio del libro, per questo il video è prevalentemente in bianco e nero. L’altro lato del 45 giri con l’altra canzone “La caduta” sarà invece l’immersione in questa Cartoonia che io ho sempre cercato di visualizzare nel mio modo di dipingere. Non faccio parte di quegli artisti di arte contemporanea con un concetto profondo, non faccio arte concettuale, faccio pop art. Ho sempre definito la mia pittura come una realtà parallela a Cartoonia, e con la narrazione del libro Lory è riuscito a trasformare il percorso pittorico, anche con dipinti che avevo dimenticato di aver fatto, e ha dato loro un senso, ha creato il fil rouge di una vicenda che si muove all’interno dei quadri.
È disponibile in libreria, in radio e disponibile in digitale “L’ORA DELLE DISTANZE”, il romanzo edito da Miraggi Edizioni e l’omonimo singolo, pubblicato da Riff Records: https://linktr.ee/muratti_andy È online anche il videoclip del brano visibile al seguente link:
LORY MURATTI & ANDY DEI BLUVERTIGO tornano assieme sulle scene con un libro illustrato e un 45 giri che compongono un progetto fuori dagli schemi nato dalla voglia di “immaginare un presente dove i sogni e il colore resistono contro una realtà sempre più corrotta e in bianco e nero”. “L’ora delle distanze” è un viaggio psychofantasy, dark e pop al contempo in cui musica, letteratura e pittura si fondono. Un libro scritto da Lory Muratti, ispirato e illustrato dai quadri visionari di Andy che è anche un disco: un 45 giri (disponibile da Ottobre su vinile colorato) anticipato dal primo omonimo singolo. Il testo del brano è direttamente estrapolato dalle pagine del libro e riecheggia nelle immagini del videoclip, diretto da Lory Muratti e girato a San Diego. È lì che i due artisti hanno voluto raccogliere un documento visivo che racconta di una nuova, dilagante indigenza. Come loro stessi raccontano: “Ci siamo mossi fra strade che hanno smarrito i colori e si sono riempite di persone che non hanno più nulla. Lì abbiamo immaginato una realtà parallela, un mondo surreale dove soffia un vento pieno di nuova speranza”. Partendo da qui, Muratti e Andy si sono messi idealmente in viaggio verso “Le distanze”, luogo-non luogo in cui si svolge la storia che hanno raccontato, con parole, musica e visioni, tra le pagine del libro e nel singolo che ne accompagna l’uscita. Prende così vita un avvincente racconto ambientato in una “contro-realtà” fatta di
personaggi post-punk, glamour e rock’n’roll, coloratissimi, irriverenti e imprevedibili. Un’opera inconsueta nata dentro un immaginario che i due hanno a lungo condiviso fino a trovare il momento adatto per dare voce a un comune sentire. Un progetto che si appresta a diventare anche un evento live in equilibrio tra concerto, teatro, installazione e Dj set. Un’esperienza multimediale pensata per coinvolgere più sensi e per essere vissuta in profondità.
Lory Muratti è scrittore, musicista, regista, attore e dj. Nel 2005 pubblica il romanzo d’esordio “Valido per due” a cui fa seguito il libro+disco “Hotel Lamemoria” (2007) entrambi editi sotto lo pseudonimo “Tibe”. Musica e narrativa continuano a incontrarsi nelle sue opere con i successivi “Scintilla” (2013), “Lettere da Altrove” (2020) e “Torno per dirvi tutto” (2022). Sul fronte visivo si occupa di video-arte e videoclip musicali. Le sue installazioni come sound designer lo hanno portato fino a “Luminale Frankfurt 2010” e “Biennale di Venezia 2011”. Sviluppa i suoi progetti all’interno del laboratorio creativo e casa di produzione “the house of love” che dirige in un ex ricovero barche affacciato sulle sponde del Lago di Monate. Andy è musicista, pittore, dj e produttore. Nei primi anni ’90 fonda con Morgan i “Bluvertigo” con i quali pubblica tre album, un disco live (MTV Storytellers) e una raccolta di successi conquistando un “MTV Music Awards” e rendendosi protagonista d i numerosi tour, cinque partecipazioni al Festival di Sanremo e altrettante al concerto del Primo Maggio. Opinionista televisivo, dj nei club e nei festival di tutta Italia, produttore di band emergenti, è da sempre attratto dalle arti figurative. L’originale rappresentazione della contemporaneità attraverso l’uso del colore fluorescente, centro vitale della sua diversificata produzione artistica, gli ha consentito di raggiungere un successo internazionale valendogli collaborazioni con marchi quali Coveri, Carlsberg, Iceberg, Redbull, Fiat, Huawei e molti altri.
Un libro, un 45 giri e le illustrazioni dell’ex tastierista dei Bluvertigo. «Si può restituire colore a un mondo che pare ormai annoiato dai sogni»
Il disco e il libro illustrato “L’ora delle distanze”, un viaggio psichedelico per riappropriarsi della capacità di sognare.
Scorrono le immagini di un videoclip. Una San Diego in bianco e nero, piatta, anonima, quasi non esistesse distinzione fra il giorno e la notte. Auto della polizia agli angoli delle strade, bolidi che sfrecciano sull’asfalto, esseri umani che si aggirano sui marciapiedi come angeli smarriti, senza un paradiso al quale ritornare. Ma quel luogo “dove” esiste ed è il momento di rientrarvi per sfuggire a un mondo ormai annoiato dai sogni. Quell’altrove, ci rivelano Lory Muratti e Andy, si chiama Distanze. Un paradosso, ma è proprio tale cortocircuito logico alla base di “L’ora delle distanze”, nuovo progetto dell’artista varesino, prodotto da The House of Love, che ha trovato il partner ideale nel tastierista e fondatore dei Bluvertigo per dare un’ulteriore dimensione al proprio poliedrico percorso. Un libro (Miraggi Edizioni), un disco (Riff Records) e un videoclip diretto dallo stesso Muratti come da anni nella sua urgenza creativa, ma questa volta, la pagina scritta è accompagnata da illustrazioni del suo co-autore, anche apprezzato esponente della pop art contemporanea. L’incontro con i due artisti è l’occasione per raccontare un progetto affascinante e per comprendere questo paradosso: «Nella vita reale le distanze sono ciò che ci tiene lontani, ma nel mondo evocato da quest’opera hanno il valore opposto, sono quell’altrove nel quale recuperare i colori del proprio essere vivi», affermano all’unisono perché mai come in questo caso si può parlare di arte a due voci nella quale si miscelano sensibilità che hanno trovato il loro punto d’incontro in quest’opera.
Urge un passo indietro, a una notte dell’inverno 2008 nella quale Andy e Lory si trovano esclusi dal mondo da una nevicata: «Avevo un soggetto per un cortometraggio – spiega Andy – che immaginava un protagonista proiettato all’interno dei miei quadri, in quella che ho sempre considerato una personale Cartoonia. Quella notte ne parlammo e l’idea rimase, mai veramente sopita ma pronta a trovare concretezza in un momento preciso». Aprile 2024: ecco l’ispirazione, un filo rosso narrativo che il Muratti scrittore ha colto in quadri che «per me – spiega Andy – erano opere non connesse fra loro, archiviate da anni» ma «figlie tutte della sua sensibilità», aggiunge Muratti. E così (ri)nasce Fluon, nome che ha un peso nella storia artistica di Andy. È lui il protagonista del libro, il “pusher del colore” che, incaricato da una donna misteriosa al telefono, porta note cromatiche in esistenze in bianco e nero. Ma, quando la giornata termina, Fluon ha bisogno di rigenerarsi con un viaggio in un luogo fatto di colore chiamato Distanze. E a introdurlo, per due musicisti, non poteva che essere un brano secondo una formula inedita: quella di un 45 giri in vinile, pubblicato lo scorso 4 ottobre, che fa idealmente da copertina attraverso la title track e da retrocopertina con il lato B dal titolo “La caduta”. «La fruizione lato A-libro-lato B può essere un buon percorso», spiega Andy e gli fa eco Muratti: «Solitamente il mio concept disco-libro era basato sulla complementarietà, mentre in questo caso i due feticci si completano». E il termine feticcio non è casuale, perché si parla di oggetti fisici che fanno da punto di contatto fra il mondo reale e quello creato dagli artisti: «È proprio questo il percorso del quale parliamo, non c’è la pretesa di lanciare messaggi – osserva Andy -. Semmai il proposito è quello di invitare chi si avvicinerà a “L’ora delle distanze” a compiere con noi un viaggio nella propria interiorità per uscire dalla decadenza che ci circonda e recuperare i colori del proprio essere umani. Perché, non è scontato, è possibile farlo». In un passaggio di “L’ora delle distanze” Lory Muratti e Andy affermano: «Qui nella controcorrente ci sentiamo gli stessi di prima ma siamo danneggiati». Ecco, forse, attraverso questo viaggio psichedelico, si può provare a riparare un po’ di quel danno.
Leggere i romanzi di Sergio La Chiusa è un esercizio di equilibrio. Vuo dire camminare su un filo sottilissimo – quello che separa ciò che reale da ciò che non lo è– cercando di rimanere in piedi, ma finendo irrimediabilmente per cadere. Cadere in uno spazio dove l’adesione alla realtà cede di continuo il passo all’immaginazione e all’invenzione, e viceversa. accadeva nell’esordio IPellicani, menzione Treccani alla XXXii edizione del Premio Calvino: “La distanza tra messinscena e vita vera è così sottile alle volte che si scivola da una parte all’altra senza nemmeno accorgersene”, diceva a un certo punto il protagonista, e accade in questo secondo romanzo, frutto di un lavoro di scrittura ventennale e sempre pubblicato da miraggi: “ma basta divagazioni. ipotesi, peraltro. mica fatti certi, indiscutibili. d’altronde, nella società dell’informazione non sono proprio i fatti a scomparire? tanto vale tornare alle nostre invenzioni, allora, riprendere il filo del romanzo…”, sentiamo dire quasi alla fine del libro al narratore. Un narratore che irrompe nel racconto, passa all’improvviso alla prima persona plurale, utilizzando un “noi” che trascina nel discorso se stesso e il lettore. e accompagna, anzi, insegue il protagonista – di nuovo, come nei Pellicani, un fallito sul piano sociale e professionale, “un personaggio incolore, una tipica risorsa in esubero” ma anche, per la sua aria pensierosa, un po’ sospetto “in questi tempi dominati da risorse umane pragmatiche, industriose e performanti” – in un viaggio-peregrinazione attraverso “la città delle opere” o “della moda e degli eventi”. Una metropoli “brulicante di affari e di futuro”, chiaramente milano, dove “non si può sostare da nessuna parte, (…), bisogna circolare sempre, e con una ragione precisa, e se proprio non si può circolare che perlomeno si marcisca in luogo appartato, deputato alla putrefazione”. e nella quale l’unico modo per riuscire a vedere, per farsi largo nella nebbia – quella interna, soprattutto, una nebbia che è “sparita dalla città delle opere, e a pensarci può darsi che si sia in effetti trasferita nella testa dei sui indaffarati abitanti” – è cogliere l’ambiguità intrinseca del mondo usando la lente dell’assurdo, dell’ironia e dello humour. e qui il pensiero corre immediatamente alle possibili origini di questa storia, ossia a quei segni che, nel saggio L’artedelromanzo, milan Kundera ha identificato come distintivi del romanzo moderno: lo “spirito dello humour” e la “saggezza dell’incertezza”. Non appena “il nostro protagonista” – che, non a caso, di nome fa Ulisse orsini ed è un vero e proprio cavaliere errante del nostro tempo, affetto da una cupa stanchezza esistenziale, indebitato e a rischio di sfratto – esce di casa per andare in banca a ritirare gli ultimi risparmi, pagare i debiti e “mettersi in regola col mondo, guardare tutti a testa alta”, ci accorgiamo infatti che la città in cui lo vedremo camminare seguendo “l’istinto di cancellazione” è raccontata intendendo “il mondo come ambiguità”, accentando il fatto di “dover affrontare invece che una sola verità assoluta, una quantità di verità relative che si contraddicono (verità incarnate in una serie di io immaginari chiamati personaggi)”.
E quindi, ecco che La Chiusa, facendoci pedinare orsini, servendosi di un umorismo a volte feroce e a volte amaro, di una lingua che magicamente sa essere allo stesso tempo limpida, asciutta, densa, allusiva, colta, triviale, ci fa entrare in quello spazio del quale si diceva all’inizio. Uno spazio dove è facilissimo perdere le coordinate del reale e lo spaesamento la fa da padrone. Una città dove l’unico punto di riferimento solido, il duomo, con i sui pinnacoli che svettano oltre la luce gassosa della modernità, è diventato “un monumento variabile, smontabile e rimontabile secondo la moda e la domanda del mercato”. Un mondo dove i luoghi appartenenti a una dimensione altra – di volta in volta surreale, grottesca, infernale – e le presenze enigmatiche e allucinatorie – una Venere dell’immondizia trasandata, indisciplinata e licenziosa, le ombre che frequentano un condominio-bordello del centro – sembrano manifestarsi per dirci com’è la nostra esistenza, per spiegarci la realtà assurda e insostenibile in cui viviamo. e così, si parte dall’ultimo piano di un palazzo fatiscente e dallo studio del dottor Guido Klammermann, al quale orsini è arrivato su suggerimento di un condomino solerte e il cui pianerottolo è zeppo di personaggi dall’aria derelitta. si passa per il corteo funebre di un morto prematuro – sebbene i morti abbiano compreso di stridere con l’immagine moderna della città delle opere, “tali testardi sabotatori dell’ottimismo non conoscono recessioni” – e per la “corsia degli incurabili” di un ospedale che non guarisce nessuno e ti mette di fronte al tuo “stato di spettro ambulante scomposto e replicato”. Fino ad arrivare – insieme a un orsini in pigiama, con una valigia piena di biancheria e senza documenti, “ed eccolo agitarsi, Ulisse, sentirsi perduto, preso nella massa anonima dei profughi” – al luogo centrale di questo romanzo: il cimitero delle macchine, collina di rottami e di rifiuti anche e soprattutto umani, rifugio di un gruppo di antispeciste per cui i diritti umani valgono anche per i moscerini, di una “tardona” naturista incinta di un imbrattamuri, sede di un movimento di piromani ragazzini e regno incontrastato dell’imbianchino Lazzaro Lanza, sedicente riformatore del mondo, messia che, seduto su un bidet incastrato in un monticello di ceramica, predica di “poter costruire ponti ideologici e spirituali” per traversare il tempo e tornare a quando “si viveva tutti in pace, nel giardino dell’eden”.
Ed è in questo “paesaggio degenere, anzi, un’anteprima della fine dei tempi” che, alla fine di un corteo molto simile a una via crucis per il centro della città, prima dell’ennesima fuga di Ulisse orsini, capiamo due cose: non solo a stare in equilibrio sul filo teso tra reale e non reale, ma soprattutto che, in libreria, vorremo molti più romanzi come questo: perché ci mostra che è possibile abbandonare il dominio assoluto del realismo e, allontanandosi dalla mera cronaca, dai fatti, servirsi dell’inverosimiglianza per illuminare i meccanismi del reale.
Il mondo va ripensato anche dalle donne, e non solo per ciò che le riguarda: infatti non c’è niente che, riguardando le donne, non riguardi anche gli uomini.
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