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UNO DI NOI. “Nessuno è innocente” – intervista di Salvatore Massimo Fazio su Vivere

UNO DI NOI. “Nessuno è innocente” – intervista di Salvatore Massimo Fazio su Vivere

DANIELE ZITO. “NESSUNO È INNOCENTE”

Il nuovo romanzo di Daniele Zito, Uno di noi (Miraggi Edizioni), scritto con lo stile della tragedia greca incrociato al tema della “disumanizzazione”, è un’analisi precisa e cristallina dei tempi che imperversano. Nato a Siracusa, classe 1980, Daniele Zito ha studiato a Catania, dove attualmente vive e lavora. Ha esordito nel 2013 con La Solitudine di un riporto (Hacca edizioni), cui sono seguiti Robledo (Fazi Editore), pubblicato anche in Francia e Catania non guarda il mare (Laterza).

Chi sarebbe l'”Uno di noi” esplicitato nel titolo?

«Forse quella parte di noi che non riesce ad accettare alcune regole basilari della democrazia. Forse il fascista che ci portiamo dentro, nostro malgrado.»

Com è nata quest’opera?

«Non pensavo fosse pubblicabile, sia per la forma che per i contenuti. Uno di noi, infatti, è un romanzo singolare: al suo interno convivono assieme poesia e pièce teatrale, due generi che non hanno molta fortuna editoriale. Ho finito di scriverlo tra il 2016 e il 2017. Da allora, sono trascorsi quasi tre anni e dora eccolo qui, finalmente in libreria, grazie all’aiuto del mio agente, Patrizio Zurru.»

Lo stile si rifà all’ouverture del precedente Robledo, con inserimento della tragedia greca.

«Mi interessava utilizzare un elemento presente il Eschilo, Euripide e Sofocle: nelle loro opere nessuno è innocente. Tutti sono colpevoli, anche quelli che cataloghiamo come personaggi “positivi”. E la distribuzione generale e generica della consapevolezza, per paradosso, rende tutti innocenti. Se tutti sono colpevoli, nessuno lo è sino in fondo. Un aspetto che secondo me può essere applicato alla realtà italiana di questi anni.»

Quattro uomini per burloneria incendiano un campo rom provocando il coma di una bimba. L’unico che ha una famiglia torna a casa turbato. Qual è il senso?

«Non è la storia di un pentimento, ma – come dici tu – di un turbamento. Il protagonista non si pente per la sua azione scellerata. Molto più prosaicamente ha paura di essere scoperto. Quando scopre che ciò non accade, comincia finalmente a capire la reale portata delle proprie azioni. Non prova mai una vera “solidarietà” con la vittima, bensì pena – questo sì – perché è un padre anche lui. Anche lui ha una figlia, ma nulla di più. È turbato, mai pentito.»

A cosa ti sei ispirato?

«A diversi fatti di cronaca. È triste da dire, ma nel nostro Paese c’è tantissima gente che compie gesti disumani, oltre che xenofobi, forte della consapevolezza di farla franca, ed è palese che lo Stato non si affanna troppo per risalire la catena delle responsabilità. Nel mio libro, quattro uomini, tutti di età compresa tra 40 e 50 anni, bruciano una baraccopoli in maniera quasi spensierata, dopo una partita di calcetto. Perché ciò possa accadere deve esistere un contesto che li legittimi, ecco che racconto proprio quel contesto, ossia l’insieme di dispositivi retorici e meccanismi collettivi di rimozione che rende possibile quel particolare tipo di disumanità.»

Nella narrazione emergono diversi punti di vista.

«Sì, è l’unico modo per descrivere realmente il contesto: utilizzare diversi punti focali. Racconto l’infermiere che soccorre la bimba, le dichiarazioni di un ministro, etc. Come in Robledo, il mio precedente romanzo, per buona parte del libro la storia emerge dalla contrapposizione di questi punti di vista.»

«Ci vogliono le ruspe»: dicono alcuni personaggi del tuo romanzo. Lo dice anche Salvini. Che pensi di lui?

«Salvini è un politico mediocre. La recessione e un diffuso malcontento verso le forme di democrazia rappresentativa hanno aperto uno spazio politico enorme. Lui ha il merito di averlo riempito con parole d’ordine prese di peso dal repertorio dell’estrema destra. Un azzardo politico che ha funzionato per un po’, ma che ora mostra tutti i suoi limiti. Sono convinto che la sua parabola sia ormai discendente. Il problema non è Salvini in quanto tale, ma il sentimento che ha cavalcato, che purtroppo si è innestato nelle nostre comunità. Se prima era impensabile che dei naufraghi potessero morire senza essere aiutati, adesso non lo è più. Salvini ha sdoganato un modo assai antico di essere disumani, spacciandolo per qualcosa di nuovo. Molti lo considerano un fascista, io penso che rappresenti invece una deriva post-fascista tipica di alcune forme di populismo reazionario. Come altri in Europa, ha rielaborato alcuni dei contenuti del fascismo storico a suo uso e consumo, approfittando di un consenso politico che è stato enorme.»

Ciò si rivela anche in altre forme?

«Il post-fascismo, purtroppo, è un’ideologia pervasiva. Ha preso piede, inutile illudersi del contrario. C’è chi, timoroso delle conseguenze dei propri atti, si limita a pubblicare commenti vergognosi su Facebook quando compare la notizia dell’ennesimo naufragio, e chi scende in strada per far da sé. Personalmente ritengo entrambe le categorie estremamente pericolose. Per tutto il libro non faccio che pormi un’unica domanda: Cosa c’è nelle loro teste che legittima tanta disumanità?»

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

 

UNO DI NOI. “Uno di noi è un libro potente, che fotografa il momento presente” – recensione di Elena Giorgi su La lettrice geniale

UNO DI NOI. “Uno di noi è un libro potente, che fotografa il momento presente” – recensione di Elena Giorgi su La lettrice geniale

Uno di noi di Daniele Zito

Spesso si dice di un libro che sia “necessario”, abusando di questo aggettivo al punto da ottenere il risultato contrario all’intenzione, allontanando i lettori e rendendo quel libro tutto fuorché indispensabile.
Con Uno di noi, opera ultima di Daniele Zito, pubblicata da Miraggi, mi trovo però costretta a dire che in Italia, nell’attuale momento storico e politico, nessun libro sia più necessario di questo.

Uno di noi

Viene subito in mente il concetto di banalità del male, così ben espresso dalla filosofa Hannah Arendt nell’omonimo libro: sono realmente e intrinsecamente cattivi i quattro amici di vecchia data che una sera, dopo la consueta partita di calcetto, appiccano il fuoco a una baraccopoli?
O sono solo dei poveri inetti, superficiali oltre ogni buon senso, che si sono lasciati trascinare dalle parole violente ed estremiste di chi sta al potere e grida “È finita la pacchia!” e “Prima gli italiani?”.

visto quante fiamme?
visto come strillavano?
che goduria, ragazzi, che goduria

li abbiamo proprio castigati
tempo due giorni
e saranno via dalle palle

abbiamo bonificato la zona
l’abbiamo derattizzata
gli abbiamo fatto capire chi è che comanda

Quattro buoni padri di famiglia che dopo aver devastato la vita di persone ree di essere diverse, tornano a casa dalle mogli e dai figli, sperando che il loro gesto stupido e crudele diventi solo un aneddoto di cui vantarsi con i loro simili.

Ma qualcosa va storto.
C’era una bambina in quella baraccopoli, una disabile che non è riuscita a fuggire e che ora giace, ustionata e in coma, in un letto d’ospedale.
Una bambina che diventa il peggior incubo per uno dei quattro, che solo per questo inizia a comprendere la follia di quel gesto. È la paura che inizia a scavare a fondo, che fa traballare la certezza di non essere scoperti.
Zero rischi, zero conseguenze.

Mentre sulle pagine scorrono i punti di vista di chi è stato coinvolto quella notte e di chi in quella vicenda ha trovato nuova linfa per la propaganda politica – l’automobilista che ha segnalato l’incendio, l’infermiere che ha accolto in ospedale la bimba ferita, il ministro che dà la colpa all’immigrazione fuori controllo -, sale – come un violento conato di vomito – la rabbiosa certezza che la disumanità abbia ormai preso il sopravvento e che quei Noi siano ovunque, nemmeno più di tanto nascosti tra la gente che ogni giorno frequentiamo.

lo guardo e penso:
io non sono come lui
io non ho nessuno qui
mia figlia è a casa
lontana da tutto questo clamore

che il mondo sia andato in frantumi in fondo m’importa poco
è la violenza con cui questi frantumi
si sono conficcati al centro stesso del mio cervello a darmi da pensare

Scritto in forma di tragedia greca, con tanto di cori che si conficcano nello stomaco e che s’insinuano subdoli nei pensieri del lettore, Uno di noi è un libro potente, che fotografa il momento presente e ci racconta chi siamo diventati e cosa possiamo arrivare a fare, madidi di ignoranza e sospinti da un’ideologia populista e malsana.

Ma questo pamphlet breve, incalzante, dilaniante è anche una storia di perdono e redenzione, che lascia uno spiraglio aperto alla speranza – mai perduta – che questo vacuo becerismo torni a dare spazio alla compassione.
Una scrittura che, si può qui ben dire, è vera letteratura e che, come spesso accade in questi rari casi, ha il potere di cambiare – anche solo di poco – chi ha il coraggio di affrontarla.

Assolutamente da leggere.

Uno di noi di Daniele Zito

un libro per chi: non può rassegnarsi all’orrore di questi tempi

autore: Daniele Zito
titolo: Uno di noi
editore: Miraggi
pagg. 122
€ 13

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

Uno di noi di Daniele Zito

SANTI, POETI E COMMISSARI TECNICI di Angelo Orlando Meloni – recensione La Biblioteca di Babele

SANTI, POETI E COMMISSARI TECNICI di Angelo Orlando Meloni – recensione La Biblioteca di Babele

SANTI, POETI E COMMISSARI TECNICI | ANGELO ORLANDO MELONI

Si sa che per noi Italiani il calcio non è semplicemente uno sport, ma quasi una ragione di vita, una religione; e mi ci metto dentro anch’io che fino a qualche anno fa lo seguivo in maniera quasi ossessiva, prima di darmi un po’ una calmata. Ci perdiamo allegramente in questo bailamme di acquisti, retrocessioni, campionati, scandali e pasticci di vario genere e sì, forse ci piace anche così. In Santi, poeti e commissari tecnici, uscito ad aprile per Miraggi edizioni, troviamo sei racconti in cui l’autore, Angelo Orlando Meloni, narra in maniera semiseria quello che spesso accade di nascosto (e non) in quel mondo sportivo che amiamo così tanto.
Il primo racconto è quello che dà il nome all’intera raccolta e al centro della storia troviamo la Vigor, squadra di Vezze Sul Mare, che fin dalla fondazione non ha mai vinto una partita e neanche è mai stata retrocessa, pur arrivando sempre ultima, perché dopo di essa c’è il nulla, non ci sono serie minori. L’allenatore, ormai abituato a quella solfa, inizia ad essere contattato dal parroco del paese che gli dà dei consigli sulla formazione che gli arrivano “dall’alto”, consigli che poi messi in pratica sembrano anche funzionare. E quando arriva il momento di giocare contro l’A. S. Marina, la squadra del comune gemello, Marina di Vezze, l’ansia sarà alle stelle, anche perché ci si aspetta quell’intervento dal cielo. Ma come finirà? E che c’entra la statua della beata Serafina?

Meloni in questi racconti prende ciò che di più strano e anche torbido c’è nell’ambiente calcistico e lo esaspera, trasformando la scaramanzia e la religione in una vera e propria fiducia nei confronti di una statua che tutto può risolvere e che realizza anche l’impossibile. Ma in altri casi porta alle estreme conseguenze uno scambio di favori, che diventa una serie di pasticci a catena in grado di far collassare tutte le squadre coinvolte e fallire il campionato intero (Il campionato più brutto del mondo).
Ma c’è anche un ex divo del pallone che medita vendetta con chi, anni prima, l’ha fatto scendere dal piedistallo e cadere nel dimenticatoio, o ancora un ragazzino che, pur essendo bravissimo a giocare, non viene mai messo in campo perché figlio di un tizio stravagante, e anzi a lui viene preferito un altro che ha il papà avvocato che pressa il presidente (Ode al perfetto imbecille).

I racconti di Angelo Orlando Meloni hanno un sapore tragicomico, sono quelle storie in cui l’umorismo non è fine a se stesso, ma lascia un retrogusto amaro sulla base del quale iniziamo a riflettere su questo pazzo mondo sportivo. L’autore parla di piccole cose, squadre di piccoli comuni, ragazzini che non vengono premiati ma anzi messi da parte, e lo fa per raccontare, quasi guardandole al microscopio, le ingiustizie, la tristezza e i problemi di un sistema che molte volte è malato in ogni sua parte. In effetti è proprio questo che l’umorismo, se usato in maniera intelligente fa: denunciare.
L’autore dichiara altrove che «In Italia la vera religione è il calcio. I miei personaggi sono perdenti con un cuore grande», e forse il problema è proprio che si prende tutto troppo sul serio. Lui porta alle estreme conseguenze questi comportamenti e ci regala una carrellata di storie che non sono solo per chi ama il calcio, ma possono essere benissimo lette da tutti, anche se probabilmente chi ha una maggiore preparazione in materia vi rintraccerà qualche collegamento interessante o troverà tra le righe qualcosa che ricorda vicende più note.

Buona lettura!

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

Santi, poeti e commissari tecnici | Angelo Orlando Meloni

UNO DI NOI di Daniele Zito – recensione di Donna Mancina

UNO DI NOI di Daniele Zito – recensione di Donna Mancina

Fotografare il presente è un’operazione da attenti osservatori: richiede il giusto distacco dalle cose e dal tempo, richiede tempo e passione per ciò che si sta facendo. È una missione che solo alcuni, tra chi tenta, riesce a fare. “Uno di noi” siamo noi oggi, alcuni di noi oggi. Ogni singolo personaggio di questa amarissima narrazione ha un posto nella storia, tutti meno uno, tutti insieme meno uno, a cui è riservato l’oblio.
Il libro di Daniele è una riflessione e una speranza, è la rivelazione, nero su bianco, della bestialità a cui tutti noi stiamo tendendo assuefacendoci alla violenza, sublimando il dolore. Il coro, a tratti forcaiolo, altre volte capace di una compassione che si ferma alla superficie dell’infamia, è la platea dei talkshow che applaude al tuttologo di turno, sono le finte lacrime di chi in favore di camera racconta la sua triste e sfortunata storia, sono le chiacchiere al bar o alla fermata dell’autobus sui luoghi comuni che tutti abitiamo nella nostra testa. Ma soprattutto sono i commenti a status, a post, sono notifiche di relazioni umane con una fredda e inanimata tastiera che fa da medium tra carne e carne e rende tutto possibile, prima nell’immaginario e poi nella realtà.
La vita degli altri ha meno valore se la posta in gioco è scrivere la storia. Ma la storia guarda solo i vincitori, si diceva. Chi vince? Chi sono i protagonisti? Quale è la posta?
Non tutto è così scontato: l’eroe di un’epoca può essere considerato carnefice in un’altra. Ed è forse questa la speranza: che questa sia un’epoca di transizione e che si ristabilisca presto quel senso di umanità necessario alla coscienza, necessario alla sopravvivenza. Come un cerchio che si chiude, il funerale può essere simbolicamente fine e inizio. È la fine di un percorso in cui è il dolore, l’odio e il terrore ad avere vinto una battaglia; è l’inizio in cui colui che ha scritto quelle pagine è scomparso e al suo posto nascono germogli di umanissima presenza che chiede perdono – Irene ne è la testimonianza – che si assume le proprie responsabilità e insegna al futuro, Viola, ciò che è giusto fare, chi è giusto essere.
La trama lineare di questo racconto è in realtà la parabola di un’epoca che non sa di esserlo, che si crede eterna e vincente, che non si percepisce transitoria ed invece lo è, come tutto in questo mondo.
Cadranno le teste, bruceranno ancora case, cose, tanto dolore e fiamme invaderanno le vite di molti ma il suono di quella musica, la musica che unifica tutti, quella resterà come faro nella notte per ricordarci la nostra caducità e la nostra possibilità di toccare l’eterno, non come singoli ma come comunità umana.
E allora suona bambina, suona. Alcuni già ti sentono, altri ti sentiranno.

Donna Mancina

QUI IL POST-RECENSIONE ORIGINALE:

https://www.facebook.com/ladonna.mancina?__tn__=%2CdlC-R-R&eid=ARBVF-QVNR632LrvE10M8cL8_tVAqldSwMWI9LLZV6foHnVQRZGrHX3Mn7FeD-d1r3B3EKtBCb_QDTi2&hc_ref=ARQWWk2izdMp1m5qE1SLrF2sr_qZHiaFkcaVi6NK1TnNtWJJepP3syA3NqdLvnw6y4g

 

UNO DI NOI. “È un libro geniale e coraggioso, sublime e incatalogabile.” – recensione di Marilia Di Giovanni su La Casa del Libro

UNO DI NOI. “È un libro geniale e coraggioso, sublime e incatalogabile.” – recensione di Marilia Di Giovanni su La Casa del Libro

Un UFO è atterrato tra gli scaffali della Casa del libro: Uno di noi di Daniele Zito, pubblicato da Miraggi Edizioni, è un libro geniale e coraggioso, sublime e incatalogabile. Ballata avanguardista, teatro, romanzo, tragedia grottesca dei nostri tempi che diventa storia universale, tutto questo è Uno di noi, il libro che forse tutti dovremmo leggere in questo momento in cui gli avvelenatori aizzano gli animi.

Riportiamo dalla quarta di copertina:

Quattro amici di vecchia data, alla fine di una partita di calcetto, decidono di dare fuoco a una baraccopoli. Lo fanno così, senza una ragiona precisa, spinti dall’euforia del momento. Purtroppo, il loro gesto si trasformerà in tragedia.
Il drammatico evento lascia su tutti i personaggi coinvolti tracce indelebili, Uno di noi ne è il resoconto, senza escludere nessuno, né le vittime, né i carnefici.
È un libro duro, fatto di rabbia, di odio, di frustrazione. Parla di padri minuscoli, delle loro colpe, del loro inutile pentimento. Parla del ventre molle del Paese, della sua inesorabile deriva forcaiola. Parla dell’impossibilità del perdono.
E poi c’è la scrittura, che divora ogni cosa, trasformandola in letteratura.

Daniele Zito ha trentanove anni, è nato a Siracusa, vive e lavora a Catania. Collabora con L’«Indice dei libri del mese» e «Che fare». Ha esordito nel 2013 con La solitudine di un riporto (Hacca). Il suo secondo romanzo, Robledo (2017, Fazi) è stato pubblicato anche in Francia. Nel 2018 ha pubblicato: Catania non guarda il mare (Laterza Contromano).

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

Uno di noi

PONTESCURO “La vita spezzata, la ballata triste di Ragagnin” – recensione di Margherita Ingoglia su LuciaLibri

PONTESCURO “La vita spezzata, la ballata triste di Ragagnin” – recensione di Margherita Ingoglia su LuciaLibri

Una vita spezzata, la ballata triste di Ragagnin

Luca Ragagnin

Come un cantastorie Luca Ragagnin scrive una storia dagli echi deandreiani, che restituisce l’eco di un tempo sospeso e la risata degli Ultimi: una ragazza bellissima e chiacchierata, raccontata dal coro greco delle malelingue, e un destino segnato…

«Mi chiamo Dafne Casadio e avrò per sempre ventiquattro anni. Sono morta da sette ore»

Pontescuro (160 pagine, 16 euro) di Luca Ragagnin, edito da Miraggi, con illustrazioni a cura di Enrico Remmert, (qui abbiamo scritto del suo La guerra dei Murazzi) attraverso voci, sentimenti e caratteri dei personaggi, ricama con filo noir una storia di morte e leggenda. Proprio come un cantastorie, un cantautore o forse un puparo capace di mettere in scena soggetti apparentemente privi di anima e sangue, quella raccontata dallo scrittore torinese (qui abbiamo scritto del suo Agenzia Pertica) è una splendida ballata triste dagli echi deandreiani capace di restituire al lettore l’eco di un tempo sospeso e la risata degli Ultimi.

La figlia scandalosa

A Pontescuro poche vicende, e di rado, sopraggiungono per sconvolgere il naturale fluire del tempo, eppure quando qualcosa accade, banale o eccezionale che sia, diviene per tutti il pretesto per discuterne a lungo, aggiungendo o accorciando la trama a discapito del risvolto desiderato, ciascuno a Dio giurando di non proferirne parola con nessuno.

« (…) gli uomini e le donne di Pontescuro avevano bisogno di vedere la sfortuna, la miseria e la stupidità premere sulle spalle di qualcun altro(…).»

Un giorno però, del 1922, la serenità del piccolo paese viene turbata dalla morte della scandalosa figlia del padrone locale, Cosimo Casadio. La giovane, bellissima e assai chiacchierata Dafne, bionda e dall’aspetto luminoso, decisamente fuori luogo per un borgo inghiottito dalla malsana nebbia e soffocato dalle vesti a lutto delle donne che lo abitano, a causa della sua condotta esuberante e scabrosa, troppo presto rimasta orfana di madre, già all’ età di sedici anni, per il coro dalle malelingue del villaggio, diventa la ninfetta che si concede a tutti, “la sgualdrina”. Lei, la Bocca di rosa .

«Dopo pochi mesi (…) il paese incominciò a disprezzarmi dritto negli occhi. E forse, se fossero stati almeno un poco intelligenti, tutti avrebbero capito dall’unico sorriso ebete, che ogni giorno cambiava volto ma non caratteristiche, chi era stato l’ultimo a slacciarsi la cinghia».

Un capro espiatorio?

Quando il suo corpo viene trovato senza vita lungo le sponde del torrente, proprio come la Marinella di De Andrè, nessuno prova rimorso nel puntare il dito contro Ciaccio, lo scemo del villaggio («perché al villaggio lo scemo deve essere maschio») che da qualche tempo, con fare sospetto, ha stretto amicizia con la troppo bella per lui, Dafne Casadio. L’accusa trova tutti concordi nel giudicare il taciturno Ciaccio, unico colpevole dell’atroce delitto. Pensano infatti che l’ingenuo si fosse invaghito della giovane e che, insoddisfatto nell’avere da lei forse solo la compassionevole amicizia, avesse preso con forza ciò che naturalmente non avrebbe mai potuto ottenere. Dunque, in un raptus di follia, l’avesse uccisa.

In questo coro di voci greche intente a ricostruire la vicenda intervengono tutti, anche coloro che a quel delitto non hanno preso parte e che quindi possono solo supporre le dinamiche. La verità però, come spesso accade, è affidata a chi non ha autorevolezza per farla emergere: ai pazzi, agli scemi, alla nebbia.

«Felice di essere una ghiandaia, lo scemo del villaggio e la sgualdrina ribelle. Felice di non avere soldi ma solo corde, stupore e aria, maledetti o compatiti da tutti. Felici di farci scappare il tempo dalle mani e dalle ali senza accorgerci nemmeno il tonfo che fa cadendo per terra».

Tragedia e poesia

Pontescuro di Ravagnin è una storia tragica raccontata col garbo della poesia, il rosso dello scandalo, la primitiva innocenza del bosco, intricato e voluttuoso come Dafne (il cui nome è un chiaro riferimento alla leggenda), la libertà delle ghiandaie e il coraggio degli Ultimi che inconsapevolmente osano sfidare la nebbia, varcare i ponti e andare oltre.

Una vita spezzata, come un paese spezzato necessita di strade per riunire ciò che è rimasto nella nebbia, in sospeso così, durante il cammino, mentre si va incontro al sole, affidare al vento la magia di un’ultima risata.

«Tutto ciò che si smarrisce o si vuole dimenticare, le parole scartate, i passi non compiuti, le scelte non fatte, un giorno emergeranno dalla corda dell’orizzonte e prenderanno il posto del sole».

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

Una vita spezzata, la ballata triste di Ragagnin

MAZZARRONA – recensione di Fabio Dell’Armi su Mangialibri

MAZZARRONA – recensione di Fabio Dell’Armi su Mangialibri

MAZZARRONA

AUTORE: Veronica Tomassini

GENERE: Romanzo

EDITORE: Miraggi 2019

ARTICOLO DI: Fabio Dell’Armi

 

“Romina fumava il fumo delle case gialle, che era sempre buono, diceva. Smetteva. Poi riprendeva a fumare. Le promesse non si mantengono. Non a Mazzarrona”. Mazzarrona è un quartiere alla periferia di Siracusa fatto di case popolari, condomini miseri di panni stesi al sole, le case dei Mao Mao e un sentiero irto di cardi, graffi per i polpacci, verso un mare negato che serve solo a fissare un punto lontano. Le baracche con il tetto di eternit dove ci si buca, le fabbriche in lontananza ed una ferrovia che inquieta. Un’Apecar abbandonata, copertoni e una collina di lamiere. Ad attraversarlo c’è una ragazza ed è lei, ormai donna, a raccontare i pomeriggi con Romina, che dell’adulta ha la concretezza e la disillusione amara. E i giorni di scuola persi aspettando Massimo: “Massimo, quando mi amerai?”. Massimo, pallido e gentile che ha un’altra amante che lo divora. La ragazza lo accompagna al Sert o alle case gialle dove si spaccia, oppure alle baracche dove la spada entra in vena e Massimo torna all’abbandono dei suoi sonni apatici. Nei giorni perduti di Mazzarrona la ragazza è in compagnia costante di un senso di inadeguatezza e la disperata rivendicazione di un’assenza indecifrabile. Romina smette di studiare presto per andare a lavorare, lei invece ha il suo liceo, le sue letture adulte e le compagne alla moda dalle quali si tiene in disparte. Ma poi torna sempre a Mazzarrona dove il cielo non è mai azzurro ma solo accecante biancore. È azzurro solo alcune mattine di gennaio, il mese più crudele. “Massimo, quando mi amerai?”…

“Sedevo all’ombra del sicomoro, guardavo il mare. Guardare un punto lontano laggiù verso la fine del mondo sbagliato era la mia giovinezza”. Procedendo con abili manovre cronologiche, alternando marcia avanti e motori indietro, Veronica Tomassini muove l’imponente nave del racconto tra adolescenza e giovinezza come solo un Capitano esperto sa fare. E da Capitano navigato sa benissimo che di parole non ne servono molte: servono solo quelle giuste. E l’autrice le trova tutte, sempre. È per questo che in ogni pagina la narrazione risulta autentica e intensa, arrivando a passi di grande letteratura pervasa di poesia. Senza neanche un fronzolo. Nella lettura riesce a regalarci gli occhi sofferenti della protagonista aiutandoci con le suggestioni di una mente acuta che sa osservare le cose ed un cuore che sa patire. Sapendo, ormai donna, che l’esperienza è quello che rimane quando s’è perso tutto il resto. “Ero ridicola, rivendicavo attenzione, calpestavo gramigna, in un cimitero di eroinomani”. No. La protagonista non è mai ridicola eppure sa trasmetterci quel senso di incertezza e goffaggine che pervade chi ama e rivendica qualcosa che sfugge. Una storia minima come ce ne sono tante in una Mazzarrona come ce ne sono mille diventa un racconto che è difficile non amare profondamente. Bellissimo.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

http://www.mangialibri.com/libri/mazzarrona

 

UNO DI NOI. “È una emozione di disagio che questo libro, da candidare al Nobel, mi ha mosso dentro” – recensione di Salvatore Massimo Fazio su Letto, riletto, recensito!

UNO DI NOI. “È una emozione di disagio che questo libro, da candidare al Nobel, mi ha mosso dentro” – recensione di Salvatore Massimo Fazio su Letto, riletto, recensito!

Daniele Zito – Uno di noi – Miraggi

Le emozioni in LIBRIrtà
Le novità
A cura di Salvatore Massimo Fazio
 
 
Quando Fabio (che è il signor Miraggi Edizioni) mi telefonò per dirmi che “Uno delle tue parti, ma lo conoscerai già”, aveva scritto qualcosa di potente, durissimo, proprio ad hoc “per la tua penna spietata quando recensisci”, risposi subito se potevo averlo in anteprima.
«Te l’ho appena inviato in e-book». Dico lui di darmi qualche minuto che sto sistemando dei piani terapeutici, però prima di riattaccare incalzo chiedendo il nome:
«Zito, Daniele Zito.»
«Minchia!»
«Che c’è?»
«Una storia breve ma intensa, ho un divieto di tag e lo rispetto, insomma parla col suo agente, sa tutto, prima ancora che gli dicessi la mia. Va bene Mendo, a dopo. Ciao»
«Ciao».
 
Otto i piani terapeutici che dovevo sistemare, possono aspettare, la consegna è per fine settimana. Apro la mail, scarico l’e-book. Inizio. Mi trovo davanti lo stile della tragedia, doppia: greca e contemporanea. Questa non è una recensione in LIBRIrtà, rubrica di questo blog del giovedì. È una emozione di disagio che questo libro, da candidare al Nobel, mi ha mosso dentro.
Due ore, per mandare al diavolo i precedenti dello stesso autore, che, attenzione a me son piaciuti e pure tanto. Cosa fare o non fare. Chiamo Patrizio, esordisco cosi:«Zito». Mi chiede se lo voglio leggere, «L’ho appena finito, sono sotto shock», è forte mi dice, lo so, replico. 129 pagg. di ciò che accade, costantemente.  Lo saluto, mi saluta.
Parole, stupide e ignoranti quelle della derattizzazione annunciata da uno dei protagonisti di una tragedia (una su tante, non nel libro, ma nel reale, in Italia, come altrove). L’autore è chiaro e diretto, riprende usi e modus dicendi che non possono passare inosservati, che sono spinta all’esame di coscienza, a ricordare che le parole sono importanti. Le azioni ancora di più. Si spalancano porticati a emozioni, cariche di rabbia.  Si leggono fittizi perbenismi, costanti, ogni giorno, a non poterne più, sempre la stessa cosa.
Come l’uomo, maturo si direbbe, con i figli a casa, la moglie pure, la famiglia modello può dopo aver giocato a calcetto con un gruppo di amici e per concludere in bellezza dimentica quanto indegno è l’odio, la stupidità. Che ti trovi in un casino, che hai edificato, distruggendo, ambienti, uomini, bimbi… bimba.
Certo chi non ha paura in una città a camminare vicino le stazioni, luoghi per persone che non hanno nulla e cercano riparo per riposarsi. Dormono a terra, impauriti. Le stazioni, anche luoghi di spaccio. Spaccio? Lo spaccio è anche accanto la porta di casa, altro che minchiate! E l’indomani, la notizia, un campo rom incendiato, una bimba è in coma.
“Certo che dispiacere, se non sono stati loro stessi, ma chi? ma come chi? I rom, gli immigrati. Le loro guerriglie interne. La loro disperazione. Meglio così, respirano la nostra aria, calpestato le nostre strade. Ci hanno tolto il lavoro, ci hanno tolto il lavoro, lavorano loro ovunque. Ci hanno tolto il lavoro!”
Certo magari un pò sfruttati, ma fa bene il governo/stato [lo scrivo in minuscolo che rende merito nella merda in cui siamo almeno da 40 anni], prima veniamo noi, senza lavoro, perché ce lo hanno tolto. Ci hanno tolto il lavoro.
No, non è così, è lo stato (sempre minuscolo), toglie tutto. Un commerciante apre una attività e il 47% lo deve versare allo stato (ter minuscolo), e un’altra percentuale la deve versare ai tronfi della spocchiosità malavitosa, il pizzo signori, il pizzo! Non possono, ne riescono a mantenere lavoratori, non rimane nulla a loro. Allora andiamo sugli immigrati.
Non tutti però sono così, c’è chi li mette in regola, gli fa realizzare il sogno di un, leibnizianamente, mondo migliore. C’è il ristoratore, che lo assume come lavapiatti, frattanto l’immigrato apprende guardando lo chef, poi lo chef va via, e il ristoratore scommette su di lui, e gli aumenta la paga, quella dello chef, per lui, che italiano non è, che è educato, che apprende la lingua, che sorride. Ma non va bene. Perché?
Ma cazzo chissà che ci fa mangiare sto tunisino. Poi mangi, rimani sorpreso e felice, «Voglio conoscere lo chef», glielo presentano, chi rimane fermo e recita un tipico “complimenti”, chi si alza dalla sedia, abbraccia lo chef e il ristoratore. Clienti che vanno, clienti che torneranno sempre.
La paura, e il senso di colpa, una bambina è in coma, il campo bruciato. La moglie al rientro del marito gli chiede perché è pensieroso, «avete perso, perdete sempre». Hanno perso un’altra occasione per farsi fuori loro. Canaglie.
Ancora se ne parla, quella bambina è in coma, poveretta, ti rendi conto cosa fanno questi? Vengono qui e litigano fra loro e si uccidono fra loro. Sarebbe bene usare le ruspe, così vanno a casa loro, e queste cose le fanno a casa loro. Gliele racconteranno ai propri figli e ai figli di chi ha incendiato il campo roma: i roma stessi. La loro mente è obnubilata.
Il mistero della pagina 67 di Uno di noi  di Daniele Zito, pubblicato per Miraggi Edizioni, è la pagina seguente, pagina 68. Tutto sta li e non hai più voglia di scrivere, recensire, attenerti a forme del linguaggio, non vuoi far nulla. La riporti, come dato di angoscia quotidianamente.
La riporto.
Una bambina è una creatura lieve, corpuscolare
dalla consistenza impalpabile
il dolore
porto le sue uova in corpo
le nutro col mio calore
 
in una sola covata
sono riuscita ad alimentare
anche sei o sette dolori differenti
li ho portati tutti alla schiusa
come una madre renitente
 
col tempo però i dolori sono morti
me ne è rimasto soltanto uno
il più forte
quello più tenace
 
L’onesto contribuente si azzarda a pensare che magari fa un favore a loro stessi, le ruspe, cosi se ne vanno e non succedono più tragedie come queste.
Nella mia mente, l’immagine del funerale, i dolore, dentro. Uno di noi, è quello che ognuno di noi ha, l’odio, hai voglia di psicoterapia per togliere quanto inutile è la creatura di Dio, eppur ci credo. L’ignoranza genera. L’odio lo erediti. Ti vuoi vendicare, perché vuoi il mondo migliore, o quello che ti aspettavi.
Alla scuola rimane il compito di far capire che non possono esistere posizioni politiche che migliorino il mondo, alla scuola, di far capire quale posizione politica può migliorarlo, alla scuola il compito di spiegare che aria, sangue, cellule e atomi, possono diversificarsi per condizioni ambientali, ma che hanno tutti una matrice.
Nella forma della tragedia greca Daniele Zito ha scritto questo libro, nei cori amplifica il tormento che almeno io ho provato. E ho sfanculato dai pensieri la domanda, che spesso mi son fatto, su quella breve ma intensa sofferenza di quel non capire cosa accadde tra me e Daniele Zito, me lo ha detto, non lo dirò. Ma oggi sono sereno.
La prima nazionale di “Uno di noi” si terrà all’interno di  “Etnabook -Festival internazionale del libro e della cultura”, giovedì 19 settembre alle ore 19:30 presso la Legatoria Prampolini, in Via Vittorio Emanuele II, 333, Catania.
QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:
Daniele Zito, ospite d’onore a Etna Book con “UNO DI NOI”

Daniele Zito, ospite d’onore a Etna Book con “UNO DI NOI”

L’ETNA BOOK, L’ANTIFASCISMO E IL NUOVO DANIELE ZITO. Si svolgerà dal 19 al 21 settembre a Catania il Primo Festival Internazionale del Libro e della Cultura.

La tematica scelta è quella dell’antifascismo, che non poche polemiche ha destato. Il direttivo spiega che la posizione è quella di confrontarsi non contro una o un’altra ideologia, quanto ciò che vive nella contemporaneità il Paese, dove retaggi politico culturali di epoche trascorse vengono posti in essere a uso e consumo da un partito che sino a qualche anno fa desiderava la scissione dal Bel Paese, umiliando così vittime di tutti i regimi despoti e dittatoriali.

In merito cadrà a fagiolo l’incontro con l’ospite che già da più parti è definito d’onore, infatti a ridosso del festival esce con la sua quarta opera edita da Miraggi Edizioni, scritto nella forma della tragedia greca, il nuovo libro di Daniele Zito. Dopo i successi, nel breve periodo di 5 anni circa, con editori del calibro di Hacca, Fazi e La Terza, lo troveremo negli scaffali con il pamphlet “Uno di noi”, schiacciante e crudo riflesso della contemporaneità, dove l’autore va ben oltre ciò che è morto nel 1945, raccontando una storia che quasi ogni giorno di simili ne sentiamo, ma dopo qualche ora dimentichiamo.

La premiére nazionale di “Uno di noi” si terrà proprio all’interno di Etna Book, presso la resuscitata Legatoria Libreria Prampolini delle sorelle Sciacca.

SANTI, POETI E COMMISSARI TECNICI – recensione di Milena Privitera su SoloLibri.net

SANTI, POETI E COMMISSARI TECNICI – recensione di Milena Privitera su SoloLibri.net

“Santi, poeti e commissari tecnici” di Angelo Orlando Meloni

Cos’è il calcio, il fantacalcio, la Federcalcio, il campionato di calcio per gli italiani? Cos’è il calciatore, il portiere, l’attaccante, l’arbitro per gli italiani? Beh, Angelo Orlando Meloni in “Santi, poeti e commissari tecnici” (Miraggi Editore, 2019) ce ne parla in maniera ironica e anche dissacrante. Siamo una nazione dove il calcio ha avuto un ruolo essenziale, riempito le pagine dei rotocalchi, presenziato in molte trasmissioni televisive e radiofoniche. È stato motivo di divorzi all’italiana e discussioni violente tra amici e parenti. Avevamo proprio bisogno che qualcuno ne raccontasse il lato comico o ne dissacrasse certe storture.

Il romanzo inizia con il racconto che dà il titolo al libro, una storia sul miracolo della statua votiva della beata Serafina, che all’improvviso suggerisce al parroco del paese la strategia per stravincere il campionato. E finisce con “Il campionato più brutto del mondo” che addirittura porterà alla chiusura della serie A. In mezzo ci sono le storie vere e fantasiose di un calciatore alcolizzato e di un’intera comunità illusa di avere il calciatore più forte del mondo e di un arbitro tutto d’un pezzo durante l’ultima partita della sua vita e del poveraccio che su quella partita ha fatto una scommessa folle, che gli farà rischiare la vita; la storia, infine, di una stella della serie A e della sua vendetta contro lo scarpone che gli ha stroncato la carriera.
Tante poi le storie dei tifosi che sognano, s’illudono, sperano, vivono e respirano di calcio. L’autore con la vena narrativa e descrittiva che lo contrassegna ha creato una serie di personaggi a volte caricaturali e macchiette di sé stessi ma certamente tipologie di italiani reali. E così Marina di Vezze diventa metafora e simbolo di tutti i paesini italiani che giocano in campionato e lottano insieme a tutta la comunità per superare la promozione, non rimanere in eccellenza e attraversare velocemente la serie C, B e giungere infine alla A.

Il mondo del calcio viene in questo esilarante romanzo descritto anche nelle sue storture e le tristezze di un mondo che si è lasciato trascinare spesso, troppo spesso, in scandali e illegalità che gli hanno tolto il fascino di un tempo. E Fausto, Ignazio, Maurizio, Santo, Ninni, Padre Ruggero e Romualdo -non quello ma un altro- sono tipi o stereotipi di personaggi di fantasia la cui personalità, il cui linguaggio e i cui comportamenti si basano su tipologie culturali, stereotipi o cliché facilmente individuabili tra i nostri amici e parenti. Questi personaggi sono istantaneamente riconducibili ad un dato ambito culturale “il pallone” e tutto quello che ruota intorno a esso. Ci siamo molto divertite a leggere “Santi, poeti e commissari tecnici”, ma soprattutto, come accade spesso nelle migliori commedie di costume o nei romanzi di parodia, abbiamo molto riflettuto su questo nostro Bel Paese.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

https://www.sololibri.net/Santi-poeti-e-commissari-tecnici-Meloni.html?fbclid=IwAR0YfYMVhu8IOk0fB7RrG9neR64ZSM7bPV1TY-Qg-PcDtkHOIRY8Uhbo97A

 

SANTI, POETI E COMMISSARI TECNICI. Un libro che merita attenzione, dopo averlo “bevuto” in un’ora e mezza, sotto l’ombrellone o alle pendici di una montagna – recensione di Salvatore Massimo Fazio su Letto, riletto, recensito!

SANTI, POETI E COMMISSARI TECNICI. Un libro che merita attenzione, dopo averlo “bevuto” in un’ora e mezza, sotto l’ombrellone o alle pendici di una montagna – recensione di Salvatore Massimo Fazio su Letto, riletto, recensito!

Angelo Orlando Meloni – Santi, poeti e commissari tecnici
Estate, mare, sole cocente, spiagge, tatuaggi ritraenti la lupa capitolina o il suo gladiatore Francesco Totti. È così l’estate in Italia, è calcio, bidonate, balle e calciomercato.
Nella lontana estate del 1983, nel decennio che ancora una volta vedeva dominare nel campionato più brutto del mondo, l’altra squadra di Torino, quella che nel 2006 fu spedita dal procuratore Palazzi in serie C2 con meno 30 punti di penalizzazione, che però patteggiò e allora finì in serie B, si ricorda l’approdo a Udine di un fenomeno brasiliano: Zico. Miracolo? No!
Dieci anni dopo, nel 1993, alla Reggiana approda il fuoriclasse Paolo Futre. Altro miracolo? No! Semplicemente il sudore di chi adotta una squadra di una città che per una volta nella propria storia può vantare di aver avuto un fuoriclasse, così come invece nell’impero dei potenti sono cose all’ordine del giorno… e del broglio!
Si ricorda sempre di quella stagione calcistica 1982-83, che l’altra squadra di Torino, dopo una serie di furti nelle stagioni precedenti, ma anche nelle successive, ai danni di Roma e Fiorentina, Torino e Inter, nonostante dominasse, lo scudetto lo perse a favore di una spettacolare Roma, messa in piedi dall’ing. Dino Viola, toscano di Terrarossa, in provincia di Massa-Carrara, ma innamorato di Roma e della Roma, fino a comperarla, nonostante non poteva competere con i giganti del nord, portarla alla vittoria del secondo titolo nazionale, e nella stagione successiva quando si qualificava per giocare la Coppa dei Campioni la sola compagine che vinceva il campionato del proprio paese, addirittura portarla – nuovamente – in finale, contro il Liverpool del pagliaccio Grobbelaar.
E ancora. Della stagione 2006-2007, invece, si ricordano la sconfitta dell’altra squadra ti Torino, contro lo Spezia (in casa), il pareggio contro l’Albinoleffe (in casa), due sconfitte a Mantova, contro il Mantova e in campo neutro contro il Brescia, e altre straordinarie partite che hanno reso onore a quella che fu la stagione del campionato di calcio di serie B più bella del mondo. Si ricorda anche la sconcertante scelta della lega di mettere un trofeo per chi vincesse il campionato di Serie B, e altra sconcertante scelta del mito delle figurine Panini, che per la prima volta nella loro storia curarono le pagine della cadetteia come quelle della serie A, cioè con la icone adesive dei giuocatori nel formato che li riprendeva individualmente per foto e non a coppia, come sempre era stato e come tornò ad essere dalla stagione 2007-2008.
Ho deciso di aprire con il cappello, forse un pò troppo lungo, appena letto, per raccontarvi un libro che avevo nel cassetto da un mese e che per vicende personalissime non ho potuto leggere prima. L’autore è nato a Catania come me, ma sin da subito trapiantato a Siracusa. Di professione libraio e scrittore e ha un nome per 2/3 che ricorda il proletario della vittoria della COPPA U.E.F.A. dell’Inter, nella stagione 1993/94: ecco che chi salì sul tetto d’Europa con la compagine meneghina si chiamava, e chiama ancora, Angelo Orlando (Marco Civoli diceva sempre la provenienza quasi fosse tutto unito: AngeloOrlandoDiSanCataldo: “il gregario proletario”), mentre l’autore del libro ha un terzo in più dato che si chiama Angelo Orlando Meloni e per la torinese Miraggi edizioni, ha pubblicato nel maggio scorso “Santi, poeti e commissari tecnici”.
 
Il libro, articolato in sette racconti a leggerlo è esilarante e molto scorrevole, specie l’ouverture col primo racconto che s’intitola così come il libro, per procedere verso gli altri, in una lettura sempre scorrevole, ma che pian piano spinge ad una acuta riflessione: ma questo calcio, questo sport che in Italia è una religione, perché non riesce a fermare conflitti mondiali, o semplici campanilismi come quello tra le squadre delle città siciliane? E addirittura li alimenta questi conflitti?
Si dia il caso di una Santa di una cittadina, più un paese, diviso in due frazioni, montagna e mare, che ha due squadre di calcio: Vezze sul mare che ha sempre partecipato all’ultima categoria del calcio italiano, dove non si può provare nemmeno l’emozione deludente della retrocessione, dato che ha sempre perso tutte le partite dal giorno della sua fondazione pertanto ha sempre chiuso il campionato in ultima posizione e l’altra, Vezze Marina, che invece ha conquistato anche palcoscenici di livello, vincendo campionati a ridosso del professionismo vero e proprio.
Se del calcio nostrano siamo abituati sistematicamente ogni estate a sapere di brogli, con relative penalizzazioni che se i brogli, anche nolontariamente li ha fatti ad esempio  il Calcio Catania, nel 1993 fu cancellato dal calcio che conta, la serie C, perché il Presidente Massimino, pagò con due giorni di ritardo l’iscrizione al campionato successivo (in verità, le banche di sabato non lavoravano e non si risolse mai il mistero di come accadde che quei soldi bonificati giunsero il lunedì successivo la scadenza); mentre se i brogli li fa una qualunque altra squadra di calcio, ma brogli veri e premeditatamente, si risolve tutto con piccole penalizzazioni (ricordo ad esempio il Milan in quel 2006, quando l’altra squadra di Torino fu graziata con la retrocessione in serie B, che fece brogli gravi, ma gli diedero 30 punti di penalizzazione e rimase in serie A)… dunque, non siamo abituati invece a miracoli veri e propri, se non per chi li acquista questi miracoli.
Ciò per porre in auge con quanta ironia, l’autore, forse in preda ad una luciferina illuminazione, decide di sovvertire la storia di quel centro, Vezze, a favore degli sfigati di una vita: come fa? Con il broglio meno inquisitorio che possa esistere, nonché quello ai quali molti credono e altrettanti sono diffidenti: il miracolo. Ci sono preti di mezzo, presidenti/allenatori/magazzinieri/tuttofare insomma, che non capiscono perché il parrocchiano di Vezze sul Mare, dà le indicazioni il giorno prima delle partite al tetra-mister, sicché giornata dopo giornata, Vezze sul Mare, si ritrova a lottare per vincere il campionato. Come? Vi dico qui per grazia della intercessione della Santa votiva, ma vi invito a leggere il racconto (Miraggi lo ha fatto anche in e-pub pertanto comodamente acquistabile da casa, subito, ora, adesso!), per capir meglio e interrogarsi: il miracolo può essere un broglio? Dilemma al quale non ho saputo rispondere.
Ma non è solo questo “Santi, poeti e commissari tecnici”. Vi sono due racconti che mi hanno lacerato profondamente, forse per deformazione professionale, forse perché vivo la gioia, per gli altri, dell’esistere come una punizione dalla quale non riesco a sfuggire.
 
“Ode al perfetto imbecille” e “Perché no?” sono due racconti, strazianti, che solo la penna illuminata di Angelo Orlando Meloni da Catania e residente a Siracusa, di professione genio,  che mettono in luce ciò che quotidianamente combatto, lo scrivevo prima sotto mentite spoglie, e per – nuovamente – deformazione professionale e per impulso di democraticità.
Ode al perfetto imbecille
Un uomo che ha tanti tic, viene etichettato come “l’uomo dei tic”, ha un figliolo che è un fenomeno calcistico, che per quelle sconcerie che esistono nel calcio, miscelate a sconcerie da malfattori che nel calcio investono e ci sono, non gioca sempre, perché a giocare deve essere il pur bravo, ma sempre, figlio dell’avvocato che cura gli interessi del presidente. È anche vero che l’avvocato padre del bravo calciatore, figlio della borghesia, è un uomo mite, dominato da una moglie carica di pregiudizi.
 L’autore non inventa balle, ma dice ciò che accade realmente e frattanto che leggi, ti pieghi in due dalle risate, e ti rialzi col pianto della commozione e del dolore: perché se un ragazzino ha il papà che è brutto e tanti tic deve essere emarginato e considerato un malato con disagi psichici? Perché è così che va il mondo, e basta. Nasci con etichette e se commetti un errore, magari getti la carta del finestrino dell’auto una sola volta in tutta la tua vita, sarai sempre il malato figlio dell’impiegato al comune, di cui tutti si prendevano gioco e allora vieni messo alla gogna; se invece stupri, picchi, insomma sei un bastardo di animo e lo sei in abbondanza della, ad es., Catania bene (fatti realmente accaduti n.d.r), in certo qual modo ci si impegna a ricordare che sono magari errori di ragazzi, trascinati dalle cattive compagnie.
Perché no?
Quanto siamo bravi a saper essere sportivi in un rettangolo di gioco? Forse rimangono fuori da questa domanda, Astutillo Malgioglio, Damiano Tommasi ed Eusebio Di Francesco, una specie di frati missionari che hanno vestito, manco a farlo, tutti e tre la tonaca giallorossa della Roma; il resto dal contemporaneo Bonucci, all’addomesticato in casa dell’altra squadra di Torino, Pasquale Bruno (un serial killer), anche se poi capì, indossando le casacche di Fiorentina o Torino (in quest’ultima ancora qualche danno lo fece, come le 8 giornate di squalifica che si beccò, perché voleva picchiare un arbitro), al camerata dichiaratamente fascista (tra saluti e tatuggi) Paolo Di Canio, anche se è vero ricordare più di un gesto sportivo: quando militava con il West Ham fermò il gioco, nel momento in cui poteva andare a rete con tranquillità perché un avversario era a terra. E vi ho rifilato questa piccola papella per dirvi del racconto dal titolo Perché no?. Beh, c’entra la città di Catania, c’entra una vendetta che un uomo/calciatore per bene covò negli anni, fino a cercare il suo avversario che gli interruppe la carriera per poi… e lì sta il bello, signori che magia questo autore. Certo non sto qui a raccontarvelo.
Un libro che merita attenzione, dopo averlo “bevuto” in un’ora e mezza, sotto l’ombrellone o alle pendici di una montagna. Il sorriso, e anche le risate sono garantite, gli spunti di riflessioni… ancora di più: pagina dopo pagina, dove incontrerete storie di illustri sconosciuti che approdano ad allenare il Siracusa in serie B (per un attimo ho pensato ad Adriano Cadregari),  e contro il parere della piazza, manda al diavolo un brocco e che fa? Finale shock… perché aveva ricevuto una notizia che lo shokkò! Da leggere in vacanza o a farne uno studio approfondito in qualunque periodo dell’anno. Bravo a questo autore, bravo davvero.
QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:
ROMA di Nicola Manuppelli – recensione di Fabio Dell’Armi su Mangialibri

ROMA di Nicola Manuppelli – recensione di Fabio Dell’Armi su Mangialibri

Roma

 

Tommaso ha vent’anni quando arriva a Roma, nell’estate del’70. Viene da una modesta famiglia di impiegati milanesi e il trasferire storie è sempre stato il suo gioco preferito da quando il padre, un mite dattilografo, gli aveva insegnato la magia di trasformare la parola in immagine regalandogli una Olivetti con la quale il piccolo Tommaso si esercitava a scrivere facendosi raccontare storie dagli amici. Storie che impara ad aggiustare, calibrare, osservare, vivere, sentendosene al contempo estraneo e partecipe. Dopo un breve tirocinio al “Corriere della sera” si trasferisce a Roma dove ambirebbe ad una carriera di sceneggiatore a Cinecittà. Il suo primo impatto è col Pigneto, dove alloggia temporaneamente presso conoscenti in un tumulto di umanità variegata che lo travolge. A guidarlo nei meandri del tumulto e della città sarà il nipote della padrona di casa Emanuele che, durante un delirante banchetto a Trastevere lo introduce alla corte di Satchmo, misterioso personaggio che gravita attorno al mondo del cinema costruendo e vendendo gossip dei quali Tommaso diventerà redattore. Entra così in un turbine di stravaganze e miserie popolate da intellettuali, attori famosi, artisti o sedicenti tali, protagonisti e testimoni di fatti veri o presunti, tutti con storie più o meno probabili. Ognuno con una storia da raccontare. E poi c’è Judy, aspirante attrice di vent’anni come lui, entrambi sul limitare tra l’essere spettatori e protagonisti della vita…

 

 

Invitante la copertina di Marco Petrella, impegnativo il titolo, immane la voglia di Nicola Manuppelli di mettere nel libro il più possibile. Impresa ardua. Ci riesce con la semplicità apparente con cui Pirlo calcia una punizione o Paco de Lucia ti sorprende con un passaggio musicale. Nell’impossibilità di menzionare tutti i pregi del romanzo basta dire che è un racconto che trasuda il sentire della narrazione con l’evidenza che si è narratori efficaci quando si è a propria volta osservatori, lettori e spettatori partecipi. Negli innumerevoli riferimenti cinematografici nessun nome, anche se citato di sfuggita, è casuale. Il Walter Chiari incontrato da Tommaso ce l’hai davanti ed è quello de “Il giovedì”, capolavoro seminascosto della cinematografia italiana. Il padre di Tommaso è una figura che in molti altri romanzi sarebbe stata relegata a quella di grigio e mediocre piccolo borghese, invece no. Il padre è privo di ambizioni per il semplice fatto di essere un uomo in cui è assente il conflitto e sembra guardato da un Maigret che sa che in fondo “ognuno fa quel che può”. In epigrafe troviamo “Il romanzo è una mescolanza di frottole e realtà, anche la vita”. E qui siamo in un romanzo pieno di storie in cui l’autore manipola i fatti come farebbe un regista, finendo per raccontare molto di sé. Così una storia diventa veramente la storia di chi la racconta. Si potrebbe affermare con ragionevole certezza che in quel Prenestino “ndo ce stanno solo li servaggi” dei primi anni ’70, Manuppelli che è nato nel ’77 ed è milanese, ci sia stato.

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE:

http://www.mangialibri.com/libri/roma-2?fbclid=IwAR04agrgN0ulqARNXs9WKzT8-asgLCNC_r_vlPCcEjEuXvElMoAQhxUKvmo