Traduzione dall’italiano di Christian Abel, Nota critica di Biagio Cepollaro
Francesco Forlani è poeta, cabarettista, traduttore dal francese, conduttore radiofonico, scrittore-calciatore…fondatore di una rivista qua, redattore di un’altra là. Un esempio raro di agitatore culturale. Un performer vulcanico, un folletto che legge benissimo le sue opere (e di quanti autori si può dire davvero?), un fiume di idee costantemente in allerta alluvione. Non dovrei scrivere di questo libro perché non è il mio lavoro (ma qual è, poi?).
Scrivo già di musica, storia, romanzi gialli, tento spericolati approcci culturali tra mondi lontani, mescolo pastiche tuttologi. Scrivere di poesia così, d’emblée? Non dovrei, però sento di volerlo fare perché la vita di Forlani -transfuga in Francia per insegnare in una scuola di banlieue, un universo raggiungibile via metropolitana partendo dal centro della più bella città del mondo- è di per sé una metafora della vita di molti, ovunque. Siamo tanti a essere penultimi. Allora visto che questo libricino, una volta richiuso, mi ha imposto di reagire, salvo la mia bronzea faccia di mestatore culturale affermando con certezza che qui tutte le frasi e i componimenti di Forlani possiedono una propria musica interna. Un lungo blues che attraversa le pagine, che segue le fotografie a corredo del testo, che parla di partenze all’alba e di sfatti rientri serali.
Sono davvero poche le cose che il penultimo
chiede alle cose, a volte solo un segno, un cenno,
da parte a parte della vita, ma inequivocabile
preciso che non solo ti indica il cammino e la distanza
ma sembra quasi che ti tenga la porta al vivere.
Un inizio sommesso che in qualche modo prende di petto l’argomento e invece lo sfiora soltanto, con delicatezza. Un blues dei migliori.
La stanchezza del ménage nella vita globalizzata, nella quale gli essere umani sono sbatacchiati ovunque a faticare in maniera indicibile per guadagnarsi la sopravvivenza. La sera tutta la stanchezza di questo tipo di vita ci piomba addosso e ci impone un esame. Quanto abbiamo combattuto? Quanto ci siamo arresi all’ordine costituito delle cose?
Dovremmo forse smettere di pensare alla vita in modo militare, accettare la resa alle cose nell’ordine naturale in cui ci parlano, generalmente alla fine del giorno.
La vita dei pendolari assume a volte nella descrizione di Forlani una densità dantesca, mentre le persone scendono silenziose nella metro e affrontano il viaggio-purgatorio verso gli inferi lavorativi.
Se ne stanno seduti i penultimi
alle cinque e mezza del mattino
tutti occupati i sedili sulla banchina
prima che il primo treno del giorno
salpi e porti per mari di moquettes
e vetri negli uffici le donne delle pulizie
o gli operai giù in fabbrica, i travet per piani
senza più nulla chiedere né altro domandare
Lavoro, routine quotidiana, ma anche amore. L’amore assume i toni di una ballata lentissima, dall’incedere quasi sfinito nel tentare delle riflessioni di autobiografia metafisica.
Nelle storie d’amore ho a volte come l’impressione che tutta la propria storia, le proprie storie d’amore, non siano altro che il tentativo di forgiare le armi che in quella prima grande storia avrebbero potuto salvarci dalla disfatta.
La ballata sfuma e torna il blues, prepotente:
perché nero è il colore della pelle
e perché fuori l’alba è ancora senza luce
Potrebbero tranquillamente essere le parole cantate da un uomo di colore con la sua chitarra in spalla, all’angolo di una dura strada degli Stati Uniti del Sud. O degli stati di tutto il mondo e di ogni tempo.
“Scrivo il tuo nome sulla spiaggia, amore baciato dal sole,
mi brucia la pelle,
mai come il cuore,
incosciente senza protezione,
incurante di ciò che accadrà domani.”
La mia recensione di L’amore puzza d’odio di Massimiliano Boschini
L’amore puzza d’odio è una raccolta di poesie scritta da un uomo rimasto ormai solo, accompagnato dalla bottiglia, che racconta la nascita di un amore, la passione e la fine dello stesso amore.
Il libro è diviso in quattro parti e attraverso le quattro stagioni racconta un grande amore:
– la nascita, l’apice, la vita e il decadimento.
Cinquantadue poesie come le settimane di un anno. La primavera raffigura il primo appuntamento, l’estate il viaggio di nozze, l’autunno i sogni che iniziano ad infrangersi fino ad arrivare all’inverno, che è la fine.
Un uomo che mette a nudo la sua anima, la tristezza ed il buio della fine, come una confessione di sentimenti raccontati senza freni ad un amico che non giudica ma che ascolta come il lettore.
La mia opinione di L’amore puzza d’odio di Massimiliano Boschini
“Ti scrivo un epitaffio,
amore caro,
morto e da oggi sepolto,
durato il tempo di qualche stagione:
a perenne ricordo,
sarai sempre nel cuore di chi ti visse.”
L’amore descritto dall’autore è come un fiore che sboccia e poi improvvisamente muore ed appassisce.
Lui e lei si incrociano ma sembrano non incontrarsi mai davvero. Di Lei sappiamo poco, perchè se ne va e lui si trova appunto solo come Ulisse senza Penelope.
Sembra che nella loro storia sia sempre mancato il pezzo che consente ad una coppi di durare in eterno.
Il titolo è un ossimoro dove l’odio diventa l’altra medaglia dell’amore e nonostante la fine che già si conosce non si riesce a non essere coinvolti e a leggere fino alla fine.
L’ossimoro (dal greco ὀξύμωρον, composto da ὀξύς, «acuto» e μωρός, «ottuso») è una figura retorica che consiste nell’accostamento di due termini di senso contrario o comunque in forte antitesi tra loro. Esempi: disgustoso piacere, illustre sconosciuta, silenzio assordante, lucida follia, e appunto l’amore puzza d’odio.
Segnale che oltre alle poesie ci sono anche delle belle illustrazioni.
L’autore
Massimiliano Boschini nasce a Mantova a metà degli anni Settanta. Inquieto, curioso, pigro, eterno indeciso, è abituato a imbrogliare le carte, i pixel e le parole. Le etichette gli stanno strette: per questo non ama definirsi fotografo né poeta, preferendo di gran lunga il termine di “agitatore”, con il quale si confronta con il resto del mondo.
Segnalazione L’Amore Puzza D’Odio di Massimiliano Boschini
E adesso lettori miei voglio parlarvi di L’amore puzza d’odio che è un ossimoro solo apparente: dove l’amore stravolge i sensi e la ragione, l’odio verso l’oggetto amato non è che l’altra faccia della medaglia, il lato oscuro della luna, un apostrofo nero nel rosa del romanticismo.
È un poemetto d’amore, di poco meno di 100 pagine. Premetto che nel bene e nel male, non è il “solito” libro di poesia, ma mescola musica, fumetti, società.
L’inizio è un po’ straniante, ma è come l’amore, un po’ ruffiano e se visto da fuori, anche comico.
L’AMORE PUZZA D’ODIO
Titolo: L’Amore Puzza D’Odio
Autore: Massimiliano Boschini
Editore: Miraggi Edizioni
Genere: Poema
Pagine: 96
Data di uscita: 2 Novembre 2019
Prezzo ebook: 5,49 € | Link acquisto
Prezzo cartaceo: 10,00 € | Link acquisto
L’amore puzza d’odio è un ossimoro solo apparente: dove l’amore stravolge i sensi e la ragione, l’odio verso l’oggetto amato non è che l’altra faccia della medaglia, il lato oscuro della luna, un apostrofo nero nel rosa del romanticismo. “L’amore puzza d’odio” racconta dal punto di vista maschile la nascita, la passione, il declino e la fine di una storia d’amore, attraverso la scansione allegorica delle stagioni. E con il passare del tempo, lo stile muta, invecchia e si ripiega su se stesso: da scanzonate e romantiche, le pagine virano al nero, alla tristezza e alla rabbia, senza perdere di vista quella spudorata ruffianeria che spariglia le carte e fa saltare i canoni classici della poesia. Musica, arte, fumetti, romanzi, cultura pop, il retaggio di mille emozioni e immagini conservate in qualche angolo polveroso dell’animo, fanno capolino tra le righe accompagnando il lettore dove nemmeno Charles Bukowski si spinse: a parlare di amore e di stelle.
AUTORE
Massimiliano Boschini nasce a Mantova a metà degli anni Settanta. Inquieto, curioso, pigro, eterno indeciso, è abituato a imbrogliare le carte, i pixel e le parole. Le etichette gli stanno strette: per questo non ama definirsi fotografo né poeta, preferendo di gran lunga il termine di “agitatore”, con il quale si confronta con il resto del mondo. È solito affermare che in un’ipotetica sfida con un “poliedrico artista” si darebbe alla fuga dopo qualche minuto, intimorito da ogni possibile “continua evoluzione”, nonché dalle virgolette.
Mi raccomando non lasciatevelo scappare, come sempre vi abbraccio.
La voce narrante di questo Poema bianco di Pasquale Panella è femminile (come dichiara in apertura l’autore), e scandisce in tre sezioni di versi liberi una lunga e silenziosa riflessione in cui si confondono rimpianto e ironia, elegia e sarcasmo, logicità e insensatezza: a sottolineare una storia di amore e disamore, fedeltà e stanchezza, nel suo nascere crescere finire. Non assistiamo a una pièce teatrale destinata a un pubblico di spettatori, né a un dialogo che attenda risposte da un interlocutore privilegiato. Piuttosto rileviamo la volontà esplicita di districare, in un soliloquio lucidamente controllato, i fili aggrovigliati della mente, illuminando zone oscure del cuore e della memoria.
Il bianco citato nel titolo rimanda sia al candore sia al vuoto, alla pagina ancora da scrivere come a quella cancellata, a un’esigenza di chiarezza interiore o al bisogno di silenzio. Il poema pare invece riferirsi alla forma che assume sulla pagina questo monologo, un vero e proprio flusso continuo di versi, in cui i segni di interpunzione sono dati da virgole-virgolette-parentesi, e assidui, incalzanti punti di domanda. Nessun esclamativo, e un unico punto fermo conclusivo, dopo la parola “Fine”.
Pasquale Panella, che nella sua vita artistica ha consegnato parole importanti a musiche altrettanto importanti, sembra anche qui voler dar voce a una sonorità di base che, sviluppandosi da armonie attutite e terse, si spezzano frequentemente in improvvise dissonanze, in brusche alzate di accenti, in ribadite sottolineature. Così il tono colloquiale, lo scherno, la battuta ironica irrompono ad alterare o prosaicizzare il carattere più delicato e nostalgico della profferta amorosa rivolta a un assente.
In un lunedì sera piovoso di un mese imprecisato, alle otto meno dieci, una “lei” parla a se stessa e di se stessa, parla a un “lui” e parla di lui, pur diffidando di qualsiasi possibilità di comunicazione, in un rapporto che per entrambi è diventato indifferenza, incomprensione, accusa reciproca, rancore: “Quando il telefono non squilla / sei sempre tu / che non mi chiami”, “Tutto accade quando tutto è finito / Anzi, prima di finire / non è nemmeno tutto, / diventa tutto quando / è finito tutto, appunto”, “Noi, ci siamo mai dati del Noi?”.
L’amore c’è stato, e affiorano i ricordi (“Ma quante ombre / abbiamo fatto insieme”, “Respiravamo e basta / Le mani come il vento che si calma / sul ventre, su una coscia, su una spalla / Il viso ritornava a fare il viso, / il profilo la prora / di una barca incagliata”), insieme alle tracce di un passato che si intende smitizzare attraverso un uso giocoso della lingua, con l’utilizzo di ripetizioni, assonanze, calembour: “Io ero la tua vita nella mia vita / che era la tua vita / Ero quella parola che ti volevo dire / Ero il mio amore / E tu eri l’amore mio / Insomma tu eri io”.
L’idea platonica di fusione di due corpi e due anime torna a tentare insidiosamente il personaggio narrante, ma viene respinta beffardamente come lusinga ingannatrice: “Parlarsi da vicino come quando / parliamo da soli / a chi siamo, noi, l’altro / (ecco il Noi, lontano) / che non c’è (ma lo siamo)”.
Ingannevole appare anche lo scambio di ruoli sessuali programmato dall’autore del testo, e svelato da chi si proclama donna sapendo di non esserlo: “La voce è femminile, certo, / perché tu sei vile / Ti scrivi come se io / ti avessi scritto / Poi credi che l’abbia fatto per davvero”, “noi siamo fatti / di contraddizione e corpo umano”. Le contraddizioni, le incoerenze, le insicurezze che minano il rapporto tra due amanti svelano il sospetto nutrito nei riguardi di tutta la realtà (“Non è questione di realtà, / l’esistenza / È questione di credulità”), e addirittura del linguaggio: “Dalla sfiducia nelle parole / nasce la sperimentazione / o il loro gioco”, “C’è questo difetto / nella descrizione: / che sembra sempre / un compito copiato”.
Il poeta con voce di donna si diverte a usare gli strumenti del mestiere soprattutto quando ironizza sull’uso-abuso della rima, artificio cui i versi e le canzoni ricorrono da sempre per blandire occhio e orecchio di chi legge o ascolta: “Mi piacciono le rime con gli accenti / alla fine, baciate, per esempio: me con te”, “(le rime facili, sì, che sono rime, / le difficili, sì, che sono fisime)”, “(La facilità delle rime / è dovuta alla spontaneità delle parole in ente)”, “O è colpa delle rime: / le rime, penso,/ spesso fanno il senso”.
Alla “storia” raccontata nella prima sezione del Poema bianco segue “l’antistoria” della seconda parte (aggiunta dieci anni dopo la prima pubblicazione: “Versi esclusi, inclusi / qui / per togliermeli di torno”), un redde rationem in cui Pasquale Panella ritrova, passata la pioggia, il sole; dopo il lamento e la recriminazione, il sorriso indulgente e la leggerezza del divertissement. Un addio al dolore sentimentale, con la decisione di rivolgere le proprie attenzioni più alla scrittura e alla sua diffusione che ai tormenti del cuore (“L’amore era l’amore, / adesso è il mio editore”, è scritto in epigrafe). L’esperienza di coppia vissuta diventa terreno di riflessione disincantata e graffiante, riconsiderata nei suoi momenti di noia, delusione e incomprensione reciproca: “E siamo al romanzesco coniugale / (che non se ne può più recentemente) / tutto cavilli, distinguo inguinali, / pignolerie meticolose orali anali, / tutto un detto stradetto e ritrattato”. La liberazione dai ricatti affettivi si compie quindi proprio sulla pagina scritta, e nella terza sezione del Poema Panella conclude “Che scrivere è farla / finita con la storia”, una sorta di terapia programmata per guarire dal mal d’amour, esorcizzando fantasmi e sensi di colpa, e riproponendo un foglio vergine su cui vergare parole nuove.
“Il rischio dello scrivere è uno solo: / essere letti / Lo dicevi anche tu / Anche tu chi? Tu, io // E allora finiamoci, / o lettrice, / amore mio, / mia lacrima / di lettura fuor degli occhi // E fine”.
Rimangono ancora i rumori, nella conclusione del libro, quelli prodotti e ascoltati da chi si muove nella solitudine di un appartamento dopo che il compagno o la compagna se ne è andato: i passi sul pavimento, la doccia, le sedie spostate, il frigo aperto, la pasta che si cuoce nella pentola. Rumori che sono echi di una presenza eclissata, quando le parole non servono più a niente, e si riducono a un’impalpabile esalazione di fiato: “Il soliloquio, questa intima piazzata, questo comizio, questo convenire, qui, di un’oratrice che ha solo se stessa a ascoltarla, a ascoltarsi, a sentirsi regnante sul silenzio”.
Eppure anche le parole della donna solitaria a cui Pasquale Panella ha prestato voce ci hanno fatto compagnia, prima di dissolversi nel fumo: “vedi il fumo di tutte le parole / (vedilo, fa’ il favore).
Pasquale Panella
Poema bianco Miraggi Edizioni, Torino, 2018
pp. 144
Buonasera,
nemmeno in agosto si va in vacanza, nonostante Gennaro me lo abbia ripetuto di continuo “fallo, fallo”, ma dove vado? Manco a mare posso andare!
Tanto vale rimanere a rompere le scatole qui.
Che poi oggi vi va di lusso, perché vi presento un libro che mi ha regalato parecchi sorrisi, qualcuno amaro, e anche qualche occhietto lucido:
Trama:L’amore puzza d’odio è un ossimoro solo apparente: dove l’amore stravolge i sensi e la ragione, l’odio verso l’oggetto amato non è che l’altra faccia della medaglia, il lato oscuro della luna, un apostrofo nero nel rosa del romanticismo. “L’amore puzza d’odio” racconta dal punto di vista maschile la nascita, la passione, il declino e la fine di una storia d’amore, attraverso la scansione allegorica delle stagioni. E con il passare del tempo, lo stile muta, invecchia e si ripiega su se stesso: da scanzonate e romantiche, le pagine virano al nero, alla tristezza e alla rabbia, senza perdere di vista quella spudorata ruffianeria che spariglia le carte e fa saltare i canoni classici della poesia. Musica, arte, fumetti, romanzi, cultura pop, il retaggio di mille emozioni e immagini conservate in qualche angolo polveroso dell’animo, fanno capolino tra le righe accompagnando il lettore dove nemmeno Charles Bukowski si spinse: a parlare di amore e di stelle.
Edito da Miraggi Edizioni.
L’autore mi ha contattata e mi ha chiesto se ero interessata a recensirlo. Ora, non so cosa lo abbia spinto a farlo, se il numero esiguo dei nostri seguaci su instagram, oppure ha letto qualche recensione e gli sono stata simpatica o ancora sapendo che amo follemente la poesia con tutto il suo buon cuore ha deciso di farmi un regalo.
Non lo so, ma lo ringrazio tanto, le poesie sono una cosa bella, soprattutto per me.
Il libro, come anticipato dalla trama, sì contiene poesie ma è anche articolato come se fosse una storia romanzata, quasi una fiaba con una bella spruzzata di pepe, uno o due bicchieri lisci di cinismo, un po’ di sconcerie che non guastano mai e beh, tenerezza, un po’ c’è.
Mi fa sorridere il modo in cui proprio le poesie come forma d’arte somiglino ai quadri, cambiano molto a seconda degli occhi di chi legge. Ad esempio, nella trama si parla di Charles Bukowski, probabilmente per accostarlo allo stile e richiamare qualche fan del suddetto ed avvicinarlo al libro; io, invece, quando mi sono ritrovata a parlare di queste poesie con Gennaro (sempre lo faranno santo per come mi ascolta anche per ore in queste cose) ho usato queste esatte parole “sì è cinico ed anche parecchio sarcastico ma ci leggo della malinconia, un po’ di tenerezza. Mi fa tanto Leopardi che -come diceva una mia vecchia amica- tutti dicono depresso, triste, pessimista, quando in realtà nelle sue parole si legge una ricerca disperata della felicità, di una speranza a questo mondo, a me da un po’ quell’idea.”
Anche se a dirla tutta, tutto quello che ho appena scritto è riconducibile anche al pensiero che ho delle poesie di Bukowski, quindi ci sta.
Tornando a noi e specificando, non sto dicendo che ci cola il miele tra le pagine eh, dico solo che oltre alle cosa sopracitate ci leggo anche l’amore, che magari puzza di odio, ma amore resta. Che poi non sta scritto da nessuna parte che l’amore debba tenere esclusivamente un’accezione positiva, proprio come l’autore ci fa leggere, spesso e volentieri non è affatto così.
Probabilmente l’ossimoro di questo libro si potrebbe spiegare così: non essendo la realtà poesia, quest’ultima di fa realtà, il che rende tutto… molto poetico.
Mi piace il punto di vista maschile, la sua schiettezza cruda, quasi al sangue, col pizzico di zucchero e mi piace ogni singola citazione, sopratutto quella agli Aristogatti, Boschini sa dove si trova il mio cuore e sa colpirlo.
Sfiziosa l’idea di nascita con la primavera e il susseguirsi della stagioni, come la vita, così l’amore.
Ho adorato moltissime poesie di questa raccolta ma non potendovele scrivere tutte (anche perché poi voi che vi leggete acquistandolo?) mi prendo il permesso, che spero non dispiaccia all’autore, di scriverne due, anche per avvalorare il mio pensiero precedente sulla malinconia e sarcasmo, e in più per darvi un assaggino, giusto per farvi venire un po’ di bava alla bocca:
Che magia.
Magia,
ti svegli senza trucco,
di lunedì mattina;
quando svegli nel letto
ti chiedo dove sia
la regina di cuori del giorno prima.
Magia,
mi svelo col trucco,
di domenica sera,
quando col mazzo truccato
tramuto conigli in grandi leoni,
chiamami Re di bastoni.
Stringarti
Per trovarti sempre,
anche quando non mi vorrai,
ti stringo in una parola,
forte come un abbraccio,
poetica come un bacio,
debole come un laccio da scarpe.
Stringarti per ritrovarti sempre,
nodo da tendere ad ogni risveglio,
col timore che si spezzi come il nostro legame,
tirato oltre ogni misura:
con un palmo di mano stringerò invano,
calde lacrime d’amore.
Devo dirlo, è stato difficile sceglierne solo due, ce ne sono che mi sono piaciute e mi sono salvata per rileggermele quando voglio sul cellulare, come faccio sempre con cose che mi piacciono molto.
Non sapete quanto è bello trovare parole dolci, simpatiche che colpiscono al cuore anche se struggenti e con parole stronze, ma fanno star bene dopo una pessima giornata.
Massimiliano sa fare il suo mestiere, le sue poesie mi piacciono molto, così come il modo in cui sceglie di comporle ma qualcosa mi dice che può fare molto di più e mi auguro in futuro di poterlo leggere ancora per poter confermare questo mio pensiero.
Vi consiglio caldamente questo libro, ha anche delle splendide illustrazioni che accompagnano i versi, sono davvero deliziose.
Ringrazio ancora l’autore per averci pensati ed averci regalato il suo libro, ed avermi emozionata.
L’amore puzza d’odio è un ossimoro solo apparente: dove l’amore stravolge i sensi e la ragione, l’odio verso l’oggetto amato non è che l’altra faccia della medaglia, il lato oscuro della luna, un apostrofo nero nel rosa del romanticismo. “L’amore puzza d’odio” racconta dal punto di vista maschile la nascita, la passione, il declino e la fine di una storia d’amore, attraverso la scansione allegorica delle stagioni. E con il passare del tempo, lo stile muta, invecchia e si ripiega su se stesso: da scanzonate e romantiche, le pagine virano al nero, alla tristezza e alla rabbia, senza perdere di vista quella spudorata ruffianeria che spariglia le carte e fa saltare i canoni classici della poesia. Musica, arte, fumetti, romanzi, cultura pop, il retaggio di mille emozioni e immagini conservate in qualche angolo polveroso dell’animo, fanno capolino tra le righe accompagnando il lettore dove nemmeno Charles Bukowski si spinse: a parlare di amore e di stelle.
Quante volte l’amore raggiunge un livello altissimo per poi cadere e rompersi in mille pezzi?
Quali possono essere i sentimenti sinceri, vivi e carichi di disprezzo di un uomo ferito e ormai solo?
“L’amore puzza d’odio“ è la raccolta in versi di un uomo solo, accompagnato dall’inseparabile bottiglia, che si lascia andare ad un racconto discendente di un amore precipitato nel baratro, una raccolta di poesie che si trasforma in confessione, un fiume in piena di parole e sentimenti raccontati senza freni inibitori o linguaggio forzatamente corretto.
È impressionante come, consapevole che questa storia raccontata in versi sia di destinata ad un epilogo negativo, il lettore venga, sin dall’inizio, coinvolto ed ammaliato dalle varie fasi dell’amore, qui narrate e divise in quattro parti, quattro stagioni che seguono nascita, apice, vita e decadimento di una storia d’amore.
Cinquantadue poesie, tante quante le settimane di un anno, frammentate in quattro stagioni, utili a rappresentare, in modo deciso, le fasi di questa storia: Primavera per il primo appuntamento, Estate per il viaggio di nozze, Autunno i sogni infranti e Inverno la fine, il baratro.
Con linguaggio acuto e pungente Massimiliano Boschini dona vita e parola ad un uomo circondato da risentimento e malinconia che lascia libero sfogo alla narrazione di un amore ormai in fase scissoria, quasi di decomposizione.
Come un amico disposto ad ascoltare senza giudicare, il lettore vive questa narrazione mutevole, ricca di fasi differenti da un punto di vista però unico, uno sfogo unidirezionale che permette alla poesia di uscire dei criteri classici.
Arricchito da gradevoli illustrazioni, il libro di Massimiliano Boschini e come un romanzo in versi, una raccolta di poesie capace di raccontare storie sensazioni a 360° senza omissioni alcuna, ma con grande profondità e sentimento, anche risentimento, accompagnando il tutto da sottili citazioni è uno schema scelto che rende ancora più chiara una storia di già limpida composizione.
Massimiliano Boschini nasce a Mantova a metà degli anni Settanta. Inquieto, curioso, pigro, eterno indeciso, è abituato a imbrogliare le carte, i pixel e le parole. Le etichette gli stanno strette: per questo non ama definirsi fotografo né poeta, preferendo di gran lunga il termine di “agitatore”, con il quale si confronta con il resto del mondo. È solito affermare che in un’ipotetica sfida con un “poliedrico artista” si darebbe alla fuga dopo qualche minuto, intimorito da ogni possibile “continua evoluzione”, nonché dalle virgolette.
E il naufragar m’è dolce agro in questo mare.Lui, naufrago su un divano-scialuppa, circondato da mobili-relitti, indirizza i suoi messaggi in bottiglia a Lei.L’amore puzza d’odio di Massimiliano Boschini (Miraggi Edizioni, 2019) è un poema insolito e geniale: un anti-Canzoniere caustico, una raccolta di istantanee in versi che raccontano la storia di un amore colato a picco.
Cinquantadue schegge di poesia, tante quante le settimane di un anno, illustrano le quattro stagioni di una relazione sentimentale: Primavera-Primo appuntamento, Estate-Viaggio di nozze, Autunno-Sogni infranti e Inverno-Epitaffio. Questo amore assomiglia a un fragile fiore: sboccia, esplode in un tripudio di sensuali colori, poi, all’improvviso, perde un petalo e un altro ancora, sino ad appassire del tutto.
Sin dal primo verso, noi lettori sappiamo già come andrà a finire questa storia (male), eppure non possiamo fare a meno di lasciarci coinvolgere: ogni strofa tocca le corde del nostro cuore, costringendoci a ricordare l’istante in cui ci siamo resi conto di quanto siano appuntite le frecce di Cupido.
Lui, narratore inaffidabile, ci ammalia con i suoi beffardi giochi di parole:
2. Premonizioni
Era un gruppo divino
ma che dico, di vino,
nel quale tu, per fare la figa
ti davi arie da tonica,
sciantosa da bar quasi fossi gazzosa. […]
Di stagione in stagione, continuiamo a gravitare attorno a un punto fisso, a un divano-scialuppa che si rivela troppo stretto per due persone:
33. Parliamo del tempo
Parliamo del tempo
per non fare altro,
così da non dover lasciare quella scialuppa chiamata divano,
pronta ad affondare al primo raggio di sole:
«Brutto oggi, vero?!»
Vedi un raggio di sole,
non ti accorgi del trucco;
è un filo da pesca,
che di coda in coda ci porta sul lago,
dove affonderemo sereni:
«Bello oggi, vero?!»
Il Lui e la Lei di Boschini cercano di arginare le falle del loro rapporto ripetendo ossessivamente la formula magica “ti amo”: due paroline che perdono un po’ di smalto ogni volta che vengono pronunciate. Questa non è una favola, qui non c’è posto per la magia: Lui non è un principe azzurro, al massimo è un Re di bastoni, mentre Lei, al mattino, senza il suo trucco di scena, non appare più comeuna Regina di cuori(Magia). Lui e Lei si riflettono nello specchio dis-incantato di due strofe speculari: si sfiorano, si incrociano, ma non si incontrano davvero.
L’Amoragia – dolorosa emorragia di un amore in fuga – non può essere arrestata. Infine giunge l’inverno: Lei prende il largo, senza darci la possibilità di conoscere la sua versione dei fatti, lasciandoci con un cuore spaccato a metà. Lui, novello Catullo, si ritrova a fare i conti con un ossimoro, con un amore che puzza d’odio. Il fiore è appassito. Il naufragio preannunciato si è compiuto.
Cosa resta di questa storia, di questa breve eternità? Resta solo un Lui-Ulisse senza Penelope, Re Pescatore di una terra desolata comprata all’Ikea e assemblata alla meno peggio. Come si smonta una relazione? Dov’è finito il libretto delle istruzioni? I pezzi non combaciano più, anzi forse è sempre mancato un tassello: il misterioso pezzo-chiave che permette a una coppia di durare nel tempo, di non andare alla deriva.
Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Di un sentimento con una data di scadenza, destinato ad andare a male? Lui, come gli uomini soli di Carver, si affida alla bottiglia, puttana traditrice (Solitario con birra) e fidata messaggera:
43. Bere per dimenticare
Scrivo un messaggio,
perfetto per una bottiglia;
mi brucia in gola, forse è il whisky,
forse ciò che non ti ho mai detto:
non posso fare a meno di te.
Scrivo un messaggio,
da infilare in una bottiglia;
vorrei incendiasse il tuo cuore,
molotov d’amore,
ma nemmeno si accende,
bagnata dalle lacrime di un ubriaco.
Sul divano-scialuppa non c’è più posto per l’amore: nel salotto ristagnano, come cattivi odori, solo l’odio e la nostalgia. Il poemetto si chiude all’insegna della disillusione: per tutta la vita è solo una penosa bugia, così come rimaniamo amici. Non ci resta che sperare che dal letame di questo amore morto e da oggi sepolto(Epitaffio) possa nascere un fiore.
L’amore puzza d’odio di Massimiliano Boschini è un librino costruito ad arte, ricco di sagaci citazioni tutte da scoprire (Dammi mille baci, Se inizierò a parlare di amore e stelle, vi prego: abbattetemi). Questo poemetto si presta ad essere letto e riletto: viene voglia di riassaporare il suo gusto frizzante e asprigno e di riascoltare le sue “tracce”, ballate dedicate a un amore che è più stronzo che cieco.
Se volete saperne di più su Max Boschini (è un personaggio decisamente interessante e poliedrico), vi consiglio di leggere anche i suoi articoli su Mattatoio n°5
Nascita e fine d’una storia d’amore descritte in poesia da Boschini
È uscito il nuovo libro di Massimiliano Boschini, L’amore puzza d’odio (Miraggi Edizioni, Torino). Dopo la pubblicazione di Mòrs. Vita, morsi e miracoli tra Berlino Est e la Pianura Padana, nell’aprile del 2016 per Sometti, l’autore mantovano torna sui propri passi solo in parte, rimanendo nell’alveo della poesia ma abbandonando il dialetto a favore della lingua italiana e concentrandosi su un tema solo sfiorato nel precedente libro: le relazioni di coppia, con annessi e connessi. Nel farlo con la sua ormai usuale ironia e irriverenza, Boschini accompagna il lettore dove nemmeno Charles Bukowski si spinse: a parlare di amore e di stelle. La precisazione è importante, ma da sola non basta. L’amore puzza d’odio racconta dal punto di vista maschile la nascita, la passione, il declino e la fine di una storia d’amore, attraverso la scansione allegorica delle stagioni. E col passare del tempo, lo stile muta e si ripiega su se stesso: da scanzonate e romantiche, le pagine virano al nero, alla tristezza e alla rabbia, senza perdere di vista quella spudorata ruffianeria che spariglia le carte e fa saltare i canoni classici della poesia.
Il libro è una sorta di poemetto, dove musica, arte, fumetti, social network e cultura pop, fanno capolino, stagione dopo stagione, pagina dopo pagina. In questo viaggio il lettore troverà modo di immedesimarsi in uno dei due protagonisti, aiutato da suggestioni visive, che sbucano ogni tanto tra una poesia e l’altra. Boschini non è nuovo alle collaborazioni; se in Mòrs era ricorso alla matita di Dino Fumaretto, in questo libro l’autore delle illustrazioni è Vincenzo Denti, pittore, artista e insegnante del liceo artistico Giulio Romano di Mantova. Il fotografo Giuseppe Gradella è invece l’autore del suggestivo scatto utilizzato per la copertina, che vede Boschini ripreso ad un tavolo di biliardo, meditativo, tra il serio e il faceto, in una sintesi perfetta di ciò che è il libro stesso.
Massimiliano Boschini è un nome ricorrente nell’alveo della cultura cittadina; chi lo conosce bene sa che s’è occupato di molte cose e lui stesso ci scherza sopra, nella quarta di copertina del nuovo libro: non ama definirsi fotografo né poeta, ma preferisce di gran lunga il termine di agitatore.
Cristiana Tognazzi è in libreria con “Costellazioni“, la nuova raccolta destinata a emulare il grande successo di “Blu”. A noi racconta il suo amore per la poesia.
Cristiana, come sei arrivata a scrivere poesie e alla decisione di pubblicarle?
“Se devo essere sincera non lo so nemmeno io. Sono partita da una forma diversa, utilizzavo il mio blog per raccontare ciò che si prova in determinati momenti della vita. Con il passare del tempo qualcosa è cambiato e ammetto che i social network, in particolare Instagram, hanno condizionato il mio stile: a volte riuscivo a racchiudere il tutto in poche righe anziché in pagine. E questo aspetto mi ha affascinato: riuscire a esprimere un concetto con poche parole è fantastico. Ho iniziato a pubblicare i miei scritti molto presto, ma solo da qualche anno ho deciso di dedicarmici seriamente. Prima lo facevo esclusivamente per me, adesso lo faccio per me e per tutte le persone che mi seguono: condividere qualcosa ti rende meno solo, ti fa capire che al mondo ci sono tantissime persone che provano le tue stesse emozioni e che non sono in grado di esprimerle. Sapere di essere d’aiuto a qualcuno è essenziale. La scrittura, la poesia, il racconto, le parole in generale hanno uno scopo ben preciso”.
A leggerli sono componimenti dal forte tratto autobiografico. È così o ha ragione Pessoa quando scrive che il poeta è un fingitore?
“Sicuramente ci sono casi e casi, ma io sono del parere che quando le cose si vivono sulla propria pelle è diverso. Penso che ci sia molto più amore, molto più sentimento quando qualcosa è reale. Io purtroppo, o per fortuna, scrivo solo cose che sento, cose che mi appartengono, cose che a volte possono anche avere un pizzico di fantasia, ma il reale c’è e deve esserci. Probabilmente non riuscirei a scrivere qualcosa di completamente inventato o di finto, non è una caratteristica che mi appartiene”.
Cosa pensi dello stato attuale della poesia in Italia?
“Credo che sia sottovalutata. Per esempio, la poesia contemporanea dovrebbe essere introdotta nelle scuole: i ragazzi, anche e soprattutto grazie ai social network, iniziano a conoscerla, ma l’esperienza scolastica potrebbe essere molto utile. A chi la non considera vera e propria poesia vorrei dire che la poesia può avere tante forme diverse, tante sfumature e che per coglierle basta avvicinarsi senza pregiudizi”.
Credi che i reading possano servire a promuovere i versi?
“Penso che in realtà siano una cosa meravigliosa! A me tremano le gambe quando so di dover sostenere un orale all’università quindi probabilmente non riuscirei a leggere qualcosa davanti a tantissime persone, ma ammiro molto chi è in grado di fare questo tipo di intrattenimento. Sono convinta che sia un ottimo mezzo di promozione, bisogna comunque saperlo fare perché non tutti sono portati”.
Sei molto attiva sui social, dove le tue pagine sono seguitissime: quanto è importante saperli utilizzare con efficacia?
“Al giorno d’oggi è fondamentale. Io li utilizzo da anni e questa cosa mi ha permesso di essere aperta ai cambiamenti. Mi piacerebbe molto continuare in questo ambito, vorrei specializzarmi in Social Media Marketing, anche se con il passare del tempo mi rendo sempre più conto di quanto sia difficile riuscire a seguire tutti i cambiamenti che ci sono. Tanti pensano che sia una cosa semplice, ma dietro a ogni singola foto, ogni singolo post, ogni singolo dettaglio c’è uno studio, una strategia, c’è costanza. Insomma, per quanto bello e affascinante, si tratta di lavoro vero e proprio”.
Sei attratta anche da altre forme di narrazione?
“Ammetto che mi dispiace lasciare la poesia, ma devo dire che non vedo l’ora di dedicarmi a qualcos’altro. Mi piacciono i cambiamenti, mi piace essere messa alla prova e sicuramente il 2019 per me sarà un anno nuovo sotto molti punti di vista. Mi laureo e già questo è un bel traguardo, e poi uscirà il mio primo romanzo con Rizzoli. Quindi non vedo l’ora di iniziare questo nuovo cammino. Incrocio le dita e spero il 2019 possa portarmi tante soddisfazioni e tanta felicità”.
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