I cinque poeti finalisti sono stati ascoltati lo scorso 24 giugno a Fano durante le giornate di Passaggi Festival (https://www.passaggifestival.it/), mentre la Cerimonia di Premiazione del vincitore si svolgerà a Milano a settembre.
I poeti finalisti del VI Premio Letterario Internazionale “Franco Fortini” divisi per editore
A dispetto della simpatica e tenera copertina, ciò che emerge sin dalle primissime pagine nella lettura di questo libro di poesie targato Alessandra Carnaroli, edito per Miraggi edizioni, è proprio “lo stile katana”, inteso propriamente come una versificazione che affetta, si precisa, non in senso sentimentale.
Non si parla di un’opera infatuata della cultura proveniente dal Paese del Sol Levante e pregna di esotismo, almeno non per quanto riguarda le tematiche tradizionaliste o la cultura tecnologica che ha reso il Giappone appetibile al gusto occidentale. Quella che ci viene presentato da Alessandra Carnaroli è una poesia dal taglio (perdonate il gioco di parole) tagliente, più vicina alle suggestioni della letteratura e del cinema pulp che alla rappresentazione di spietata bellezza tipica della cultura nipponica.
Nell’epoca globale le forme si svuotano di significato, la tradizione perde ulteriori colpi e il parodiare sa essere un’arma di rappresentazione dell’attualità tremendamente efficace, spesso in modo paradossale ben più credibile di forme che amano definirsi serie, dunque in controtendenza a ciò che il Sommo Poeta dichiarava in uno dei suoi celebri Canti: «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza». Niente di nuovo su questo, sono ormai secoli di messa in discussione della tradizione in poesia, di rappresentazione del brutto che diventa sublime: lo hanno fatto I Fiori del Male di Baudelaire o l’Impeto incendiario del Palazzeschi futurista, eppure Alessandra Carnaroli mette in atto un’operazione intelligente a cui va dato interesse per l’allusione formale (e quindi non un vero e proprio rimaneggiare) e la freschezza sostanziale dei versi.
Partiamo dalla prima sezione del libro, Carico e scarico, in cui la forma si fa brevissima, tanto essenziale quanto sferzante. Il verso scarno non perde quasi mai efficacia e fa della propria immediatezza un formidabile punto di forza: difficile non richiamare alla mente quelle forme che hanno fatto la fortuna della poesia giapponese, come l’haiku o il tanka, ma qui non c’è bellezza né sublime, non c’è stagione né elemento naturale, soltanto la dura realtà di una prostituta nigeriana costretta a fare la vita di strada in Italia.
26 d’inverno accendiamo un fuoco vicino la strada
urlano vi prende fuoco il culo allora rispondiamo vieni a buttare liquido seminale
30
sei fortunata da essere in italia se restavi in nigeria avevi la polio
qui mi trombano sul sedile di una polo
42 metti il preservativo hai famiglia
non lo faccio per te ma per mia moglie incinta
non voglio attaccarle la tua faccia da banana
fargli venire un figlio con una voglia strana
In queste poche “gocce” (ce ne sono ben 127) si scorge uno spiccato e giocoso gusto per la critica diretta alla società italiana, a un maschilismo soffocante e a un sistema di dominio che impedisce il cambiamento della propria condizione di vita, questione che vale per la classe media e che, con maggiore drammaticità, si riflette nei riguardi degli individui ai margini. Nei versi domina un certo sarcasmo che si lascia accompagnare dalla leggerezza pur dissacrando le parvenze: così l’amore a pagamento abbraccia una miseria collettiva in cui l’affermazione personale è strumento di desiderio imprescindibile e irrinunciabile sia per poveri sia per chi gli insoddisfatti dalla vita. Un ritratto non proprio lusinghiero che punta il dito contro l’ipocrisia di tante persone, coloro che amano l’oggetto del disprezzo, a patto di poterlo a possedere. Non c’è spazio per i sentimenti, l’io poetante saggiamente immedesimato non fa del vittimismo: la sua è un’operazione verità focalizzata sul reale senza peli sulla lingua, che in poesia è sempre un grande rischio in quanto il linguaggio e la forma sono tutto. Nonostante tutto, forte di questa ragione e con un incedere diretto e volutamente sghembo, si conquista la fiducia e la simpatia del lettore.
La seconda sezione, “Murini / Inserisci un emoji”, mette in campo altri elementi linguistici e stilistici che si lasciano apprezzare. Innanzitutto vi è l’emulazione di un linguaggio approssimativo tipico dei social network che quotidianamente alimenta lo stucchevole flood di pressappochismo spicciolo o, nella peggiore delle ipotesi, veterocomplottismo in salsa negazionista. Lo scenario su cui si muove la poesia di Alessandra Carnaroli resta sempre la critica alla società, ma stavolta l’io poetante non è vittima, bensì vittimista. I componimenti, inoltre, presentano un elemento espressivo probabilmente inedito e decisamente originale: la descrizione degli emoji, inseriti in alcuni versi, quasi come a voler ridicolizzare ulteriormente il contenuto del testo. Vediamone un esempio:
verranno quando invecchiamo a toglierci i figli che si ammalano
o amputati / due facce spaventate
come guardie zoofile sulla panda verde con i cani alla catena i nostri figli tolti dalla cuccia
per due pulci sulla schiena / grrr gatto orso coniglio iena
L’espediente del corsivo è godibile alla lettura non solo in senso descrittivo e parodistico, ma soprattutto sonoro (arrabbiata che fa da eco a stato e legalizzato, oppure iena che richiama catena e schiena). Si noti, inoltre, anche un gusto stilistico che nella rapidità trova i propri inceppamenti, tipici di quei contenuti poco ponderati, di pancia, tirati fino al punto di toccare anche questioni insensate. Eppure questo approccio si rivela vincente e dà valore ai versi di Poesie con katana, un lavoro ben calibrato, leggero sì, ma ben curato. Di certo non esprimerà un alto valore morale, ma gli è congeniale uno sguardo peculiare circa il ruolo della poesia civile oggi, nuda e senza retorica.
la vita dei deboli non ha valore / sigh sigh
si salvano solo gli immigrati dai barconi
scambieranno i bambini italiani con i cinesi copiati / alieno alieno
diventeranno un serbatoio di organi da trapiantare per il mercato orientale / lacrima lacrima faccina triste occhi cuore spezzato orecchio naso
“Carico e scarico” è il nome che Alessandra Carnaroli ha dato alla prima sezione di questo libro ricolmo di schietta e cruda realtà, narrata e anche giudicata. Poesie con katana è il suo titolo, edito da Miraggi Edizioni.
E di certo c’è un carico pesante. Come quello di una pistola che viene resa idonea al fuoco, quello che ferisce, in molti casi uccide. Lo si capisce già dai primi versi «scania / iveco / prime parole / italiane / dopo / ti stupro».
E lo scarico non è certo sinonimo di alleggerimento, o posizionamento là dove è giusto che qualcosa o qualcuno debba essere messo. Lo scarico è quello della responsabilità, di fronte alla consueta ignominia, di cui tutti sanno, pur se collocata nella cornice del tabù. Perché seppure sfruttata e soggiogata dal maschio, quella vita sembrerebbe meglio di un’esistenza più breve là da dove si proviene.
«Sono / 100% africana / fica di frutta / adesso ti spremo»: non ci gira intorno Alessandra Carnaroli; le parole sono quelle che sarebbe giusto usare. Non sono audaci, scabrose, non sono di rottura, sono aderenti. La scelta metrica, ugualmente. La poetessa sceglie di dare un ritmo alla sua voce come su un palco, dove i ritmi sono scadenzati dalla pause, che aprono varchi di ragionamento, poggiati ad esempio su «le madri grasse / che vestono / le figlie / come puttane / per sentirsi belle / i mariti che vanno / a puttane / noi puttane», o su quei bambini persi che «tutti abbiamo cercato / nel gabinetto / morto senza documento».
E poi la seconda sezione, “Murini / Inserisci un emoji”, dove l’inserimento delle emoji, scritte per esteso e in corsivo, fanno della scelta autoriale la trasposizione del mediocre sentire comune di fronte a scelte dettate dall’ottusità, in alcuni casi dalla religione («solo dio sa quando è il tuo turno / top top top / non osi uccidere l’uomo / ciò che a lui sfugge / gattino arrabbiato faccia con occhiale / incollato grrr grrr) e dalla chiusura mentale, che diventano simbolo di uno sguardo dal campo visivo monco, limitato.
Poesie con katana è un testo di assoluto valore artistico e – ce lo conceda l’autrice – anche morale (ma non moralista, sia chiaro), offrendoci la possibilità di avere un orizzonte visivo differente, se si vuole, uno spunto in cui far confluire la capacità critica dell’individuo, per farci scegliere, per renderci padroni del concetto di scelta. Carnaroli sembra giudicare per far giudicare a noi una realtà che esiste suo malgrado. Poesie con katana stana la nostra colpa di non saper vedere, la nebbia in cui ci culliamo per non sentirci meno buoni di quanto pensiamo di essere o volere.
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