Daniele Sica, “Il disastro di una persona” è un libro di poesie: come mai la scelta di questo genere?
“In realtà io non sono un poeta e non amo nemmeno le poesie, infatti ne leggo pochissime. Però,
per quello che dovevo raccontare, ho pensato che fosse il metodo migliore: ho utilizzato una sorta
di “ottica pasoliniana”, cercando il mezzo più adatto, e l’ho trovato nella poesia. Ne ho raccolte
una sessantina, leggendole una dopo l’altra si incastrano tra loro e formano la storia. Ci sono
poesie più lunghe, anche da due o tre pagine, e più corte, pure da un paio di versi soltanto, e sono
la raccolta di dieci anni di lavoro”.
Quale episodio della vita ti ha spinto a scrivere questo libro?
“Tutto nasce da quando venni lasciato dalla mia ex, Sara, alla quale ho dedicato quest’opera. Ho
vissuto periodi terribili, di vera e propria depressione: stavo chiuso in casa con le serrande
abbassate, osservavo dalla finestra la vita che passava e non facevo niente per viverla. Così ho
deciso di raccontare i giorni successivi a questo episodio che mi ha segnato, ho descritto com’è
stato il dopo e come ho reagito. Ci ho pensato molto prima di pubblicare, ma poi ho deciso di
andare avanti: è stato un bel banco di prova per me, ho capito finalmente di aver superato quel
trauma”.
Il titolo è ambiguo: ce lo spieghi?
“Me lo dicono in tanti, in effetti è così: perché non è la persona a essere un disastro, ma l’esatto
contrario. E’ la tragedia, il trauma, o appunto il disastro che una persona ha dovuto vivere il vero
protagonista. E questo titolo è anche la mia poesia manifesto. L’idea mi è venuta una sera del 2010,
quando rientravo a casa con un gruppo di amici dopo una serata di eccessi. Passando di fronte al
Castello Sforzesco, vidi una scritta su uno dei monumenti di Milano e dissi a chi era in macchina
con me: “Guarda cos’è stato costretto a fare qualcuno”. E lui, sballato dall’alcol, mi rispose: “Sarà
una persona disperata che ha trovato nella scritta su un muro l’unico modo per raccontare il suo
disastro”. Lui era ubriaco, io completamente sobrio, eppure è stato proprio lui ad aprirmi un
mondo”.
Hai ancora rapporti con Sara?
“Ci siamo sentiti alla pubblicazione del libro, volevo regalarglielo, ma ha voluto comprarselo. Lei è di Pisa, ero molto legato anche alla sua città, però quando ci siamo lasciati mi sono sentito come Foscolo e la sua Zacinto: mai avrei potuto rivederla. Ora sto organizzando una presentazione del libro proprio all’ombra della Torre: mi auguro che anche Sara possa essere presente”.